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Salute

I migliori ospedali italiani a Rozzano e Ancona

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Dai tumori agli interventi per la frattura del femore, passando per le cure per il cuore, sono l’Istituto Humanitas di Rozzano (Milano) e l’Azienda Ospedaliera Universitaria delle Marche, ad Ancona, i due ospedali che hanno fornito migliori cure ai cittadini. Le due strutture sono state premiate dall’Agenzia Nazionale per i Servizi sanitari regionali (Agenas) in quanto uniche ad aver ottenuto “semaforo verde”, cioè valutazione alta, per almeno 6 aree cliniche. Dai risultati del Programma Nazionale Esiti (Pne), però, emerge anche molto altro: nel 2021 sono stati registrati mezzo milione di ricoveri in più rispetto al 2020, anche se restano molto meno rispetto ai livelli pre Covid. Restano forti le disuguaglianze tra regioni ma le cure per tumore hanno visto “importanti segnali di ripresa”.

Il quadro fornito dal Pne parla di un’Italia che cerca, con fatica, di recuperare il terreno perso a causa dell’emergenza Covid-19. Nel 2021 sono stati registrati ben 501.158 ricoveri in più rispetto al 2020, ma restano comunque 1,2 milioni in meno rispetto al 2019. L’analisi ha preso in considerazione 194 indicatori, relativi sia all’assistenza ospedaliera che territoriale, come ospedalizzazione evitabile, esiti a lungo termine e accessi impropri in pronto soccorso. I dati dimostrano “una tenuta del sistema, in particolare per la tempestività di accesso a cure urgenti”. Quanto alle cure oncologiche, nel 2020, si era verificata una forte riduzione degli interventi per tumore della mammella, con 6.300 ricoveri in meno rispetto al 2019. Nel 2021 si assistite, invece, a “un’importante ripresa, con un aumento di 6.700 interventi rispetto all’anno precedente e un riallineamento” rispetto al pre Covid. Ma ancora una donna su 4 viene operata in ospedali che effettuano meno di 150 interventi l’anno.

Tra i 5 che ne hanno registrati di più nel 2021 ci sono Istituto Europeo di Oncologia di Milano, Policlinico Gemelli di Roma, Ospedale Careggi di Firenze, Irccs Istituto Nazionale Tumori di Milano. Solo uno tra i primi 10, l’Humanitas istituto Clinico Catanese di Misterbianco, si trova in una regione del Sud Italia. Uno dei più frequenti motivi di ricovero in Italia è la frattura del femore, anche questi diminuiti nel 2020. Nel 2021 c’è stato un leggero aumento, di circa 2.600 in più, che ha riavvicinato ai numeri del pre pandemia. Quasi tutti, inoltre, sono stati effettuati in ospedali con alti volumi di attività chirurgica, indicatore associato a un miglior esito delle cure. Mentre la proporzione di over 65 operati entro 48 ore, altro indicatore di buona assistenza, è rimasta intorno al 50%. Le strutture che nel 2021 hanno trattato più di 100 fratture del femore sono 327 e le 5 che ne hanno eseguiti di più sono: Ospedale Umberto I di Siracusa, Ospedale Pertini e Campus Biomedico di Roma, Ospedale S. Giovanni di Dio di Agrigento, Ospedale di San Donà di Piave (VE).

“La qualità delle cure – ha commentato il direttore Agenas Domenico Mantoan – inizia a essere diffusa sul territorio e non più solo una prerogativa del Nord”. Quanto alla protesi d’anca, nel 2020, c’erano stati 19.167 ricoveri in meno rispetto al 2019, pari a -18%. Nel 2021 però “si è registrata una ripresa consistente, con 115.097 interventi”, 18mila in più rispetto al 2020. Per quanto riguarda le malattie cardiovascolari, nel 2021 ci sono stati 900 ricoveri in più rispetto al 2020, anche se sono stati 11.300 in meno rispetto al pre pandemia. “Recuperare i ritardi provocati dall’emergenza Covid – ha detto il ministro della Salute Orazio Schillaci – è una delle mie priorità, così come superare le disuguaglianze nell’accesso alle cure”. Per “affrontare le liste d’attesa e le prestazioni non erogate a causa del Covid”, ha aggiunto, “servono appropriatezza e rigore”. La fotografia scattata, ha detto il presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss), Silvio Brusaferro, mostra che “nonostante l’emergenza Covid, il sistema nel complesso ha tenuto, ma ci sono aree dove migliorare a livello regionale e locale”. I risultati, conclude Enrico Coscioni, presidente Agenas, “confermano come la pubblicazione dei dati sia uno strumento fondamentale di governo del sistema” e “per intervenire sulle criticità”.

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Carente in Italia un farmaco chemioterapico molto usato

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Si chiama fluorouracile ed è un farmaco chemioterapico molto utilizzato dai pazienti oncologici. Al momento, è però “carente o disponibile in quantità ridotta” in Italia. A dare notizia dell’ultima carenza registrata sul nostro territorio è l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) insieme all’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), che rassicura tuttavia i pazienti che si stanno mettendo in atto tutte le procedure necessarie per ripristinarne la disponibilità e fornisce indicazioni precise ai medici oncologi su come gestire la situazione. “Le confezioni disponibili non saranno in grado di soddisfare le richieste del mercato per i prossimi mesi”, afferma l’Aifa sul proprio sito. L’Agenzia assicura però di essere “in costante contatto con i titolari delle Autorizzazioni alle Immissioni in Commercio dei medicinali a base di Fluorouracile per avere aggiornamenti su eventuali prossime forniture aggiuntive”.

L’Aifa si è inoltre detta disponibili a rilasciare alle strutture sanitarie che ne faranno richiesta l’autorizzazione a importare il farmaco dall’estero. A preoccupare è però proprio il largo utilizzo di questo chemioterapico. Il fluorouracile, spiegano gli oncologi, è un farmaco che rientra in numerosi schemi di trattamento per neoplasie dell’apparato gastroenterico, della mammella e del distretto testa-collo e la sua carenza, sia pur transitoria, “rappresenta un reale problema per la pratica clinica oncologica anche a causa della impossibilità di sostituirlo con altri farmaci per uso parenterale”. “Stimiamo – sottolinea il presidente Aiom, Francesco Perrone – che circa il 20% dei nuovi pazienti oncologici ogni anno potrebbe avere potenzialmente bisogno del fluorouracile, si tratta di 70-75mila pazienti l’anno”.

Proprio per contribuire al superamento della carenza, spiega, “daremo indicazioni ai clinici affinchè considerino schemi terapeutici alternativi con farmaci orali, come la capecitabina, per i pazienti che inizieranno un nuovo trattamento nelle prossime settimane, se previsti nelle linee guida disponibili e clinicamente indicati. Cercheremo di dare la priorità ai pazienti già in trattamento e ci auguriamo che questa allerta possa presto rientrare”. Ribadendo che Aifa “sta già mettendo in moto anche tutte le procedure inerenti l’import del farmaco per superare il momento di criticità”, il presidente degli oncologi sottolinea anche “l’importanza di questa rinnovata collaborazione con l’Agenzia: questo metodo di collaborazione, e la condivisione dei contenuti, tra società scientifiche ed un ente regolatorio come Aifa – afferma – è fondamentale ed è a tutto vantaggio dei pazienti”.

Il problema della periodica carenza di farmaci non è una novità in Italia, ma si è da qualche anno acuito a seguito del conflitto in Ucraina e della difficoltà di produzione di alcuni principi attivi in vari paesi. Un problema che il nuovo presidente Aifa, Robert Nisticò, ha indicato come una priorità nel suo discorso di insediamento all’Agenzia, lo scorso 22 aprile: “Sarà nostro compito fondamentale assicurare che non ci siano carenze nel mercato di farmaci indispensabili. In questo particolare momento in cui purtroppo ci sono conflitti alle nostre porte che pesano sulla filiera del farmaco anche in Italia, l’Agenzia insieme con le industrie, dovrà assicurare la massima disponibilità per un approvvigionamento continuo dei farmaci essenziali sia nel nostro Paese che nei paesi più in difficoltà”. Presso il ministero della Salute è inoltre attualmente attivo un Tavolo tecnico di lavoro nel settore dell’approvvigionamento dei farmaci sul territorio italiano.

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Cronache

Non era lombalgia, ma un tumore: denunciati tre medici

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È morta a 61 anni per un tumore ai polmoni ormai in metastasi ma che è stato scoperto troppo tardi perché inizialmente scambiato per una lombalgia. Ora i figli di Stella Alaimo Franco, scomparsa a Treviglio (Bergamo) lo scorso 30 marzo, hanno presentato denuncia, assistiti dall’avvocato Massimo Trabattoni, nei confronti di tre medici dell’ospedale di Treviglio e anche dell’intera Asst Bergamo Ovest. Ipotizzano il reato di omicidio colposo, ma ora dovrà essere la Procura a stabilire se avviare delle indagini. Quello che i due figli della donna, Monica e Andrea, contestano ai medici bergamaschi è di non aver fatto luce fin da subito sul reale – e grave – male che aveva colpito la madre, “che era sempre stata bene e non aveva mai avuto neppure un colpo di tosse”, hanno raccontato. Il primo accesso della loro mamma in ospedale a Treviglio risale al 17 dicembre scorso, quando Stella si presenta al pronto soccorso lamentando un forte dolore alla gamba.

La donna viene dimessa con una diagnosi di lombalgia dopo essere stata sottoposta ai raggi nella zona lombosacrale. Ma i dolori alla gamba non passano, anzi aumentano, e il 4 gennaio viene riportata dal figlio allo stesso pronto soccorso. Stando alla denuncia dei familiari, la donna viene rimandata a casa senza ulteriori indagini. In entrambi i casi la prognosi è di zero giorni e nel secondo accesso un infermiere le avrebbe suggerito di prendere in autonomia un antidolorifico. Nei giorni successivi, grazie a un conoscente personale della famiglia, Stella Alaimo viene sottoposta a una risonanza magnetica, che rivela delle metastasi. La situazione precipita rapidamente. Il 23 gennaio una Tac evidenzia un tumore di 5 centimetri per 4 al torace, con dei noduli diffusi. Il 29 gennaio la prima visita oncologica all’Istituto dei Tumori di Milano. La diagnosi stavolta parla di ‘adeno carcinoma polmonare al quarto stadio plurimetastatico con carcinosi peritoneale’.

A febbraio la donna già non riesce più ad alzarsi dal letto. Il 30 marzo muore, cento giorni dopo il primo accesso al pronto soccorso. Una morte di fronte alla quale i due figli non si rassegnano: “Ci era stato detto dall’équipe che l’aveva in cura a Milano che se quel tipo di tumore fosse stato diagnosticato per tempo, avrebbe potuto essere curato, e che il ritardo della diagnosi errata dei medici di Treviglio ha causato gravi conseguenze, dal momento che la malattia era avanzata in modo irreversibile”. L’Asst Bergamo Ovest non ha voluto rilasciare dichiarazioni sull’episodio.

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In Evidenza

Neonata con rara malformazione nata a Salerno e gestita con competenza dai medici

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Parto eccezionale all’ospedale di Salerno. Una donna di 38 anni è stata dimessa dal Reparto di Gravidanza a Rischio dell’Aou San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, diretto dal dottor Mario Polichetti, dopo aver dato alla luce una neonata con una rarissima malformazione. La paziente era stata trasferita dall’ospedale di Polla al Ruggi dove ha partorito sua figlia che sta bene anche se è tuttora ricoverata nel reparto di Neonatologia, diretto dalla dottoressa Graziella Corbo, per ulteriori controlli. La neonata, di quasi 3 chili, è portatrice di una condizione genetica molto rara, denominata ‘Situs Inversus’, ovvero un collocamento anomalo degli organi del torace e dell’addome con inversione di posizione, rispetto alla loro sede usuale.

La piccola paziente, ha infatti il cuore, lo stomaco e la colecisti a destra ed una malformazione della vena cava, vicariata dalla vena emiazygos. “Il parto in questione – spiega Polichetti – è un evento davvero straordinario e deve essere gestito con estrema competenza, per evitare eventuali complicazioni, ma siamo fieri ed orgogliosi che si sia concluso nel migliore dei modi”.

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