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Corona Virus

Rt risale a 0,85 ma cala la pressione delle terapie intensive

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La decrescita delle nuove infezioni da Covid-19 e della pressione sugli ospedali continua, ma molto lentamente, e percio’ il quadro complessivo della situazione pandemica in Italia resta ancora “impegnativo”. Questa, in sintesi, la fotografia epidemiologica del Paese che arriva dall’ultimo monitoraggio settimanale dell’Istituto superiore di sanita’ e ministero della Salute, che evidenzia come l’indice di trasmissibilita’ Rt sia leggermente risalito toccando il valore di 0,85 mentre cala il tasso di occupazione di terapie intensive e reparti ospedalieri. Tutto cio’ mentre continua a registrarsi un alto numero di vittime, anche se in lento calo: sono state 263 nelle ultime 24 ore. L’Rt nazionale, che la scorsa settimana era a 0,81, sale dunque a 0,85, mentre l’incidenza dei casi continua a scendere: il suo valore e’ a 146 su 100mila abitanti rispetto a 152 della settimana scorsa. Il monitoraggio rileva anche la diminuzione del numero di Regioni e Province autonome che hanno un tasso di occupazione in terapia intensiva e/o aree mediche sopra la soglia critica: sono 8 contro le 12 della settimana precedente. Il tasso di occupazione in terapia intensiva a livello nazionale e’ ora uguale alla soglia critica (pari al 30%). Quello in aree mediche a livello nazionale scende ulteriormente ed e’ sotto la soglia critica (32% rispetto al 40% della soglia). Migliora dunque la situazione generale del rischio pandemico nel Paese, con nessuna Regione classificata come a rischio alto, ma il monito che giunge da Iss e ministero e’ sempre quello a non abbassare il livello dell’attenzione. La situazione, infatti, resta delicata mentre continuano a preoccupare le varianti del virus SarsCov2 presenti anche in Italia. Una conferma arriva dai dati del bollettino giornaliero del ministero, che segnala 13.446 nuovi positivi nelle ultime 24 ore (ieri erano stati 14.320) e ancora 263 vittime in un giorno (ieri 288), mentre il tasso di positivita’ e’ del 3,9% (rispetto al 4,3% di ieri). Quanto alla situazione negli ospedali, sono 2.583 i pazienti ricoverati in intensiva, in calo di 57 unita’ rispetto a ieri, e nei reparti ordinari sono invece ricoverate 18.940 persone, in calo di 411 rispetto al giorno precedente. “In molti paesi europei c’e’ una curva in crescita, mentre in Italia c’e’ una decrescita ma sempre lenta della curva”, ha spiegato il presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro, alla consueta conferenza stampa al ministero della Salute per l’analisi del monitoraggio. Cio’ significa, ha chiarito, che “il quadro complessivo resta ancora di un livello impegnativo nonostante una diminuzione dei nuovi casi. Tre regioni hanno infatti un Rt maggiore di 1 e anche se l’incidenza e’ in diminuzione, resta ancora elevata. Quindi occorrono misure di mitigazione”. Insomma, ancora una volta – a fronte delle recenti riaperture – gli esperti ribadiscono che non siamo di fronte ad un ‘libera tutti’. In realta’, ha aggiunto Brusaferro, e’ “una stabilita’ quella che vediamo oggi; vediamo che il sistema sta tenendo ma, ovviamente, cio’ va verificato su base settimanale. E poi valuteremo, man mano, le altre riaperture”. Anche per il direttore generale della Prevenzione del ministero, Gianni Rezza, “il quadro epidemiologico e’ sostanzialmente stabile rispetto alla scorsa settimana” e “tutto va fatto con enorme cautela. Cosi’ per le riaperture bisogna usare cautela e gradualita’ tenendo sott’occhio – ha detto – tutti gli indicatori precoci di allarme”. Un dato indubbiamente positivo e’ invece relativo all’andamento della campagna vaccinale. Decresce infatti l’eta’ mediana dei nuovi casi di Covid-19 in Italia, collocandosi a 42 anni, e calano i casi nelle varie fasce d’eta’ in generale: “E’ una prova indiretta – ha concluso Brusaferro – dell’efficacia della vaccinazione, che ha coperto ormai gran parte degli over-80, cosi’ come calano i casi tra gli operatori sanitari, che sono i primi ad essere stati vaccinati”. (

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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