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Cronache

Gli hacker russi ancora all’attacco di siti italiani

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Nuova campagna di attacchi informatici contro l’Italia lanciata dagli hacker russi Noname057(16). Nel mirino siti del Governo, di alcuni ministeri, di aziende del settore trasporti. L’interruzione o il rallentamento del servizio ha riguardato solo alcuni dei bersagli. La Polizia postale e l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale sono subito intervenute in supporto. Nel giro di poche ore i servizi sono stati ripristinati. Loro – la crew legata a Mosca – esultano e dimostrano di seguire molto da vicino il dibattito politico italiano: la premier Giorgia Meloni ieri alle Camere ha detto non sono ancora mature le condizioni per l’avvio di negoziati per un accordo in Ucraina? “Ma i nostri missili Ddos per i russofobi italiani sono maturati”, ironizzano su Telegram, postando l’immagine di un orso che saluta accanto al simbolo della Repubblica italiana. Ddos, Distributed denial of service, è – come già negli altri attacchi delle settimane scorse – l’arma usata dagli hacker. Si tratta di inviare un numero elevato di richieste di accesso – magari attraverso una rete ‘zombie’ di computer infettati – al sito-bersaglio per renderlo inaccessibile o impedirgli il corretto funzionamento.

L’attività malevola è stata scatenata in mattinata: Governo, ministeri della Difesa, degli Esteri, dei Trasporti, Autorità di regolazione dei trasporti, Atac (la municipalizzata dei trasporti di Roma), Aeroporto di Bologna, tra i siti presi di mira. La maggior parte ha tenuto ed i tentativi di blocco sono stati respinti, è il caso dei ministeri e del Governo. Il sito dell’Atac è stato messo fuori linea diverse ore per ripristinare i servizi; riattivate nel pomeriggio anche le biglietterie. Si sono mossi in supporto il Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche ed i Centri operativi per la sicurezza cibernetica della Polizia postale. L’Agenzia cyber aveva preallertato gli obiettivi ed ha suggerito contromisure per mitigare i danni oltre che per implementare il livello di protezione. Si possono, ad esempio, inibire le richieste che provengono da una determinata area geografica o da utenti sospetti.

Tanto fumo e poco arrosto, dunque. Ma Noname057(16) canta vittoria ironizzando con i suoi post su Telegram, che tirano in ballo un’altra notizia emersa sui media in questi giorni e cioè l’addestramento in Italia di una ventina di militari ucraini sul sistema anti-missile Samp-T che l’Italia, insieme alla Francia, si appresta a fornire all’Ucraina. E non manca la frecciata al direttore dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, Bruno Frattasi: “Frattasi stiamo arrivando”, scrivono gli hacker. Pubblicano poi compiaciuti le notizie apparse su vari media relative alla loro azione e ammoniscono: “I nostri attacchi avvengono solo perché un gruppo di russofobi ha deciso di sostenere i neonazisti ucraini e addestrare i punitori di Bandera (leader dei nazionalisti ucraini che collaborò con la Germania di Hitler durante la seconda guerra mondiale, ndr) nel loro paese”. Non c’è solo l’Italia nel mirino degli hacker russi, ma diversi dei Paesi che sostengono l’Ucraina. Negli ultimi giorni hanno attaccato in particolare la Repubblica Ceca, le cui autorità “hanno ripetutamente fatto dichiarazioni russofobe”. E’ la guerra ibrida – monitorata con attenzione dall’intelligence – che agisce su diversi domini, anche su quello cibernetico, per affermare le posizioni di Mosca in una fase cruciale del conflitto. Ci saranno altre azioni e, quindi, l’indicazione è quella di alzare le difese cibernetiche per non farsi sorprendere.

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Impagnatiello in video: questo veleno è per i topi di Milano

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“Quello è veleno per topi, sa perché? Perché quando ci fumiamo le canne post lavoro sui gradoni di piazza Croce Rossa, arrivano ‘panteganoni’ così grossi. A Milano girano ‘panteganoni’ e abbiamo buttato un po’ di…”. Con queste parole, Alessandro Impagnatiello lo scorso 28 maggio spiegava ai carabinieri di Senago perché nel suo zaino ci fosse una bustina di topicida. La giustificazione dell’ex barman è stata immortalata in un video che era stato girato mentre svuotava la borsa davanti ai militari ad appena un giorno di distanza dall’omicidio della fidanzata Giulia Tramontano, di cui aveva denunciato la scomparsa.

Secondo l’accusa, Impagnatiello avrebbe tentato di avvelenare per mesi la donna, incinta del loro bimbo Thiago, somministrandole la sostanza a sua insaputa. Il 27 maggio del 2023 l’ha poi uccisa con 37 coltellate nella loro abitazione a Senago, nel Milanese, dopo che la ragazza aveva scoperto i dettagli della sua relazione parallela con una collega. Il processo a carico dell’uomo per omicidio volontario aggravato anche dalla premeditazione è in corso davanti alla Corte d’Assise di Milano.

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Muore poche ore dopo un intervento alla spalla, due indagati

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Un uomo di 53 anni, di Motta di Livenza (Treviso), apparentemente in perfette condizioni di salute, è stato trovato morto, nel letto della sua stanza, in ospedale a San Vito al Tagliamento (Pordenone), poche ore dopo un ordinario intervento chirurgico di ortopedia alla cuffia dei rotatori. Da quanto è stato accertato, tutti gli esami pre-operatori risultavano nella norma. Sulla vicenda, la Procura della Repubblica di Pordenone ha aperto un fascicolo d’inchiesta, indagando per omicidio colposo l’ortopedico e l’anestesista che hanno eseguito l’intervento. Si tratta di un atto dovuto, a tutela delle garanzie difensive. Mercoledì prossimo è stata fissata l’autopsia del medico legale incaricato, Antonello Cirnelli, per capire le cause della morte. All’esame potranno essere nominati anche i periti degli indagati.

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La Procura di Milano chiede di processare la ministra Santanchè per truffa

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La Procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per Daniela Santanchè e per altre due persone, tra cui il compagno della ministra Dimitri Kunz, e per due società nel filone del caso Visibilia sulla presunta truffa aggravata ai danni dell’Inps sulla gestione della cassa integrazione nel periodo covid.

La richiesta di processo segue la chiusura delle indagini su questa tranche del “pacchetto Visibilia” che era arrivata il 22 marzo. Così come l’avviso di conclusione indagini, la richiesta di rinvio a giudizio riguarda, oltre alla senatrice di FdI e ministra del Turismo, il compagno Kunz e Paolo Giuseppe Concordia, collaboratore esterno con funzioni di gestione del personale di Visibilia Editore e Visibilia Concessionaria, oltre alle due stesse società. Secondo l’accusa, non solo in quel periodo, dal “31 maggio 2020 al 28 febbraio 2022”, ad amministrare Visibilia Editore e Concessionaria, ossia a prendere le decisioni, erano Santanchè e Kunz, ma entrambi, assieme a Concordia, sarebbero stati consapevoli di aver richiesto e ottenuto “indebitamente”, per un totale di 13 dipendenti, la cassa integrazione in deroga “a sostegno delle imprese colpite dagli effetti” della pandemia Covid.

L’aggiunto Laura Pedio e i pm Marina Gravina e Luigi Luzi della Procura guidata da Marcello Viola nelle indagini hanno raccolto a verbale le parole dei dipendenti, i quali avrebbero confermato che la ministra sapeva: sarebbe stata a conoscenza del fatto che i dipendenti stavano continuando a lavorare, mentre l’istituto pensionistico versava oltre 126mila euro, per un totale di oltre 20mila ore, “direttamente ai dipendenti o a conguaglio alla società”. In particolare, come si legge negli atti delle indagini condotte dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf, oltre 36mila euro “a vantaggio della Visibilia Editore”, per sette dipendenti, e quasi 90mila euro a favore della Concessionaria su sei lavoratori.

A Santanchè, così come agli altri due, viene contestato di aver “dichiarato falsamente” che quei dipendenti fossero in cassa “a zero ore”, quando invece svolgevano le “proprie mansioni” in “smart working”, come Federica Bottiglione, l’ex manager che con la denuncia ha fatto scattare le indagini. Nel mirino dei pm pure le integrazioni che sarebbero state date per compensare le minori entrate della Cig rispetto a quelle dello stipendio: una “differenza”, scrivono i pm, che sarebbe stata corrisposta con “finti rimborsi per ‘note spese'”. L’unico a farsi interrogare dopo la chiusura indagini è stato Concordia. La senatrice di FdI è accusata anche di falso in bilancio, assieme ad altre 16 persone e tre società, nella seconda tranche del “pacchetto Visibilia”, anche questa già chiusa e per la quale nelle prossime settimane ci sarà la richiesta di processo.

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