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La guerra di Putin in Ucraina ha già fatto strage di bimbi

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Aveva solo 5 anni, la meta’ della sorella Polina. Semyon e’ l’ennesima vittima innocente dell’invasione russa in Ucraina che, in una sola settimana, ha ucciso 17 bambini. Il piccolo e’ morto oggi all’Okhmatdyt Children’s Hospital di Kiev, a tre giorni dall’attacco in cui si era ritrovato insieme con la sua famiglia e che era costato la vita ai genitori e alla sorellina. L’unica superstite, la sorella maggiore Sofia – appena 13 anni -, e’ ricoverata in gravi condizioni, da sola, senza sapere che la sua famiglia ora non c’e’ piu’. La guerra di Putin porta distruzione, devasta le famiglie e si riflette negli occhi sgranati di chi con la guerra non dovrebbe avere niente a che fare. Mezzo milione di bambini, secondo una prima stima dell’Unicef, sono gia’ fuggiti dall’Ucraina e tanti altri potrebbero presto lasciare il Paese. “L’uso di armi esplosive nelle citta’ potrebbe rapidamente trasformare questa crisi in una catastrofe per i bambini dell’Ucraina – le parole di Afshan Khan, direttore regionale dell’Unicef per l’Europa e l’Asia centrale -. Non ci sono operazioni armate di questa portata che non provochino danni ai bambini. Le conseguenze saranno tragiche”. Dall’inizio dell’invasione russa si contano 17 vittime tra i piu’ piccoli (anche se il dato potrebbe essere ancora piu’ drammatico), di cui due solo oggi in un raid nella citta’ di Kharkiv. Tra loro ci sono tante Polina, ma anche tanti bimbi che non hanno ancora un nome. Come una piccola di 6 anni, uccisa il 27 febbraio da un bombardamento su Mariupol. Addosso aveva solo il suo pigiamino con gli unicorni, mentre il papa’ tentava in tutti i modi di affidarla alle cure dei medici di un’ambulanza. Tre giorni prima un altro bambino di 6 anni era rimasto vittima del bombardamento nel suo condominio di Chuhuiv, cittadina alle porte di Kharkiv. Un drammatico bilancio che, secondo l’Unicef, e’ destinato purtroppo a lievitare. L’organizzazione sta lavorando con i partner per raggiungere i bambini e le famiglie vulnerabili con servizi essenziali che comprendono salute, istruzione, protezione, acqua e servizi igienico-sanitari e ha lanciato un appello di 276 milioni di dollari per i suoi programmi in Ucraina, richiedendo ulteriori 73 milioni per dare assistenza ai bambini nei Paesi vicini. Una buona notizia arriva invece da Milano, dove oggi sono atterrati i 12 bambini oncologici provenienti dall’ospedale di Kiev. Saranno ora affidati alle cure del San Matteo di Pavia e dell’Istituto dei Tumori di Milano. Sabato, invece, arriveranno a Torino altri 7 piccoli malati di tumore per essere curati all’ospedale Regina Margherita.

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Milei accusa la moglie di Sanchez, è crisi diplomatica

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Le insinuazioni di presunta corruzione nei confronti della moglie di Pedro Sanchez non erano nuove, ma questa volta è scoppiata la crisi diplomatica, dopo che il presidente dell’Argentina, Javier Milei, ha rilanciato oggi le invettive dal palco della kermesse del partito dell’ultradestra Vox al Palacio de Vistalegre, prima scagliandosi contro il socialismo, da lui definito “corrotto e cancerogeno”, e poi, senza citare il premier Pedro Sanchez, definendo la sua consorte, Begona Gomez, “corrotta”.

Il riferimento era al caso sul quale la procura ha avviato un’indagine per corruzione, che il marito premier ha attribuito alla “macchina del fango” e che lo aveva indotto a una pausa di riflessione di cinque giorni per meditare sulle sue eventuali dimissioni, che poi non ci sono state. Immediata e durissima la reazione di Madrid, che ha richiamato per consultazioni “sine die” l’ambasciatore spagnolo a Buenos Aires e ha preteso da Milei “pubbliche scuse” nel corso di una dichiarazione istituzionale del ministro degli Affari esteri, José Manuel Albares, per dare maggiore enfasi alla condanna.

“Chiediamo al signor Milei di rispettare le forme dovute tra nazioni, che escludono ingerenze negli affari interni, e anche che sia all’altezza del grande Paese che rappresenta e della posizione che occupa, che non avrebbe mai dovuto abbandonare le forme e il rispetto, tanto meno mentre era nella capitale della Spagna,” ha affermato Albares. Il capo della diplomazia spagnola ha definito “estremamente gravi” le accuse di Milei e ha affermato che in assenza di scuse, la Spagna prenderà “misure adeguate per difendere la sua sovranità e dignità”.

Dichiarazioni “che non non hanno precedenti nella storia delle relazioni internazionali, soprattutto tra due Paesi e due popoli uniti da forti legami di fraternità”, ha detto Albares. “Il signor Milei ha portato le relazioni tra Spagna e Argentina al momento più critico della nostra storia recente”, ha aggiunto il ministro. Sulla dichiarazione istituzionale, l’esponente del governo ha consultato i portavoce parlamentari, ricevendo “un’ampia” adesione di tutte le forze politiche, tranne il conservatore Partito Popolare e Vox, che si sono smarcati.

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Tragedia in Iran, nessun sopravvissuto nell’elicottero del presidente Raisi precipitato

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In una drammatica sviluppo degli eventi, la Mezzaluna Rossa iraniana ha confermato la morte di tutti i passeggeri a bordo dell’elicottero del presidente Ebrahim Raisi. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa russa Tass, non vi sarebbero sopravvissuti all’incidente che ha coinvolto il leader iraniano.

I dettagli emergenti descrivono una scena desolante: “Non c’è segno di vita nell’elicottero” ha riferito un portavoce della Mezzaluna Rossa, aggiungendo che “la cabina è bruciata”. Le immagini diffuse dai media iraniani mostrano i soccorritori in azione, impegnati in un tentativo disperato di trovare segni di vita tra i resti dell’apparecchio.

L’incidente rappresenta un colpo devastante per l’Iran, gettando il paese in un profondo lutto e sollevando interrogativi urgenti sulla sicurezza dei trasporti e le procedure di emergenza in situazioni di crisi. La perdita del presidente Raisi e dei suoi collaboratori più stretti segna un momento di incertezza politica per la nazione, mentre le autorità continuano a indagare sulle cause esatte dello schianto.

La comunità internazionale ha espresso le proprie condoglianze, e molti leader mondiali hanno inviato messaggi di solidarietà al popolo iraniano in questo momento di dolore. Le implicazioni di questa tragedia per la stabilità regionale sono ancora da valutare, ma è chiaro che l’incidente avrà ripercussioni a lungo termine tanto a livello nazionale quanto internazionale.

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Raisi, delfino di Khamenei e ariete anti-Israele

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Ultraconservatore, ex giudice capo della magistratura iraniana, ayatollah delfino della Guida Suprema Ali Khamenei e in pole position per la successione, il presidente Ebrahim Raisi si è dimostrato un intransigente nemico di Israele, degli Stati Uniti e dell’Occidente ma anche delle rivali monarchie del Golfo in politica estera e un inflessibile tutore del regime islamico in politica interna. E’ stato eletto nel giugno del 2021 a succedere al moderato Hassan Rohan con il 62% dei voti in un’elezione nella quale si è toccata la più bassa affluenza alle urne della storia della Repubblica Islamica. Raisi si è trovato imbrigliato in una crisi economica generata dalle sanzioni occidentali, con elevata disoccupazione e inflazione alle stelle, sulla quale si è innestata la crisi del Covid-19.

Ma molti osservatori notano come la sua priorità quasi ossessiva fosse il mantenimento della sicurezza interna e un incremento delle spese per la difesa piuttosto che i problemi sociali ed economici nei quali la società iraniana si è avvitata. Sotto di lui nel settembre 2022 è dilagò l’ondata di proteste seguite alla morte della giovane Mahsa Amini, alla quale rispose con un ulteriore irrigidimento dell’ordine pubblico, con una serie di condanne a morte. Una tendenza, del resto, perfettamente in linea con il suo passato.

Nato il 14 dicembre del 1960 nella città santa di Mashhad, neanche 19enne, quando la rivoluzione islamica guidata da Ruhollah Khomeini trionfò, quasi subito entrò a far parte delle corti rivoluzionarie, dove fece una rapida carriera, che per i suoi oppositori resta piena di punti oscuri. Da giovane procuratore aggiunto di Teheran fu tra i 4 membri della cosiddetta Commissione della morte che nel 1988 fece impiccare in modo sommario migliaia di dissidenti, soprattutto attivisti di sinistra: almeno 3 mila esecuzioni accertate, per alcuni fino a 30 mila.

“A chi ci parla di compassione islamica e perdono, noi rispondiamo che affronteremo i rivoltosi fino alla fine e sradicheremo la sedizione”, aveva ribadito anche durante la repressione delle proteste del Movimento Verde, che nel 2009 si opponeva alla rielezione di Mahmoud Ahmadinejad. Con in capo il turbante nero, simbolo dei discendenti del profeta Maometto (i sayyid), è ritenuto un delfino e possibile successore dell’anziana Guida suprema Ali Khamenei, fu suo allievo di giurisprudenza islamica. Dopo aver fallito quattro anni fa la corsa alla presidenza, Khamenei lo promosse capo dell’apparato giudiziario per i suoi “meriti” nell’aver salvato la Rivoluzione.

Sotto il suo impulso è ripartito il programma di arricchimento dell’uranio, dopo un periodo di stallo seguito all’uscita unilaterale degli Stati Uniti di Trump dall’accordo sul nucleare del 2015, e si è estesa, potenziata e perfezionata la guerra per procura in tutta la regione mediorientale, dall’Iraq alla Siria, da Libano e Gaza allo Yemen. Nel marzo del 2023, a sorpresa, ripristinò le relazioni diplomatiche di Teheran con l’Arabia Saudita, malgrado l’attrito in corso fra la monarchia i ribelli sciiti suoi protegées Houthi nello Yemen. Dando così prova di realismo politico e forse aprendo la strada a mosse di maggior respiro strategico, pochi mesi prima dello scoppio della guerra a Gaza con il sanguinoso attacco di Hamas a Israele, dietro al quale s’intravvede la lunga mano di Teheran. Guerra che ha portato anche al primo scontro diretto con l’arcinemico israeliano, con lo scambio di missili dello scorso aprile.

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