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Dimissioni a tappe di BoJo e scenari possibili

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Un processo di dimissioni a tappe destinato a lasciare il Regno Unito in uno stato di sospensione per tre mesi, carico d’incognite e la cui tenuta resta tutta da verificare. Ma che almeno sembra allontanare l’ombra dei timori di una crisi istituzionale con la 96enne regina Elisabetta. E’ lo scenario che si delinea oggi a Londra dopo il preannuncio delle dimissioni di Boris Johnson da leader del Partito Conservatore, forza largamente di maggioranza alla Camera dei Comuni, con l’impegno a lasciare in automatico anche la carica di primo ministro solo dopo l’elezione di un successore alla testa dei Tories: attesa per ottobre, complice il recesso del Parlamento per la pausa estiva che scatta fra due settimane. L’iter scelto da Downing Street, dopo la resa obtorto collo di BoJo alle conseguenze degli ultimi scandali e alla raffica di dimissioni dalla sua compagine, prevede le dimissioni immediate – oggi stesso – dalla leadership di partito. Ma con una fase di permanenza sulla poltrona di premier per il tempo necessario ai Tories a eleggere con procedura ordinaria un nuovo o una nuova leader sotto gli auspici del Comitato 1922, organismo interno del gruppo parlamentare: procedura che prevede la raccolta delle nomination dei pretendenti in Parlamento e poi una serie di votazioni successive fra i deputati conservatori per la scrematura della lista – attraverso l’esclusione volta per volta del meno suffragato – fino a lasciare due candidature residue (se nessuno avra’ nel frattempo ottenuto il consenso d’una maggioranza qualificata di parlamentari) da affidare allo scrutinio conclusivo postale fra una platea d’iscritti. Sfida che, tenuto conto del recesso, e’ destinata a protrarsi sino a inizio ottobre, ossia della viglia della conferenza annuale (il congresso) del partito. Un interregno che tuttavia alcuni esponenti della stessa parrocchia Tory giudicano insostenibile. Tanto piu’ che intanto Johnson ha visto dimettersi una cinquantina di membri dell’esecutivo su circa 150 (fra posizioni senior e junior), e che rimpiazzare i fuoriusciti – o farli rientrare in parte – non sara’ cosa facile. Di qui l’idea alternativa di un iter piu’ sbrigativo per Johnson, che dovrebbe prevederne la sostituzione anche a Downing Street con un facente funzione – sulla carta il vicepremier Dominic Raab, uno suo fedelissimo, se fosse disposto ad accettare – ben prima di ottobre: idea che tuttavia andrebbe fatta digerire a Johnson, con non si sa bene quali pressioni visto che nessuno puo’ legalmente obbligarlo a dimettersi da premier in quanto leader vincitore delle elezioni politiche di fine 2019. Appare invece per ora dissipato l’incubo di un terzo scenario: quello evocato fino a stamattina della possibilita’ che Johnson, barricato a Downing Street malgrado la rivolta nel partito, potesse giocarsi la carta di sciogliere la Camera dei Comuni e convocare d’autorita’ un voto anticipato nazionale kamikaze. Una prerogativa che la legge britannica assegna al premier, con il solo obbligo della controfirma della sovrana, dopo la revoca nel 2019 di una riforma del 2011 che l’aveva delegata invece all’approvazione di due terzi della Camera; ma che avrebbe messo in imbarazzo Elisabetta II (14 primi ministri finora nel suo lungo regno), costringendola a scegliere se assecondare come la prassi impone i desiderata di un capo di governo non piu’ sostenuto dal grosso della sua maggioranza o sbarrargli il passo con un diniego e un atto politico estraneo alla tradizione della monarchia costituzionale britannica.

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Guterres: Italia pilastro fondamentale multilateralismo

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“L’Italia è un pilastro fondamentale del multilateralismo e un partner esemplare delle Nazioni Unite. In ogni area delle nostre attività l’Italia è sempre presente, nelle operazioni di peacekeeping, nello sviluppo sostenibile, nella protezione climatica, nei diritti umani. E’ molto importante dirlo nel momento in cui l’Italia assume la presidenza del G7” ha spiegato il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres incontrando il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in visita al Palazzo di vetro.

“Questo paese – ha proseguito Guterres – è sempre stato un ponte tra nord e sud, un ponte che ora è più necessario che mai, quando si vive in un mondo dove le divisioni geopolitiche hanno creato tante difficolta’ in tutte le aree”. “E’ molto importante avere l’Italia alla guida del G7 – ha continuato – ed essere in grado di raggiungere le riforme della nostra istituzione multilaterale che non rappresenta più la realtà del mondo moderno”.

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Gaza: media, bilancio attacchi Israele su Rafah sale a 8 morti

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L’agenzia di stampa palestinese Wafa afferma che è salito ad almeno otto morti e diversi feriti il bilancio degli ultimi attacchi israeliani sulla città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza.

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Hamas accetta l’accordo ma Israele bombarda Rafah

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Hamas ha accettato, in extremis, la proposta di Egitto e Qatar per un accordo con Israele sul cessate il fuoco. Forse nell’ultimo, disperato tentativo di fermare l’irruzione dei soldati israeliani a Rafah, dove in mattinata era scattato l’ordine di evacuazione di un centinaio di migliaia di civili già stremati da sei mesi di guerra.

Ma lo Stato ebraico per ora frena, e anzi ha aumentato la pressione militare sulla città al confine egiziano con “attacchi mirati”, aerei e di artiglieria, nella parte orientale della città al sud della Striscia, mentre fonti palestinesi hanno riferito di “un improvviso ingresso via terra” nell’est. In serata, il gabinetto di guerra ha infatti “deciso all’unanimità di continuare la sua operazione a Rafah”, e al tempo stesso di inviare una delegazione al Cairo martedì per continuare ad “esplorare la possibilità di raggiungere un accordo a condizioni accettabili”. Anche il presidente americano Joe Biden ha cercato ancora una volta di convincere il premier Benyamin Netanyahu a non invadere la città, insistendo sul fatto che raggiungere un’intesa per un cessate il fuoco è il modo migliore per proteggere la vita degli ostaggi. Poi l’annuncio di Hamas, giunto dopo la telefonata tra i due leader.

“Adesso la palla è nel campo di Israele”, ha detto un esponente di Hamas dopo che il leader Ismail Haniyeh ha informato il premier del Qatar Mohammed bin Abdul Rahman Al Thani e il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel – e l’Iran – di aver “accettato” la loro proposta di mediazione. Secondo fonti della fazione palestinese, riportate dai media arabi, l’accordo sulla tregua prevede tre fasi di sei settimane ciascuna con l’obiettivo del cessate il fuoco permanente, il ritiro completo dell’Idf dalla Striscia, il ritorno degli sfollati al nord e lo scambio di prigionieri, a cominciare dai civili israeliani, donne, bambini, anziani e malati. Israele ritiene siano 33 gli ostaggi in questa categoria, definita “umanitaria”, e Hamas si è impegnato a rilasciarli, vivi o morti. Tra i detenuti palestinesi da liberare ci sarebbero, invece, anche 20 condannati all’ergastolo.

Gli ultimi dettagli dovrebbero essere comunque discussi di nuovo martedì al Cairo e le famiglie dei rapiti hanno lanciato un nuovo disperato appello al governo a dare seguito “al suo impegno nei confronti dei suoi cittadini”, accettando la proposta di Hamas. Prima degli intensi bombardamenti notturni, a Rafah la notizia era stata inizialmente accolta da urla di gioia e spari in aria. Ma fonti israeliane – nel silenzio di Netanyahu – hanno fatto sapere che Israele sta ancora “verificando la proposta e le sue conseguenze”, così come gli Stati Uniti. Pubblicamente però Israele, forse irritato dalla fuga in avanti dell’annuncio di Hamas, ha gelato gli entusiasmi: “Hamas non ha accettato. E’ il suo solito trucco”, ha detto il ministro dell’Economia, Nir Barkat, incontrando a Roma la stampa italiana.

Si tratta di “una proposta unilaterale senza coinvolgimento israeliano. Questa non è la bozza che abbiamo discusso con gli egiziani”, ha spiegato un alto funzionario israeliano al sito Ynet, aggiungendo che in questo modo Hamas mira a “presentare Israele come chi rifiuta” l’intesa. Mentre per il falco del governo di sicurezza Ben Gvir, “i giochetti di Hamas” meritano “una sola risposta: occupare Rafah”. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha invece invitato “tutti i Paesi occidentali a fare pressione su Israele affinché accetti”. “Siamo lieti che Hamas abbia annunciato di aver accettato il cessate il fuoco, su nostro suggerimento – ha sottolineato -. Ora lo stesso passo dovrebbe essere fatto da Israele”.

Accordo o meno, lo Stato ebraico va avanti nell’operazione militare contro i battaglioni di Hamas a Rafah. “Esaminiamo ogni risposta molto seriamente ed esauriamo ogni possibilità sui negoziati e il ritorno degli ostaggi alle loro case il più rapidamente possibile come compito centrale. Al tempo stesso continuiamo e continueremo ad operare nella Striscia”, ha chiarito il portavoce militare Daniel Hagari. L’avvio dell’evacuazione dall’est della città verso l’area umanitaria indicata dall’Idf ad al-Mawasi sulla costa ha allertato l’intera comunità internazionale, che tenta di impedire che gli eventi precipitino del tutto.

“E’ disumano”, ha dichiarato l’Onu. Prima di annunciare di aver accettato l’intesa per la tregua, anche Hamas ha denunciato “un’escalation”. La zona dell’evacuazione – che l’esercito ha definito “temporanea, limitata e graduale” – comprende “ospedali da campo, tende e maggiori quantità di cibo, acqua, farmaci e forniture aggiuntive”. L’Idf ha lanciato volantini in arabo, affiancati da sms, telefonate e avvisi sui media per spiegare i motivi dell’evacuazione e l’invito a lasciare l’area che sarà interessata dai combattimenti, quelle da evitare, come Gaza City e i passaggio a nord di Wadi, e anche il divieto di avvicinarsi alle recinzioni di sicurezza est e sud con Israele.

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