Nascere al sud piuttosto che al centro-nord significa ‘perdere’ un anno di scuola tra mensa e tempo pieno mancati e l’assenza di palestre per il 66% degli allievi delle scuole primarie; dato, quest’ultimo, che concorre all’obesità di cui soffrono quasi un ragazzino del Mezzogiorno su tre. I numeri, inquietanti, sono emersi nell’incontro “Un paese due scuole”, promosso da Svimez e L’Altra Napoli onlus.
“Il quadro che emerge, e che rischia di rafforzarsi ancor più se passano le proposte di autonomia – avverte il direttore di Svimez Luca Bianchi – è quello di adattare l’intensità dell’azione pubblica alla ricchezza dei territori, con maggiori investimenti e stipendi nelle aree che se li possono permettere, pregiudicando la funzione principale della scuola, che è quella di fare uguaglianza”. Per effetto delle carenze infrastrutturali, solo il 18% degli alunni del Mezzogiorno accede al tempo pieno a scuola, rispetto al 48% del Centro-Nord. La Basilicata (48%) è l’unica regione del Sud con valori prossimi a quelli del Nord. Gli allievi della scuola primaria nel Mezzogiorno frequentano mediamente 4 ore di scuola in meno a settimana rispetto a quelli del Centro-Nord. La differenza tra Molise e Sicilia e Lazio e Toscana è, su base annua, di circa 200 ore. I dati certificano anche che nel Mezzogiorno il 79% degli alunni delle scuole primarie statali non beneficia di alcun servizio mensa. Al Centro-Nord, gli studenti senza mensa sono il 46% del totale. Dallo studio risulta inoltre un progressivo disinvestimento dalla filiera dell’istruzione che ha interessato soprattutto le regioni del Sud.
Tra il 2008 e il 2020, la spesa complessiva in termini reali si è ridotta del 19,5% al Sud, oltre 8 punti percentuali in più del Centro-Nord. Ancora più marcato il differenziale a svantaggio del Sud nel calo della spesa per investimenti, scemata di quasi un terzo contro “solo” il 23% nel resto del Paese. Più significativo è il rapporto tra spesa e studenti, dal quale risulta uno scarto sfavorevole al Sud, dove la spesa per studente è di circa 100 euro annui inferiore rispetto al resto del Paese (5.080 euro per studente contro 5.185). Lo scarto aumenta se si considera il solo comparto della scuola, con una spesa per studente di 6.025 euro al Sud contro 6.395 nel Centro-Nord. La debolezza dell’offerta scolastica e la limitata qualità dei servizi pubblici alimenta il processo di denatalità e i flussi di migrazione giovanile: tra il 2015 e il 2020 il numero di studenti del Mezzogiorno, dalla materna alle superiori, si è ridotto di quasi 250.000 unità contro un calo di 75.000 nel Centro-Nord. La capogruppo M5S in Senato Barbara Floridia, ha ricordato al ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara che “il suo dovere è rappresentare tutta la comunità scolastica e non solo una parte”.
“Con il governo Meloni abbiamo un paese e 20 scuole”, è l’accusa dei capigruppo M5S in commissione Istruzione Anna Laura Orrico e Luca Pirondini. “Sono dati che imporrebbero interventi per ridurre distanze e differenze mentre il governo, con l’autonomia differenziata spacca Italia, non farà che allargarli”, ha osservato Irene Manzi, deputata Pd e capogruppo in commissione istruzione. Da Giuseppe D’Aprile, che guida la Uil scuola, un appello: “siamo ancora in tempo per gestire le risorse del Pnrr in maniera razionale. Facciamolo, è un’occasione che non tornerà più”. E il presidente della Campania Vincenzo De Luca ha annunciato di aver fatto ricorso contro la decisione del governo di tagliare 170 scuole nella regione. “Facciamo fronte – ha sottolineato – a iniziative irresponsabili di chi taglia anziché preoccuparsi di ampliare il tempo pieno e il personale scolastico, che così invece sarà ridotto”.