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È caos alle isole Salomone, almeno 3 morti in proteste

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Nelle isole Salomone una relativa calma si e’ posata sulle rovine fumanti della capitale Honiara, interi quartieri della quale sono stati messi a ferro e fuoco per tre giorni e tre notti da una violenta rivolta contro il governo, iniziata con l’assalto al parlamento mercoledi’ e culminata la scorsa notte con il ritrovamento di tre morti. Dopo una notte di coprifuoco imposto dal governatore David Vunagi, la situazione a Honiara viene descritta come apparentemente calma ma tesa, con alcuni negozi sfuggiti alla furia della folla e alcuni distributori di benzina che stamani hanno aperto con circospezione i battenti per permettere alla popolazione stremata di dotarsi del necessario. Durante la notte tre cadaveri carbonizzati sono stati ritrovati in un negozio dato alle fiamme nella Chinatown della capitale, dove vive la gran parte della comunita’ cinese. Alimentata da poverta’ estrema, fame e risentimento, la rivolta contro il governo del primo ministro Manasseh Sogavare, si e’ mischiata con saccheggi e atti di sciacallaggio da parte di persone ridotte sull’orlo della fame da due anni di pandemia, che ha accentuato la gia’ grave disoccupazione imperante nell’arcipelago del Pacifico. Il Paese ora si ritrova al centro di una disputa politico-diplomatica fra la Cina e Taiwan, che ha gettato benzina sul fuoco che cova sotto le braci delle latenti ma gravi tensioni etniche. La decisione del 2019 del governo Sogarave di tagliare i ponti con Taipei, con la quale l’etnia Malaita – protagonista della rivolta – oltre che la comunita’ cinese, aveva legami profondi e consolidati, a favore di Pechino, ha aizzato il malcontento. Gli abitanti di Malaita, l’isola piu’ popolosa del Paese, che hanno costruito una forte comunita’ anche a Guadalcanal, l’isola dove sorge la capitale, si ritengono discriminati e privati di assistenza o di investimenti. Una situazione peggiorata dai pesanti investimenti cinesi, arrivati sull’arcipelago dopo il ‘cambio di casacca’ diplomatico di Sogarave, che – lamentano gli abitanti di Malaita – portano solo posti di lavoro agli stranieri. Ma l’intero arcipelago di 800.000 abitanti e’ afflitto dalla poverta’ e la rivolta che ha preso piede in questi giorni si e’ trasformata in una gigantesca rissa di ‘tutti contro tutti’, in cui la polizia locale, coadiuvata da 150 militari peacekeeper australiani e della Papua Nuova Guinea, arrivati a partire da giovedi’, ha avuto grande difficolta’ a districarsi. Una stima della banca centrale dell’arcipelago indica che almeno 56 edifici sono stati saccheggiati e incendiati, cona danni a centinaia di abitazioni e negozi, con moltissime piccolissime imprese che hanno visto andare in fumo un anno di faticosa ripresa degli affari dopo la pandemia. Una perdita per il gia’ povero Paese di almeno 24-25 milioni di euro, secondo un monito della Central Bank of the Solomon Islands .

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Blinken in visita a sorpresa in Ucraina

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Il segretario di Stato americano Antony Blinken è arrivato in visita a sorpresa in Ucraina. Il capo della diplomazia Usa è giunto stamattina a Kiev con un treno notturno dalla Polonia. E’ previsto un incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, secondo i giornalisti al seguito di Blinken. Si tratta del quarto viaggio in Ucraina del segretario di stato americano dall’inizio dell’invasione russa nel febbraio 2022. La visita è intesa a rassicurare Kiev sul continuo sostegno degli Stati Uniti e a promettere un flusso di armi in un momento in cui Mosca sta conducendo una pesante offensiva nella regione nordorientale ucraina di Kharkiv.

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‘Chora è una moschea’, scintille Erdogan-Mitsotakis

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La moschea di Kariye a Istanbul, un tempo chiesa ortodossa di San Salvatore in Chora e tesoro del patrimonio bizantino, diventa tempio della discordia tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis, nel giorno della visita del leader ellenico ad Ankara proprio per confermare la stagione di buon vicinato tra i due Paesi dopo decenni di tensioni. Le divergenze sulla moschea si sono riaccese nei giorni scorsi, dopo che il 6 maggio scorso San Salvatore in Chora, chiesa risalente al V secolo e tra i più importanti esempi dell’architettura bizantina di Istanbul, è stata riaperta dopo lavori di restauro durati quattro anni.

Convertita in moschea mezzo secolo dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani del 1453, Chora è stata trasformata in un museo dopo la Seconda guerra mondiale, quando la Turchia cercò di creare una repubblica laica dalle ceneri dell’Impero Ottomano. Ma nel 2020 è nuovamente diventata una moschea su impulso di Erdogan, poco dopo la decisione del presidente di riconvertire in moschea anche Santa Sofia, che come Chora era stata trasformata in un museo. La riapertura aveva suscitato malcontento ad Atene, con Mitsotakis che aveva definito la conversione della chiesa come “un messaggio negativo” e promesso alla vigilia del suo viaggio ad Ankara di chiedere a Erdogan di tornare sui suoi passi in merito. Una richiesta respinta al mittente: “La moschea Kariye nella sua nuova identità resta aperta a tutti”, ha confermato Erdogan in conferenza stampa accanto a Mitsotakis.

“Come ho detto al premier greco, abbiamo aperto al culto e alle visite la nostra moschea dopo un attento lavoro di restauro in conformità con la decisione che abbiamo preso nel 2020”, ha sottolineato. “Ho discusso con Erdogan della conversione della chiesa di San Salvatore in Chora e gli ho espresso la mia insoddisfazione”, ha indicato in risposta il leader greco, aggiungendo che questo “tesoro culturale” deve “rimanere accessibile a tutti i visitatori”. Nulla di fatto dunque sul tentativo di Atene di riscrivere il destino del luogo di culto. Ma nonostante le divergenze in merito, la visita di Mitsotakis ad Ankara segna un nuovo passo nel cammino di normalizzazione intrapreso dai due Paesi, contrapposti sulla questione cipriota e rivali nel Mediterraneo orientale. A dicembre i due leader hanno firmato una dichiarazione di “buon vicinato” per sancire una fase di calma nei rapporti iniziata dopo il terremoto che ha ucciso più di 50.000 persone nel sud-est della Turchia, all’inizio del 2023. “Oggi abbiamo dimostrato che accanto ai nostri disaccordi possiamo scrivere una pagina parallela su ciò che ci trova d’accordo”, ha sottolineato Mitsotakis accanto a Erdogan, confermando la volontà di “intensificare i contatti bilaterali”. Perché “l’oggi non deve rimanere prigioniero del passato”.

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Kiev, più di 30 località sotto il fuoco russo nel Kharkiv

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Sono ancora in corso i combattimenti nella regione di Kharkiv, nel nord-est dell’Ucraina, dove più di 30 località sono sotto il fuoco russo e quasi 6.000 residenti sono stati evacuati, secondo il governatore regionale. “Più di 30 località nella regione di Kharkiv sono state colpite dall’artiglieria nemica e dai colpi di mortaio”, ha scritto Oleg Synegoubov sui social network.

Il governatore ha aggiunto che dall’inizio dei combattimenti sono stati evacuati da queste zone un totale di 5.762 residenti. Le forze russe hanno attraversato il confine da venerdì per condurre un’offensiva in direzione di Lyptsi e Vovchansk, due città situate rispettivamente a circa venti e cinquanta chilometri a nord-est di Kharkiv, la seconda città del Paese.

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