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Capire la crisi Ucraina

Le retoriche, la BATNA, la crisi russo-ucraina e l’invasione di Putin

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Nel grottesco esercizio che riduce le relazioni internazionali a un confronto tra “buoni” e “cattivi”, si ha tendenza a identificare gli uni e gli altri con il volto di qualcuno, con il nome e cognome di coloro che in quel momento guidano i Paesi che si stanno contrapponendo. Così, nella crisi ucraina, di cui l’invasione russa è la componente tragica, Vladimir Putin è il “cattivo” mentre Volodymyr Zelensky è il “buono”. Impressionanti quanto vuote, le standing ovations che il Presidente ucraino riscuote nei Parlamenti dei Paesi più rappresentativi dell’Occidente: dagli USA alla UE, dalla Gran Bretagna alla Germania.

Volodymyr Zelensky. Il presidente ucraino in mimetica mostra il suo volto di condottiero che difende la Patria dai russi

E’ facile immaginare come ciascuno di noi, se si trovasse in quei Parlamenti ad ascoltare i discorsi sapientemente costruiti di Zelensky, non potrebbe che alzarsi in piedi e applaudire commosso. Come non partecipare al dramma di un uomo politico in tenuta da campo che parla sotto le bombe di un nemico che sembra privo di ogni umanità? Nel frattempo, sia l’uomo che parla che coloro che ascoltano, pur avendone il potere, fanno molto, ma molto poco per costruire una soluzione politica che vada oltre gli scenari militari che producono ogni giorno morti, sofferenze, distruzioni. Ogni secondo dei discorsi di Zelensky e della vice premier I. Vereshchuk, genera un profugo bambino in Ucraina. Sono le ultime stime dell’UNICEF. Ogni secondo che passa, aggrava o rende più facili le condizioni del negoziato, per gli uni e per gli altri: ma dobbiamo avere consapevolezza –specie quando sosteniamo l’invio di armi che possono pur generare atti eroici ma che, al tempo stesso, prolungano il conflitto- dobbiamo sapere, ecco, che ciò avviene sulla pelle della popolazione.

Iryna Vereshchuk. Vicepremier ucraina, anche lei si presenta in pubblico in mimetica come Zelensky

I popoli, già. Paradossalmente, queste messe in scena mediatiche finiscono per relegare in secondo piano quel che pensa la gente. E come quel che pensa la gente influisce sulla BATNA di coloro che devono arrivare da qualche parte, seduti attorno a un tavolo. Come dite? Cosa vuol dire BATNA? E’ un acronimo, s’intende: sta per Best Alternative To a Negotiated Agreement. Cioè: che succede se non si riesce a portare avanti l’accordo, se il negoziato fallisce? Qual è il meglio che può capitare alla parte che negozia? Ogni negoziatore che si rispetti ha la sua BATNA, perché essa rappresenta la sua base negoziale. Rispetto a questa si misura l’utilità marginale della negoziazione. Se col negoziato non porto a casa niente di più della mia BATNA, vuol dire che quel tavolo l’ho perso.

Negoziati. Uno dei tanti tavoli di confronto tra la diplomazia russa e ucraina che lavorano alla cessazione delle ostilità

Ogni negoziatore ha la sua BATNA in tasca, dunque. Ma si guarda bene dal rivelarla! Sapere è potere, come è ben noto, e se io svelo le condizioni a cui sono disposto a fare un accordo –quelle minime, che devono comunque essere superiori alla mia BATNA- ho messo in mano al mio avversario, al mio competitor, una vera e propria arma letale. La BATNA, pertanto, non è una dichiarazione formale, un testo ben confezionato. Va capita dai gesti, dalle parole, dalle dichiarazioni degli attori della negoziazione, dai loro comportamenti sul campo (se c’è uno scontro militare, ad esempio), dalle relazioni che mette in piedi e sviluppa con i suoi antagonisti e con la comunità internazionale.

Julija Tymošenko. E’ stata primo ministro dell’Ucraina dal 2007 al 2010 e per prima organizzò un referendum per l’adesione alla Nato

Abbiamo un’idea di quale sia la BATNA ucraina, oggi? Molto rudimentale. Di là dai discorsi del Presidente e dalle interviste della Vereshchuk o della stessa J. Tymoshenko che ricomincia a vedersi sulla scena mediatica,  Zelensky e i suoi sembrano ancora muoversi in un’area di walk away BATNA, la situazione peggiore, in cui cioè non c’è n.i.e.n.t.e. da negoziare. Ciò vuol dire, purtroppo, che non è stato fatto un passo avanti dall’incontro turco di Antalya, conclusosi dopo un’ora e quaranta minuti con dichiarazioni separate dei Ministri degli Esteri russo e ucraino, che annunciavano il nulla di fatto da parte di persone che non hanno neppur provato ad iniziare a parlare.

Putin al Cremlino. Lui è l’invasore che si presenta in pubblica quasi sempre da solo

Abbiamo un’idea meno vaga, per contro, di quale sia la BATNA russa oggi. Cioè ci avviciniamo con una plausibile approssimazione a ciò che rappresenterebbe per la Russia non sedersi al tavolo negoziale. E a quelli che sarebbero, dunque, gli sviluppi di una crisi ucraina consegnata mani e piedi nelle prigioni di guerra della BATNA russa. Un disastro da evitare ad ogni costo e al più presto. Possiamo applaudire Zelinsky, piangere per la sua gente uccisa, dilaniata dalle bombe, umiliata e offesa. Ma dobbiamo ormai fargli sapere che non ha più tempo per giocare a nascondino. Deve aprire rapidamente un negoziato per fermare la guerra, e chiuderlo altrettanto rapidamente per stabilire la pace. Ciascuno, poi, farà la sua parte. J. Biden e Xi Jinping compresi…..  

 

Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.

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Ucraina: tre anni di guerra, centinaia di migliaia di morti… per cosa?

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Dunque, facciamo un riassunto. Tre anni fa, il 24 febbraio 2022, la Russia invadeva l’Ucraina. L’idea di Putin era chiara: una blitzkrieg, due giorni per arrivare a Kiev, eliminare il governo e sostituirlo con una marionetta del Cremlino. Facile, no? Peccato che la storia non abbia seguito il copione scritto a Mosca.

La “non-guerra” russa e l’ecatombe in corso

In Russia, guai a chiamarla guerra. È una “operazione speciale militare”, un po’ come definire il Titanic “un incidente nautico di lieve entità”. Eppure, questa non-guerra ha prodotto una ecatombe: centinaia di migliaia di soldati russi morti, oltre 80mila ucraini caduti. E queste sono solo le stime ufficiali, perché il numero reale di vittime potrebbe essere ancora più tragico.

Ma non parliamo di numeri. Parliamo di morti, di una carneficina che ha lasciato città distrutte, milioni di sfollati e un’Europa che per tre anni ha investito miliardi per difendere l’integrità territoriale ucraina, la democrazia e i principi cardine del diritto internazionale.

L’Occidente che armava Kiev (fino a ieri)

Per tre anni, l’Europa e gli Stati Uniti di Joe Biden hanno riversato in Ucraina decine di miliardi di euro e dollari, inviando armi, addestrando soldati, costruendo difese, imponendo sanzioni alla Russia e isolando il Cremlino. La NATO ha fatto il possibile per tenere l’Ucraina in vita, ma soprattutto per tenere i russi fuori dai confini europei.

E nonostante tutto, la grande Armata Rossa non ha mai sfondato. Putin ha mandato in battaglia galeotti, ha chiesto aiuto ai nordcoreani, ha arruolato mercenari, ha schierato la famigerata Wagner. Eppure, gli ucraini non hanno ceduto. Hanno preferito morire piuttosto che tornare sotto la sferza russa.

L’Unione Europea accelerava per accogliere Kiev nell’UE. La NATO era pronta a fare dell’Ucraina un suo membro. Ma poi…

Trump entra alla Casa Bianca, Putin sorride

Il 20 gennaio 2025 Donald Trump torna presidente degli Stati Uniti d’America. In meno di un mese, qualcosa cambia. Washington e Mosca riprendono a parlarsi, Trump e Putin si sentono al telefono come vecchi amici. E soprattutto, decidono che la guerra deve finire.

Come? Semplice. L’America di Trump smette di inviare armi e suggerisce che gli ucraini devono rassegnarsi a perdere pezzi del loro Paese. Niente NATO per Kiev, niente resistenza fino alla fine. E soprattutto, gli Stati Uniti vogliono le terre rare ucraine, quelle risorse minerarie fondamentali per l’industria tecnologica.

Dunque, riepiloghiamo: tre anni di guerra, centinaia di migliaia di morti, miliardi di euro investiti per difendere l’Ucraina… e ora tutto si risolve così? Trump e Putin spartiscono il Paese, gli ucraini devono ingoiare il rospo, e il mondo guarda in silenzio.

La spartizione dell’Ucraina e il nuovo ordine mondiale

Il nuovo accordo sembra scritto con un righello:

  • Un pezzo all’Ucraina (giusto per non cancellarla del tutto).
  • Un pezzo alla Russia, che si tiene le terre occupate.
  • Un pezzo agli Stati Uniti, che si prendono le risorse minerarie strategiche.
  • Un pezzo ai caschi blu dell’ONU, o a qualche “forza internazionale” che piaccia a Putin.

Nel frattempo, Trump pensa in grande: riannettere il Canale di Panama, erigere nuovi muri con il Messico, ribattezzare il Golfo del Messico in “Golfo d’America”, comprare la Groenlandia, annettere il Canada. Sì, perché gli Stati Uniti hanno bisogno di espandersi, non solo in Ucraina, ma ovunque Trump voglia lasciare il segno.

Tre anni di guerra… per cosa?

Alla fine, quello che per tre anni era stato un punto fermo – la difesa dell’Ucraina, della democrazia, dei confini europei – non conta più nulla. Si fa come decidono Trump e Putin. L’Ucraina viene smembrata. I morti? Un dettaglio di cui nessuno parlerà più.

E noi, in Europa, guardiamo in silenzio. Perché, alla fine, sembra che la storia sia scritta sempre dai più forti. E gli ideali? Quei principi che hanno giustificato tre anni di guerra, le parole sulle libertà, la sovranità, la democrazia? Tutto inutile. Basta una stretta di mano tra due uomini e il destino di una nazione cambia per sempre.

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Cremlino, è Kiev che non vuole colloqui di pace

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“Mosca è pronta a risolvere il conflitto ucraino attraverso colloqui di pace, ma Kiev rifiuta di impegnarsi in questo processo”: così il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov (foto in evidenza) commentado le parole del premier ungherese Viktor Orban, secondo cui il conflitto armato in Ucraina finirà nel 2025, “o attraverso un trattato di pace o dopo il crollo di uno dei belligeranti”. “Vladimir Putin ha ripetutamente sottolineato che siamo aperti a risolvere le nostre divergenze attraverso colloqui di pace. Tuttavia, poiché l’Ucraina attualmente si rifiuta di impegnarsi nei colloqui, continuiamo la nostra operazione”, ha detto il responsabile alla Tass. “Per noi è importante raggiungere tutti gli obiettivi che abbiamo di fronte per garantire la sicurezza del nostro Paese”, ha ribadito.

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La spia che venne dagli Usa, l’uomo di Mosca nel Donbass

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Le prime foto di lui, con il viso pixelato e abbracciato a un soldato, erano apparse sui canali di blogger militari russi il 28 ottobre, subito dopo l’operazione che lo aveva esfiltrato dal territorio ucraino. Ma oggi Daniel Martindale si è presentato a volto scoperto e mostrando i suoi documenti di americano davanti ai giornalisti a Mosca, affermando di aver operato per oltre due anni dietro le linee nemiche fornendo preziose informazioni alle truppe di Mosca nel Donbass. Ora Martindale, che ha 33 anni, dice di voler farsi una vita e una famiglia in Russia e lavorare come agricoltore.

Oltre che acquisire la cittadinanza russa. Come Edward Snowden, l’informatico e attivista statunitense già tecnico della Cia che dal 2013 vive in Russia dopo aver rivelato i dettagli di diversi programmi top secret di sorveglianza di massa del governo di Washington e quello di Londra. E non sarà certo una sorpresa se Mosca deciderà di concedere la cittadinanza anche al nuovo transfuga, che promette di diventare una importante pedina della macchina propagandistica. “Dal 2005 considero gli Usa il mio nemico”, ha dichiarato Martindale, presentatosi alla stampa in camicia arancione e un cappellino nero con visiera. Quello che accade in Ucraina, ha insistito, “è un tentativo dell’America di contenere la Russia per non permetterle di competere ad armi pari con gli Stati Uniti”.

Poi un messaggio diretto a Washington: “Se qualcosa succede a me o a qualche mio parente non sarà un incidente, ma opera delle autorità americane per costringermi a tornare negli Usa e accusarmi di tutti i peccati”. Martindale ha detto di essere stato un “missionario” in Polonia. Quando ha capito che stava per scoppiare una guerra, si è trasferito in Ucraina e, dopo essere passato per Kiev, è arrivato nel territorio della regione di Donetsk controllato dalle forze governative solo una decina di giorni prima dell’attacco russo. Da lì, ha detto, si è messo in contatto con le forze separatiste filorusse scrivendo sul loro canale Telegram. Lo stesso sistema ha utilizzato per mantenere poi i contatti con le agenzie di sicurezza russe, che gli hanno fatto arrivare un nuovo telefono cellulare con un drone.

La settimana scorsa le forze speciali della 29/a Armata hanno fatto un’incursione in territorio ucraino per farlo uscire, dopo che, sostengono i canali degli osservatori militari russi, aveva avuto “un ruolo chiave nella preparazione dell’assalto al villaggio di Bogoyavlenka”, caduto in mano russa qualche giorno fa. Anche oggi Mosca ha annunciato la conquista di nuovi villaggi, quelli di Kurakhivka nella regione di Donetsk e quello di Pershotravneve nella regione di Kharkiv, in un’avanzata nell’est dell’Ucraina che ha accelerato nelle ultime settimane. Le truppe ucraine stanno affrontando una delle più “potenti” offensive della Russia dall’inizio dell’invasione, ha detto il comandante delle forze armate, Oleksandr Syrsky. La situazione è difficile, e “le ostilità in alcune aree richiedono un costante rinnovamento delle risorse delle unità ucraine”, ha aggiunto.

Difficoltà confermate dall’intelligence militare dell’Estonia, secondo la quale solo nell’ultima settimana le forze russe hanno occupato circa 150 chilometri quadrati di territorio nella regione di Donetsk. Il presidente Volodymyr Zelensky ha denunciato massicci attacchi di droni nella notte su varie regioni, compresa Kiev, dove le autorità locali hanno parlato di incendi scoppiati in vari edifici residenziali. Due feriti sono segnalati nella capitale e cinque, di cui tre bambini, a causa di un bombardamento di artiglieria nella città meridionale di Kherson. “I costanti attacchi terroristici contro le città ucraine provano che la pressione esercitata sulla Russia e i suoi complici non è sufficiente”, ha affermato Zelensky. Le autorità russe hanno invece detto che quattro civili sono rimasti feriti in attacchi di droni ucraini sulla regione frontaliera di Kursk e uno su quella di Belgorod. Oltre a due persone rimaste ferite in un attacco di artiglieria delle forze di Kiev a Gorlovka, località nel Donetsk controllata dalle truppe di Mosca.

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