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Corona Virus

In pandemia raddoppiati casi pubertà precoce bimbe

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Già donne a soli 7 anni, probabilmente ‘per colpa’ degli effetti indiretti della pandemia di Covid. Sono infatti raddoppiati i casi di puberta’ precoce nelle bambine durante la pandemia: lo stress causato dall’isolamento e la sedentarieta’ sono tra le cause piu’ probabili del fenomeno. Lo evidenzia uno studio promosso dall’Ospedale pediatrico Bambino Gesu’ insieme ad altri 4 Centri di Endocrinologia pediatrica (dell’Ospedale Gaslini di Genova, del Policlinico Federico II di Napoli, dell’Ospedale Pediatrico Microcitemico di Cagliari e della Clinica Pediatrica Ospedale di Perugia). I casi di puberta’ precoce o anticipata osservati nel semestre marzo-settembre 2020 in Italia sono dunque piu’ che raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2019, secondo lo studio osservazionale. I totale sono stati rilevati 338 casi contro i 152 dell’anno precedente, con un aumento pari al 122%. Il fenomeno ha interessato soprattutto bambine di eta’ intorno ai 7 anni. Lo studio e’ pubblicato su Endocrine Connections. L’inizio della maturazione sessuale prima degli 8 anni nelle bambine e prima dei 9 anni nei maschi, spiegano gli esperti, viene identificata come puberta’ precoce. E’ annoverata tra le malattie rare. In Italia riguarda da 1 a 6 nati ogni 1000. Il corpo del bambino inizia a trasformarsi in adulto prima del tempo: per effetto di questo processo, i bambini crescono velocemente in altezza, ma poi il picco si esaurisce e da adulti hanno una statura inferiore alla media. Se la diagnosi interviene precocemente – prima degli 8 anni – e’ possibile usare dei farmaci per rallentare la puberta’. Nel nuovo studio, il maggiore aumento dei casi e’ stato osservato nelle bambine (328 pazienti nel 2020 contro 140 nel 2019, con un incremento del 134%). Non e’ stato invece rilevato un aumento significativo dei casi nei maschi (10 pazienti nel 2010 contro i 12 del 2019). Al momento “non abbiamo spiegazioni per questa differenza tra i sessi – afferma Carla Bizzarri, pediatra endocrinologa del Bambino Gesu’ che ha coordinato lo studio -. Sappiamo pero’ che la puberta’ precoce e’ molto meno comune nel maschio”. L’eta’ media delle bambine osservate per puberta’ precoce e’ 7 anni, ma nel 2020 risulta un aumento significativo dei casi di puberta’ precoce a rapida evoluzione, cioe’ di quelli che richiedono una specifica terapia farmacologica. Le cause vanno dunque ricercate anche nella maggiore sedentarieta’. Nelle interviste alle famiglie delle bambine con puberta’ precoce, e’ emerso infatti un aumento significativo dell’uso dei dispositivi elettronici (PC, smartphone) nel 2020 rispetto al 2019. Cio’ e’ riconducibile anche all’introduzione della DAD. Il primo lockdown del 2020 ha provocato anche una drastica riduzione dell’attivita’ fisica. Piu’ della meta’ delle famiglie, infine, ha riferito nel 2020 di cambiamenti nel comportamento (59%) e segnalato un aumento rilevante di sintomi correlabili allo stress (63%). Lo stress, rileva Bizzarri, “potrebbe agire come un fattore scatenante sui neuroni che secernono l’ormone ipotalamico che da’ inizio allo sviluppo puberale nelle ragazze con ulteriori fattori di rischio, come uno stile di vita sedentario e un eccessivo uso di dispositivi elettronici”. Quindi, anche se non e’ possibile definire un sicuro nesso causale, i risultati, concludono gli esperti, suggeriscono che un evento stressante, come il lockdown 2020, possa aver innescato una precoce attivazione puberale in soggetti predisposti.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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