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Il Ppe scarica Berlusconi: respingiamo le frasi su Kiev

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“Il gruppo del Ppe respinge fermamente le dichiarazioni di Silvio Berlusconi sull’Ucraina. Non riflettono la nostra linea politica”. E’ tutta in questa frase, arrivata dopo 48 ore di silenzio, la difficoltà del Partito Popolare europeo nei confronti di Silvio Berlusconi. Manfred Weber, dopo aver annullato la consueta conferenza stampa della mattina al Pe, ha optato per delineare la posizione ufficiale del partito nel modo più impersonale: un tweet affidato all’account del gruppo. Ma dietro quel cinguettio c’è un vulcano in ebollizione in cui rischia di trasformarsi il Ppe. Con l’ira su Berlusconi che si è aggiunta allo scetticismo di una parte del gruppo per il dialogo sempre più fitto con la destra. In serata, però, è arrivata la risposta del leader di Forza Italia: “Guardiamo ai fatti, noi abbiamo sempre votato senza esitazioni il sostegno all’Ucraina con l’invio di finanziamenti e di armi” ed “io sono sempre stato e sto dalla parte del popolo ucraino e della pace”, ha sottolineato Berlusconi.

Aggiungendo di auspicare allo stesso tempo una “via diplomatica” per mettere fine ad un “conflitto molto pericoloso per tutti noi”. In principio, il presidente e capogruppo dei Popolari aveva scelto di non esprimersi. Ma a Strasburgo gli attacchi delle opposizioni si sono moltiplicati. Socialisti, Verdi e liberali hanno sottolineato come il Ppe si sia “confuso con la destra”. Mettendo nel mirino la posizione del principale gruppo dell’Eurocamera a favore di fondi europei per barriere stabili ai confini esterni dell’Ue. “E’ molto preoccupante il loro cambio di tono, ci impedisce di avere una linea comune e se si perde il centro si perde la cooperazione pro-europea”, ha scandito la capogruppo di S&d Iratxe Garcia Perez. Fonti parlamentari raccontano come, nella riunione con i capidelegazione, Weber si sia fatto sentire. E abbia invitato “caldamente” i suoi colleghi azzurri a dissuadere Berlusconi da uscite come quella di domenica a Milano.

Il tweet lanciato in serata ha reso il tutto più esplicito: “La Russia è l’aggressore, l’Ucraina è la vittima. Non cederemo alla narrazione di Putin e l’Ucraina può contare sul nostro pieno sostegno”. Berlusconi, però, ha respinto le accuse di vicinanza alla Russia, in una nota in cui ha chiarito la sua posizione. “Guardiamo ai fatti. Noi abbiamo sempre sostenuto il popolo ucraino, abbiamo sempre votato in Italia e in Europa senza esitazioni e tentennamenti il sostegno all’Ucraina con l’invio di finanziamenti e di armi. Io sono sempre stato e sto dalla parte del popolo ucraino e della pace. La mia speranza è quella che si possa trovare presto una soluzione diplomatica a questa guerra molto pericolosa per tutti noi”, ha affermato il leader forzista. Ricordando di aver “semplicemente suggerito un grande Piano Marshall dell’Occidente per la ricostruzione dell’Ucraina, come possibile via diplomatica per mettere fine a questo conflitto, voglio ripeterlo, molto pericoloso per tutti noi”. Intanto comunque le delegazioni baltiche e quella polacca sono descritte sul piede di guerra. Secondo alcune fonti, alcuni membri sarebbero arrivati a minacciare di boicottare la kermesse Ppe che si terrà a giugno a Napoli se ci sarà Berlusconi.

A tutto ciò va aggiunta la delicata gestione Weber che impegnerà da qui alle Europee. Con, all’orizzonte, la tentazione di allontanarsi dall’asse con S&d per costruire un sodalizio con la destra europea. A patto che sia filo-ucraina. E sarebbe l’Italia guidata da Giorgia Meloni a fare da sponda. Nicola Procaccini, appena eletto co-presidente del gruppo Ecr al posto di Raffaele Fitto, ha illustrato la strategia di FdI: “Abbiamo l’ambizioso progetto di condividere anche con il Ppe una visione dell’Ue che sia maggiormente rappresentativa”. Una visione che, dalle parti di Fratelli d’Italia, riassumono così: “Contrastare un super-Stato europeo a scapito delle nazioni”. Il punto di partenza, ha spiegato Procaccini, potrebbe essere proprio il clima e il Green Deal: sullo stop alle auto inquinanti dal 2035 solo 26 membri del Ppe hanno votato con i socialisti. Tutti gli altri hanno votato contro, proprio come Ecr. Decisive, da qui in avanti, saranno le elezioni in Polonia e Spagna. Soprattutto la prima, che vede la popolare Piattaforma Civica e il Pis dei Conservatori agli estremi opposti. Nel frattempo Ecr prova a allargarsi. Rumors parlamentari – per ora ufficialmente non confermati – danno per imminente l’ingresso nei Conservatori e Riformisti (ma non nella delegazione di FdI) dell’ex pentastellata ed ex dimaiana Chiara Gemma.

Diplomata alla scuola di Danza classica diretta da Arnaldo Angelini nel 1980, diploma accademico all'insegnamento della danza classica presso l'Accademia nazionale di danza di Roma nel 1985. Dal 1986 docente presso la scuola Harmony

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Accolto ricorso, Ilaria Salis va ai domiciliari a Budapest

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E’ stato accolto dal tribunale di seconda istanza ungherese il ricorso presentato dai legali di Ilaria Salis che può quindi uscire dal carcere e andare ai domiciliari a Budapest. Il ricorso era stato presentato dai legali di Ilaria Salis contro la decisione del giudice Jozsef Sós che nell’ultima udienza del 28 marzo le aveva negato i domiciliari sia in Italia che in Ungheria. In appello, la richiesta è stata invece accolta e quindi la 39enne attivista milanese, candidata con Avs alle prossime Europee, potrà lasciare il carcere a Budapest dove si trova da oltre 15 mesi con l’accusa di aver aggredito dei militanti di estrema destra. Il provvedimento, che prevede il braccialetto elettronico, diventerà esecutivo non appena verrà pagata la cauzione prevista dal tribunale.

“Ilaria è entusiasta di poter finalmente uscire dal carcere e noi siamo felicissimi di poterla finalmente riabbracciare”: così Roberto Salis ha commentato la decisione del tribunale ungherese di concedere i domiciliari a sua figlia Ilaria che, dopo oltre 15 mesi, potrà lasciare il carcere dove è detenuta con l’accusa di aver aggredito dei militanti di estrema destra. “Non è ancora fuori dal pozzo – ha aggiunto ma sarà sicuramente molto bello poterla riabbracciare dopo 15 mesi, anche se finché è in Ungheria io non mi sento del tutto tranquillo”.

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Duello in tv Meloni-Schlein, le opposizioni e Fi contro la par condicio

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Il M5s ha gettato sul tavolo il carico, alzando un muro davanti al confronto tv fra la presidente del consiglio Giorgia Meloni e la segretaria Pd Elly Schlein. In campo è scesa l’esponente Cinque stelle in prima fila per le questioni Rai, la presidente della commissione di Vigilanza Barbara Floridia, che ha inviato una lettera al presidente di AgCom e ai vertici del tv pubblica: bisogna garantire parità di condizioni e di trattamento a tutti – è il senso del richiamo – ed evitare di avvantaggiare alcune forze politiche rispetto ad altre. “Mi aspetto di fare il confronto – ha confessato Meloni – ma vedo molti movimenti contro questa iniziativa, vedo molta critica, ci sono cose che si stanno muovendo, magari con l’idea che questo confronto non si faccia: penso che sarebbe un errore”.

In chi si oppone, oltre alla preoccupazione per il rispetto delle regole, c’è anche quella per una polarizzazione dello scontro tra la leader di FdI e quella del Pd che, alla vigilia delle europee, finirebbe per mettere in ombra gli altri contendenti. Contro il duello tv si sono schierati non solo altri leader di opposizione – da Verdi-Sinistra ad Azione a più Europa – ma anche il vicepremier e segretario di Fi Antonio Tajani. In attesa della riunione dell’AgCom di domani, sia Meloni sia Schlein hanno fatto capire di non aver intenzione di dare sponde ai critici: “Il confronto mi piace – ha detto la premier – penso sia il sale della democrazia, in particolare in campagna elettorale. Mi fa molto sorridere il dibattito che sta generando l’aver dato disponibilità al confronto: denunce, lamentele… Penso sia normale, particolarmente in una campagna elettorale come quella in cui siamo, in rapporto all’Unione europea, per raccontare agli italiani che ci sono due modelli: la proposta socialista e conservatori. Mettere a confronto ricette e visioni è un modo di aiutare cittadini nella scelta, è la cosa più naturale del mondo”.

In un’intervista al Qn anche Schlein ha difeso il faccia a faccia in programma a Porta a Porta il 23 maggio: “Il confronto con la presidente del Consiglio potrebbe rappresentare un momento di chiarezza per le persone. Si vedranno in modo ancora più evidente due visioni agli antipodi dell’Italia e dell’Europa”. E la deputata Debora Serracchiani, della segreteria Pd, ha rincarato: “il duello è opportuno ed è anche bello perché è la politica che si confronta nel merito”. Tajani ha ribadito cosa si aspetta dalla Rai: al confronto tv da Vespa “bisogna che tutte le forze politiche partecipino – ha spiegato – perché qua non siamo in un sistema maggioritario ma proporzionale. Si faccia un confronto con tutti i leader assieme come si fa negli Stati Uniti. La par condicio deve essere tale: il confronto si fa con chi si vuole, non è che deve essere imposto. È una violazione, non è giusto”. Un’ipotesi in campo è quella di un faccia a faccia con Matteo Renzi: “Ho già risposto di no”, ha tagliato corto Tajani. Offrendo il fianco all’ironia del leader Iv: “Bruno Vespa mi ha chiesto di partecipare a un faccia a faccia con Antonio Tajani. Ho accettato. Tajani no. Chissà perché… Forza Italia scappa dal confronto, peccato”. Le prossime ore portebbero essere decisive. La riunione dell’AgCom – sulla carta convocata per il consueto monitoraggio settimanale sulla par condicio nelle emittenti televisive -potrebbe essere l’occasione per chiarezza sul confronto Meloni-Schlein e il rispetto delle regole.

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Risiko Ue, l’Italia punta a un commissario di peso

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L’Italia punta a un commissario europeo di peso, e nei piani di Giorgia Meloni potrebbe non essere un ministro del suo governo. La premier ha escluso di pensare a un rimpasto dopo le Europee, “a maggior ragione non per fare il commissario europeo”. Finora si era parlato molto di Raffaele Fitto e Giancarlo Giorgetti, ma dietro la postilla della leader di FdI, secondo ragionamenti che in ambienti di maggioranza vengono accostati alle sue strategie, ci sarebbero non solo l’ambizione di chiudere il quinquennio con la stessa squadra, e l’obiettivo di non toccare gli equilibri interni dopo le elezioni. Ma soprattutto l’intenzione di puntare su una delega importante come quella economica, oggi divisa fra Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis, o la concorrenza, mirando su un profilo che a Bruxelles non avrebbe problemi a far pesare la proprio autorevolezza.

Sono ragionamenti preventivi, manca ancora parecchio tempo, il risiko della governance europea è decisamente articolato e imprevedibile, ma già qualche nome circola. Fra questi, viene sussurrato con cautela anche quello di Daniele Franco, a cui la premier aveva pensato anche come ministro dell’Economia e che il governo ha poi sostenuto per la poltrona di presidente della Banca europea per gli investimenti, corsa in cui alla fine l’ha spuntata la spagnola Nadia Calvino. È una partita complessa, gli incastri dipenderanno anche dal destino di Mario Draghi, considerato in più cancellerie un papabile per la guida della Commissione europea ma anche per il Consiglio Ue.

Il risultato di questo gioco di incastri potrebbe arrivare mentre a Roma si entrerà in sessione di bilancio. Una missione che si annuncia delicata più che in altri anni. In primo luogo perché bisogna fare i conti con il nuovo Patto di stabilità, un compromesso da “migliorare”, si legge nel programma di FdI per le Europee, “nell’ottica di una maggiore flessibilità, tenendo conto delle esigenze finanziarie degli Stati membri”. Le preoccupazioni sorgono già nella stessa maggioranza anche alla luce del braccio di ferro ad alta tensione andato in scena in questi giorni sulla stretta al superbonus e sul nodo sugar tax, con il blitz per inserire un nuovo componente in commissione Finanze al Senato, dove il voto rischiava di essere pericolosamente in bilico. La manovra “sarà un inferno”, prevede un membro del governo che ne ha viste tante in Parlamento. Servirà massima attenzione per evitare cortocircuiti, quando si tratterà di impostare una legge di bilancio con risorse tutt’altro che abbondanti. E con equilibri di forza che potrebbero variare dopo le Europee.

Molte delle fibrillazioni primaverili sono direttamente riconducibili alle strategie elettorali diverse di FdI, FI e Lega. Meloni assicura di non temere questa campagna elettorale “divisiva”, ma i suoi fedelissimi non fanno mistero dell’irritazione con cui ha seguito la rivolta degli azzurri, guidati da Antonio Tajani, contro l’emendamento messo a punto da Giorgetti, con le norme retroattive sul superbonus. Una soluzione pensata dal Mef per frenare quello che Meloni ha più volte definito “dramma” o “macigno” per le casse dello Stato. E nella battaglia contro questo macigno, a tutela dei conti pubblici, bisognerebbe stare uniti, sarebbe il pensiero della premier, come raccontato nei capannelli dei meloniani in Transatlantico. Non a caso, in questi giorni lei e gli esponenti del suo partito, pubblicamente, si sono tenuti alla larga dalla disputa, probabilmente allineati con la stretta messa nero su bianco dal ministro dell’Economia. Nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, ed è un altro dei ragionamenti che rimbalzano fra i parlamentari di maggioranza, si capirà quanto effettivamente la pazienza del ministro dell’Economia sia messa a dura prova dagli alleati.

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