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Esteri

Tank sull’Azovstal. Kherson chiede a Putin l’annessione

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I carri armati russi stringono l’assedio sulla martoriata acciaieria Azovstal di Mariupol mentre Vladimir Putin e’ gia’ pronto a prendersi Kherson. Senza nemmeno passare per l’operazione cosmetica di un referendum, Mosca potrebbe presto annettersi la regione dell’Ucraina meridionale, tra le prime a sfuggire al controllo di Kiev all’inizio dell’invasione. La “russificazione” dell’oblast, baricentro della fascia costiera, era cominciata quasi subito con i cambi al vertice delle amministrazioni locali e la progressiva integrazione con i territori gestiti dai separatisti, fino alla decisione di mettere in circolazione dal primo maggio il rublo, pur in un regime transitorio di coesistenza con la grivnia ucraina. Ora, le autorita’ hanno chiesto esplicitamente al Cremlino di includere la regione “a pieno titolo” nella Federazione russa. “Il referendum che si e’ svolto in Crimea in modo assolutamente legale non e’ stato riconosciuto dalla comunita’ mondiale. Pertanto – ha detto il vice capo dell’amministrazione locale Kirill Stremousov – questo sara’ un unico decreto basato sull’appello della leadership della regione di Kherson al presidente russo Vladimir Putin”. Parole che suonano come una provocazione, mentre il conflitto prosegue e le forze ucraine preparano la controffensiva. E la reazione di Kiev non si e’ fatta attendere. “Le autorita’ di Kherson occupata dai russi – ha replicato Mikhaylo Podolyak, negoziatore e consigliere del presidente Volodymyr Zelensky – possono anche chiedere che la citta’ sia annessa a Marte o Giove, ma l’esercito ucraino la liberera’, a dispetto di qualsiasi cosa dicano”. Ma l’allineamento a Mosca, intanto, prosegue intanto anche nei territori separatisti di Donetsk e Lugansk, dove sono stati bloccati Facebook e Instagram in linea con la politica russa sui social americani. Sul terreno continua intanto l’assedio cruciale all’Azovstal, dove per cercare di sfondare, insieme ai raid dell’aviazione e dell’artiglieria, i russi hanno iniziato ad attaccare con i carri armati. “Un inferno in terra”, l’ha definito il consigliere del sindaco di Mariupol, Petro Andryushchenko, pubblicando un video in cui una densa colonna di fumo nero si leva dalla fabbrica-bunker, dove resta asserragliato un migliaio di combattenti, meta’ dei quali sarebbero feriti. Almeno 38 raid in 24 ore, di cui 4 con bombardieri strategici, ha denunciato il reggimento Azov. Assalti che potrebbero farsi ancora piu’ pesanti. Nell’impianto non ci sono piu’ civili e quindi, ha avvertito minaccioso il capo dei filorussi di Donetsk, Denis Pushilin, gli assedianti ora “hanno le mani libere”. I difensori, pero’, non fanno passi indietro. “Abbiamo solo due opzioni: evacuare la guarnigione sotto la garanzia di terzi o combattere fino alla fine. Non ci arrenderemo mai. Per Azov – ha detto il vicecomandante Svyatoslav Kalina Palamar – la prigionia e’ la morte”. Secondo il responsabile dell’intelligence Ilya Samoilenko, si continua a lavorare anche a un piano di fuga militare. Ma lo Stato maggiore resta prudente. Visto l’isolamento dell’acciaieria, ha spiegato, l’operazione sarebbe difficile e con un costo molto alto in termini di vite umane. L’esercito di Kiev non molla la presa e continua a ribattere alle offensive nemiche, specie a Kharkiv, pur con alcuni arretramenti tattici in vista dell’arrivo delle nuove armi pesanti inviate dall’Occidente. “Il Servizio di frontiera di Stato all’interno degli oblast di Kiev, Chernihiv e Sumy ha il controllo dei confini per quasi 1.200 chilometri, due terzi dei quali al confine con la Russia”, ha rivendicato il direttore del dipartimento per la protezione delle frontiere, Leonid Baran. I bombardamenti continuano pero’ senza sosta a nord e nell’est, da Chernihiv a Sumy, al Donbass, con raid missilistici a Sloviansk. Nell’oblast di Lugansk, ha denunciato il governatore Serhiy Haidai , e’ stata colpita una struttura che ospita bambini con disabilita’, insieme ad aree residenziali e infrastrutture strategiche, tra cui il principale gasdotto di Severodonetsk. Cresce anche il bilancio di vittime tra le forze ucraine. Secondo il capo del dipartimento operativo della Guardia nazionale, Alexei Nadtochiy, i militari del suo corpo uccisi sono 501, mentre altri 1.697 sono rimasti feriti. Cifre che si aggiungono a quelle diffuse il mese scorso da Zelensky, che aveva parlato di 2.500-3.000 morti e 10 mila feriti: un tributo di sangue che, come quello annunciato da Mosca, resta sottostimato.

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Esteri

Venezuela, liberato l’italiano Oreste Alfredo Schiavo: era detenuto da quattro anni per presunto golpe

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È tornato finalmente libero Oreste Alfredo Schiavo, imprenditore italo-venezuelano di 67 anni, condannato in Venezuela a 30 anni di carcere con l’accusa di tradimento, finanziamento del terrorismo e associazione a delinquere. Una vicenda che si trascinava dal giugno 2020 e che ha trovato un esito positivo nelle scorse ore, grazie alla mediazione riservata della Comunità di Sant’Egidio, con il supporto della Farnesina e dei rappresentanti diplomatici italiani in loco.

Arrestato per l’operazione “Gedeone”

Schiavo era stato arrestato dagli agenti del Sebin, il servizio di intelligence venezuelano, l’8 giugno 2020. Il suo nome era stato collegato all’operazione “Gedeone”, un presunto tentativo di colpo di Stato ai danni del presidente Nicolás Maduro, che avrebbe previsto lo sbarco di mercenari sulle coste del Paese per prendere in ostaggio funzionari del governo. Insieme a Schiavo furono fermate circa 90 persone. In primo grado, nel maggio 2024, Schiavo era stato condannato a 30 anni di carcere, nonostante le sue gravi condizioni di salute.

L’intervento di Sant’Egidio e il viaggio verso Roma

La svolta è arrivata nella giornata di ieri, grazie a un’operazione diplomatica silenziosa, portata avanti dal docente e dirigente di Sant’Egidio Gianni La Bella, dai funzionari dell’ambasciata e del consolato d’Italia, e con il determinante contributo di Rafael La Cava, ex ambasciatore venezuelano a Roma e attuale governatore dello Stato di Carabobo.
Schiavo è stato scarcerato dal penitenziario di El Helicoide, noto per la presenza di prigionieri politici e denunciato da organizzazioni per i diritti umani per le sue condizioni carcerarie, e successivamente condotto in una clinica per accertamenti sanitari.

“Liberato per motivi umanitari”

In serata, il rilascio si è trasformato in un rimpatrio in Italia, con un volo di linea diretto a Fiumicino partito alle 17 (ora locale). Sant’Egidio ha voluto ringraziare pubblicamente il presidente Maduro, specificando che il rilascio è stato concesso “per ragioni umanitarie, con un atto di liberalità personale”.

Un gesto che apre nuove possibilità

La liberazione di Schiavo potrebbe rappresentare il primo spiraglio per sbloccare anche altre detenzioni italiane in Venezuela, come quella del cooperante Alberto Trentini, arrestato nel 2024, e di due italo-venezuelani: Juan Carlos Marrufo Capozzi, ex militare arrestato nel 2019, e Hugo Marino, investigatore aeronautico che aveva indagato su due misteriosi incidenti aerei accaduti attorno all’arcipelago di Los Roques, nei quali morirono, tra gli altri, Vittorio Missonie sua moglie.

Il carcere e le denunce di tortura

Nel carcere di El Helicoide, dove era rinchiuso Schiavo, numerosi attivisti per i diritti umani hanno documentato casi di maltrattamenti e detenzioni arbitrarie. Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani si era occupato del suo caso, definito emblematico per le gravi violazioni del diritto alla difesa e per l’assenza di prove concrete nel processo.

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Media Houthi, 2 morti e 42 feriti nell’attacco israeliano

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E’ di almeno due morti e 42 feriti l’ultimo bilancio dell’attacco israeliano lanciato oggi alla fabbrica Ajal nella provincia di Hodeida, nello Yemen. Lo riporta il canale al Masirah, affiliato agli Houthi, citato da Ynet e dall’agenzia russa Tass. E’ la prima reazione di ISraele all’attacco degli Houthi all’aeroporto Ben Gurion dei giorni scorsi.

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Perù, coprifuoco a Pataz dopo la strage dei 13 minatori rapiti

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La presidente del Perù, Dina Boluarte, ha dichiarato il coprifuoco nella distretto di Pataz, nella regione settentrionale di La Libertad dopo che ieri la polizia ha ritrovato in un tunnel i corpi dei 13 lavoratori rapiti il 26 aprile scorso da minatori di oro illegali. Lo rendono noto i principali media peruviani.

Oltre al coprifuoco a Pataz, dalle 18 di sera alle 6 del mattino, Boluarte ha annunciato anche la sospensione dell’attività mineraria per 30 giorni in tutta la provincia oltre ad accogliere la richiesta delle autorità locali di aprire una base militare a Pataz, vista l’assenza della Polizia peruviana nella regione. La decisione segue di poche ore la diffusione di un video sui social media, registrato dai sequestratori, in cui si mostra come ciascuno dei minatori sia stato giustiziato a bruciapelo. Le 13 vittime erano lavoratori assunti dall’azienda R&R, di proprietà di un minatore artigianale che svolge attività di sicurezza per la miniera Poderosa, una delle principali compagnie aurifere della provincia, sempre più sovente bersaglio di attacchi da parte di minatori illegali e gruppi criminali. (

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