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Garrone presenta Gomorra new edition: non è la solita serie tv ma…

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Gomorra, il film di Matteo Garrone che vinse al festival di Cannes il Gran Premio della Giuria nell’anno magico 2008, in cui sulla Croisette passeggiarono orgogliosi Roberto Saviano con scorta al seguito, Paolo Sorrentino che con Il Divo vinse il Premio della giuria e un inarrivabile Toni Servillo protagonista di entrambi, è un capolavoro. E questo è noto, non a caso è stato tra le opere italiane piu’ premiate. Ma passati 13 anni “non e’ invecchiato di un giorno, e’ ancora tanto contemporaneo”. Il regista, che con le due nomination tecniche (Trucco e costumi) e’ in gara agli Oscar con l’ultimo Pinocchio, riflette su quel film che gli ha cambiato la vita sotto tanti punti di vista. E si e’ dato una missione: “Far conoscere ai ragazzi il film, che non e’ la serie tv omonima che tanto amano”, dice con il sorriso presentando Gomorra New Edition, una nuova edizione in onda su Rai3 in prima serata venerdi’ 16 aprile e poi su RaiPlay e disponibile in dvd e blu-ray dal 14 aprile, distribuita da Eagle Pictures per 01 Distribution. Per i giovani Gomorra e’ Ciro e Genny, Schianel e Imma Savastano, che ne sanno loro del sarto (Salvatore Cantalupo, purtroppo scomparso) che insegna ai cinesi a falsificare il made in Italy, di Maria che riceve la ‘mesata’ alle Vele di Scampia, di Franco (Servillo) che con i rifiuti tossici del Nord avvelena la terra dei Fuochi, di Marco (Marco Macor) e Pisellino (Ciro Petrone), due ragazzini con il mito di Scarface che pensano di poter fare in proprio senza i casalesi e finiscono sottoterra. Una storia che ogni volta mette i brividi. “Mi fermano per strada – racconta Garrone – e mi fanno i complimenti per la serie”. Poi la curiosita’: “ho rivisto il film con mio figlio adolescente, non capiva bene di cosa si trattava, era molto colpito, attratto e spiazzato. Da li’ l’idea di una nuova edizione, di far rivivere Gomorra per un nuovo pubblico, riscoprendo scena dopo scena la sua attualita’ e al tempo stesso eternita’: dentro Gomorra – risponde all’ANSA – ci sono temi essenziali e universali, l’infanzia violata, i conflitti, la difficolta’ del vivere, la violenza che ci circonda. Gomorra e’ una grande fiaba nera con una grande potenza visiva, un realismo che sconfina nella fantascienza, ma invece e’ realta’ come quella che vivono i ragazzini aspiranti camorristi che non hanno consapevolezza fino in fondo, sono persino ingenui. E poi su tutto l’umanita’ a volte disumana dei suoi personaggi. Gomorra e’ un archetipo, emoziona qualsiasi spettatore perche’ i temi ci sono vicini sempre”. Merito del romanzo di Saviano, “ringrazio ancora Fandango per avermi dato l’opportunita’ di farne un film”. Cosi’ Garrone si e’ rimesso al lavoro: “Ho inserito cartelli di spiegazione all’inizio di ognuno dei 5 racconti per rendere piu’ comprensibile il film, ho inserito inquadrature dei posti per contestualizzarlo meglio, ho rifatto 7 scene, fatto 50 tagli e scorciato il film di 10 minuti. Interventi fondamentali e al tempo stesso invisibili”. “E’ un film attualissimo”, sottolinea Paolo Del Brocco, ad di Rai Cinema, mentre Domenico Procacci di Fandango ha ricordato la nascita dell’opera. “Avevamo con la casa editrice Fandango in lettura la bozza di Saviano che attendeva risposte da vari editori. A noi piacque immediatamente, ma se lo aggiudico’ Mondadori, ma giocammo di vantaggio e appena possibile prendemmo i diritti di sfruttamento. A Garrone, che aveva fatto con noi l’Imbalsamatore, fu proposto, cosi’ e’ cominciato tutto”. E durante le riprese, sul set a Scampia, Garrone conobbe Nunzia De Stefano, “la madre di mio figlio” – con Nevia ha esordito con grandi apprezzamenti nel 2019 ndr – e dunque anche motivi personalissimi lo legano a Gomorra e a questi posti dove “mi sento a casa e dove prima di andare mi aspettavo di trovare cattivi e buoni, mentre la realta’ e’ molto meno netta”. Il futuro prossimo e’ un film ancora da trovare, una storia “di cui innamorarmi. Amo andare controcorrente, non escludo a priori di fare in futuro serie tv, ma per ora non se ne parla, ho voglia di fare film per il cinema e da cineasta spero nelle riaperture delle sale, amo vedere li’ i film, ho questa idea romantica”. All’epoca della progettazione del film Gomorra, Garrone con Domenico Procacci aveva parlato di farne una serie, “ma i tempi non erano maturi. Con il senno di poi avrei volentieri fatto un Gomorra 1 e Gomorra 2, girando senza pause quel viaggio all’interno di un mondo quasi in presa diretta, eravamo invisibili li’ dentro. Rimane dentro di me la sensazione di non aver potuto esplorare tanti altri temi del libro, la vicenda di Don Diana mi affascinava molto, come pure l’aspetto femminile della camorra”. Intanto il 25 aprile c’e’ l’appuntamento con gli Oscar: “Mi godo la felicita’ delle due nomination storiche – trucco e parrucco e costumi ndr – per un film italiano indipendente, senza piattaforma o major dietro, senza qualcuno che lo porti avanti ad Hollywood, qualcosa di veramente unico, bisogna andare indietro di 50 anni per un film italiano che riesca ad avere questo percorso” . Rimpianti per non essere stato selezionato dall’Italia? “In questo momento l’ultima cosa che mi metterei a fare e’ una polemica, non lo farei mai, sarebbe di pessimo gusto”. (

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A Cannes Meryl Streep è Palma d’oro

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Meryl Streep, leggenda del cinema, l’attrice che con i suoi tre Oscar (e 21 nomination) è nell’Olimpo subito sotto Katherine Hepburn, torna sulla Croisette. Nella cerimonia di apertura condotta da Camille Cottin, il 14 maggio al Grand Theatre Lumiere, il 77/o festival di Cannes la premierà con la Palma d’Oro onoraria. Manca da Cannes incredibilmente dal 1989, quando vinse come migliore attrice per Un grido nella notte diretto da Fred Schepisi.

“Sono immensamente onorata di ricevere la notizia di questo prestigioso riconoscimento. Vincere un premio a Cannes, per la comunità internazionale degli artisti, ha sempre rappresentato il traguardo più alto nell’arte del cinema”, ha commentato Streep, 74 anni e una filmografia in cui è difficile scegliere, tanto è vasta di pellicole che hanno fatto la storia del cinema, dal Cacciatore a Piccole Donne diretto da Greta Gerwig, presidente della giuria quest’anno. “Stare all’ombra di coloro che sono stati precedentemente onorati è umiliante ed emozionante in egual misura. Non vedo l’ora di venire in Francia per ringraziare tutti di persona a maggio!”, ha proseguito. Meryl Streep è nell’immaginario collettivo come hanno ricordato la presidente Iris Knobloch e il delegato generale del festival Thierry Fremaux, annunciando oggi il nome che si aggiunge a George Lucas (alla cerimonia di chiusura sabato 25 maggio con il Palmares consegnato dalla Presidente della Giuria, Greta Gerwig) e allo Studio Ghibli.

“Abbiamo tutti qualcosa in noi di Meryl Streep!” hanno detto, “Qualcosa in noi che ricorda Kramer contro Kramer, La scelta di Sophie, La mia Africa, I ponti di Madison County, Il diavolo veste Prada e Mamma Mia!. Poiché ha attraversato quasi 50 anni di cinema e incarnato innumerevoli capolavori, Meryl Streep fa parte del nostro immaginario collettivo, del nostro comune amore per il cinema”. Lo stesso premio negli anni scorsi è andato Jeanne Moreau, Catherine Deneuve, Jane Fonda, Agnès Varda, Jodie Foster e al nostro Marco Bellocchio. Un grande ritorno a distanza di 35 anni quello dell’attrice che è anche un’icona progressista e che ha sempre appoggiato le battaglie dei diritti femminili.

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Oppenheimer sbanca agli Oscar, il film su papà della bomba atomica fa incetta di premi

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‘Oppenheimer’ di Christopher Nolan sbanca gli Oscar: la pellicola porta a casa 7 statuette su 13 candidature, ma tutte le piu’ importanti – film, regia, attori maschili protagonista e non protagonista – e aggiunge premi prestigiosi a quello gia’ assegnato dal pubblico. Basato sul libro vincitore del premio Pulitzer ‘American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer’ di Kai Bird e Martin J. Sherwin, frutto di due decenni di ricerche, il film di Christopher Nolan parla di una delle figure piu’ geniali e controverse del XX secolo considerato il padre della bomba atomica.

In ‘Oppenheimer’ Nolan racconta in un film di tre ore, per meta’ in bianco e nero che ha incassato quasi un miliardo di dollari (958 milioni), la parabola e i dilemmi morali del grande fisico che fu a capo del Progetto Manhattan, attivato in gran segreto dagli Usa nel 1942, in piena Seconda guerra mondiale, mentre le sorti del conflitto sembravano ancora favorire al Germania nazista. Il governo americano scelse il brillante scienziato, nato nel 1904 da genitori tedeschi di origini ebraiche, a capo del team riunito nei laboratori di Los Alamos, nel deserto del New Mexico. Un grande organizzatore, carismatico e competente, che paradossalmente fu ‘perseguitato’ fin dall’inizio della sua missione da sospetti di tradimento per le sue simpatie per il comunismo.

Nel suo team il regista inglese ha voluto alcuni collaboratori storici che, come lui, tornano a casa con l’Oscar: i produttori Emma Thomas e Charles Roven, il direttore della fotografia Hoyte van Hoytema, con cui gia’ aveva girato ‘Interstellar’, ‘Dunkirk’ e ‘Tenet’. E Jennifer Lame per il montaggio e il compositore Ludwig Goransson (gia’ Oscar per ‘Black Panther’).
Oltre al neo premio Oscar Cillian Murphy, ‘Oppenheimer’ ha un grande cast, a partire da Robert Downey Jr. (anche lui premiato con l’Oscar) nei panni del capo della Atomic Energy Commission, Lewis Strauss.

Poi Emily Blunt nella parte della moglie del fisico, Matt Damon in quelli del generale che diresse il Progetto Manhattan, Leslie Groves, e Florence Pugh nei panni di Jean Tatlock, l’amante dello scienziato, oltre a Gary Oldman nel ruolo del presidente Harry Truman (poco piu’ di un cameo, ma davvero magnifico) e Kenneth Branagh in quello di Niels Bohr, il padre della fisica quantistica.

Nel suo film, Christopher Nolan traccia un ritratto a volte un po’ didascalico e non privo di qualche inesattezza o omissione (il rapporto con Albert Einstein un po’ esagerato e quello con Enrico Fermi troppo sottovalutato) di Robert Oppenheimer, unica persona, il solo scienziato, in grado secondo il generale di brigata Leslie Groves che lo scelse come direttore del laboratorio della bomba di motivare gli scienziati di Los Alamos e di farsi seguire nel progetto forte del suo carisma e della sua tenacia. Oppenheimer colpi’ il generale per l’ampiezza delle sue conoscenze e, soprattutto, per quella che Groves considerava la sua praticita’. Piu’ di ogni altro scienziato con cui il generale aveva parlato, Oppenheimer sembrava capire cosa bisognava fare per passare da teorie astratte ed esperimenti di laboratorio alla realizzazione di una bomba nucleare.

Una cosa che tra tutti aveva capito forse il solo generale Groves che difese sempre Oppenheimer dagli attacchi di Fbi, servizi segreti e fanatici anticomunisti che ne chiedevano la sostituzione. Groves sapeva bene che Oppenheimer era un uomo eccezionale perfette per guidare il laboratorio. Non si trattava solo di un problema di fisica, infatti, bisognava realizzare un’impresa ingegneristica senza precedenti, che doveva progredire mentre si stavano ancora risolvendo i problemi teorici di base.

 

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Addio a Paolo Taviani, con Vittorio rigore e impegno civile

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Rigore e impegno civile: questa la cifra dei Taviani, la coppia più affiatata di tutte, quei fratelli toscani che scesero a Roma negli anni ’50 per cambiare il mondo e riuscirono a cambiare il cinema italiano. Dopo la scomparsa di Vittorio, il 15 aprile 2018, se ne va oggi a 92 anni, nella clinica villa Pia di Roma, dopo una breve malattia, anche Paolo. Lunedì 4 marzo la cerimonia laica funebre alla Promototeca del Campidoglio, dalle 10 alle 13. Il suo ultimo film, in solitario, “Leonora addio”, presentato in concorso a Berlino nel 2022, segue il rocambolesco viaggio delle ceneri di Pirandello, da Roma ad Agrigento, a quindici anni dalla sua morte: “Siamo cresciuti insieme io e Vittorio e sempre lavorando”, ha raccontato Paolo in quella occasione.

“Sento ancora dietro di me il suo fiato. Anche a lui piaceva molto il set e mi ricordo ci litigavamo le scene, quando toccava a me e avevo finito di girare cercavo la sua approvazione e confesso l’ho fatto anche adesso in questo primo film senza di lui”. Quel suo ultimo film lo ha voluto in bianco e nero, come in un ideale ritorno agli esordi di quel cinema, firmato Paolo & Vittorio Taviani, che fin dagli anni ’50 ha tracciato un’ideale linea di confine tra il magistero del Neorealismo e un nuovo cinema realista, volutamente ideologico e poetico insieme. Nati a San Miniato, vicino a Pisa, da una famiglia borghese, con padre avvocato e antifascista, i Fratelli Taviani arrivano a Roma con un’idea ben chiara nella testa: fare il cinema, suggestionati dalla scoperta di “Paisà” (Rossellini è il maestro dichiarato), emozionati da “Ladri di biciclette”.

“Quando il film uscì – ha raccontato Paolo – fu un altro innamoramento, e come in ogni innamoramento la fidanzata la si vuole vicina. Ma in provincia i film appaiono e si dileguano, i film italiani in particolare in quegli anni. E noi due l’abbiamo inseguito, quel film, in bicicletta, in treno, da Pisa a Pontedera a Livorno a Lucca. L’abbiamo visto e rivisto perché avevamo deciso di riscrivere a memoria la sceneggiatura, con i dialoghi, i carrelli, gli stacchi: volevamo possedere quel linguaggio”.

Ma sono modelli che poi si sono trasformati in consapevolezza interiore, tanto che i due fratelli hanno sempre negato di avere un solo riferimento e di amare soprattutto il confronto con la letteratura; anche la collaborazione con Valentino Orsini (al loro fianco all’esordio) e con il produttore più fedele (l’ex partigiano Giuliani De Negri) è sempre stato più un confronto ideologico che una guida estetica. Dal sodalizio sono nati film che hanno segnato la storia del cinema come il profetico “Sovversivi” sulla fine della fiducia cieca nel comunismo reale e il visionario “Sotto il segno dello scorpione” a cavallo con la repressione in Cecoslovacchia; hanno anticipato il fallimento dell’utopia rivoluzionaria attingendo alla storia del Risorgimento con “San Michele aveva un gallo” e “Allosanfan”. Nel 1977 hanno vinto la Palma d’oro con “Padre padrone” e otto anni dopo trionfano ancora a Cannes con il loro più grande successo, “La notte di San Lorenzo” (Premio speciale della giuria). È dell’84 il loro incontro con Pirandello e le novelle di “Kaos” seguito nel ’98 da “Tu ridi”; nel 2012 dopo una lunga parentesi che li ha visti confrontarsi con il racconto televisivo, hanno vinto il Festival di Berlino con “Cesare deve morire”.

L’ultima collaborazione è del 2017 con “Una questione privata” che Paolo dirige da solo, mentre il fratello Vittorio è costretto a rimanere a casa per la malattia che lo avrebbe portato via pochi mesi dopo. Da allora Paolo Taviani si è definito “un mezzo regista” perché metà di lui non c’era più sul set, si sentiva “un impiegato del cinema perché in fondo – spiegava – Vittorio ed io lavoriamo da sempre con certe regole e un certo ritmo, magari nel tempo rallentato dall’età che avanza ma sempre guidato da un rigore di fondo come quello degli impiegati di una volta. I film cambiano, io molto meno e continuo a pensare che facciamo questo mestiere perché se il cinema ha questa forza, di rivelare a noi stessi una nostra stessa verità, allora vale la pena di metterci alla prova”. Con oltre venti film alle spalle (senza contare documentari, pubblicità e qualche corto disperso come l’ultimo episodio di “Tu ridi”) altrettanti premi maggiori e un Leone d’oro alla carriera (nel 1986), i due fratelli hanno dimostrato che passione, costanza, rigore e fedeltà al reale possono essere premiati.

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