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Assalto a Capitol Hill, ultime follie dei supporter di Trump: 4 morti, 13 feriti e 52 arresti per ora

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Quattro morti, 13 feriti e 52 arresti: è il bilancio provvisorio degli scontri nella manifestazione di protesta dei fan di Donald Trump a Washington. Si prevede che i numeri aumentino. Usa in preda al caos. I sostenitori di Trump che hanno manifestato davanti al Congresso hanno fatto irruzione a Capitol Hill. Il tentativo è stato quello di impedire la certificazione della vittoria di Joe Biden.  Ci sono stati anche scontri violenti, uno con armi alla mano all’ingresso della Camera. Alcuni manifestanti sono stati bloccati e disarmati dagli agenti del Secret Service e della Guardia Nazionale, mentre Donald Trump su Twitter ha invitato i suoi fan a “rimanere pacifici”. Ci sarebbero anche diversi feriti. Una donna che è stata centrata da un colpo d’arma da fuoco al petto è deceduta in ospedale.

Le immagini dell’irruzione a Capitol Hill hanno choccato il mondo intero. Le cancellerie occidentali hanno manifestato vicinanza agli USA e condanna per quelle scene di violenza e violazione della democrazia. Le immagini sono devastanti. Anche perché sono arrivate in ogni angolo del mondo. Immagini del fumo dei lacrimogeni, le persone con le maschere anti-gas, la confusione, la devastazione, le persone che cercano riparo dagli spari buttandosi a terra e la gente in tutte le stanze del palazzo. “La nostra democrazia è sotto assalto senza precedenti, mai visto in passato, un assalto contro i rappresentanti del popolo” ha detto Joe Biden condannando l’attacco al Congresso e sottolineando che si tratta di un attacco “allo stato di diritto”. Biden ha invitato Trump ad andare immediatamente in Tv a dire ai suoi fan di tornare a casa e a farlo in pace. Cosa che Trump ha fatto ma usando sempre un linguaggio equivoco.

Tutto questo mentre Capitol Hill era occupato da centinaia di persone che esponevano simboli nazisti, bandiere confederali o slogan politici volgari. Una situazione drammatica che per fortuna è rientrata. Capitol Hill è stati Liberato. Il Congresso Usa si è riunioni di nuovo per procedere alla certificazione della vittoria di Biden e alla transizione dei poteri con Trump.

Diversi collaboratori del presidente Donald Trump, tra cui il consigliere per la Sicurezza nazionale Robert O’Brien, stanno valutando le dimissioni in risposta all’assalto dei sostenitori di Trump a Capitol Hill, mentre si è già dimessa la vice portavoce della Casa Bianca, Sarah Matthews. Secondo quanto riferito da più fonti alla Cnn, oltre ad O’Brien stanno valutando le dimissioni anche il vice consigliere per la sicurezza nazionale, Matt Pottinger, e il vice capo di gabinetto, Chris Liddell. Insonne tutti abbandonano Trump, orami considerato un folle pericoloso. Tra le ipotesi che circolano c’è anche la possibile rimozione. Quello che è accaduto non passerà come una manifestazione violenta ma come un tentativo di insurrezione. E i protagonisti saranno perseguiti. Le immaginini della occupazione di Capitol Hill sono una ferita per la democrazia Usa. E poi c’è un morto in questa serata di follie.

Si chiama Ashli Babbit la donna uccisa durante le proteste al Congresso. Veterana dell’aeronautica titolare di un’attivita’ a San Diego ed era andata a Washington senza il marito. “Non so perche’ ha deciso di farlo”, ha detto la suocera a Fox.
Con Capitol Hill liberato dai violenti, il Congresso è tornato a lavoro.
Aprendo la seduta per certificare la vittoria di Joe Biden, Mike Pence ha condannato l’assalto dei sostenitori di Donald Trump. “Non avete vinto, la violenza non vince mai”, ha detto.

 

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Hamas accetta l’accordo ma Israele bombarda Rafah

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Hamas ha accettato, in extremis, la proposta di Egitto e Qatar per un accordo con Israele sul cessate il fuoco. Forse nell’ultimo, disperato tentativo di fermare l’irruzione dei soldati israeliani a Rafah, dove in mattinata era scattato l’ordine di evacuazione di un centinaio di migliaia di civili già stremati da sei mesi di guerra.

Ma lo Stato ebraico per ora frena, e anzi ha aumentato la pressione militare sulla città al confine egiziano con “attacchi mirati”, aerei e di artiglieria, nella parte orientale della città al sud della Striscia, mentre fonti palestinesi hanno riferito di “un improvviso ingresso via terra” nell’est. In serata, il gabinetto di guerra ha infatti “deciso all’unanimità di continuare la sua operazione a Rafah”, e al tempo stesso di inviare una delegazione al Cairo martedì per continuare ad “esplorare la possibilità di raggiungere un accordo a condizioni accettabili”. Anche il presidente americano Joe Biden ha cercato ancora una volta di convincere il premier Benyamin Netanyahu a non invadere la città, insistendo sul fatto che raggiungere un’intesa per un cessate il fuoco è il modo migliore per proteggere la vita degli ostaggi. Poi l’annuncio di Hamas, giunto dopo la telefonata tra i due leader.

“Adesso la palla è nel campo di Israele”, ha detto un esponente di Hamas dopo che il leader Ismail Haniyeh ha informato il premier del Qatar Mohammed bin Abdul Rahman Al Thani e il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel – e l’Iran – di aver “accettato” la loro proposta di mediazione. Secondo fonti della fazione palestinese, riportate dai media arabi, l’accordo sulla tregua prevede tre fasi di sei settimane ciascuna con l’obiettivo del cessate il fuoco permanente, il ritiro completo dell’Idf dalla Striscia, il ritorno degli sfollati al nord e lo scambio di prigionieri, a cominciare dai civili israeliani, donne, bambini, anziani e malati. Israele ritiene siano 33 gli ostaggi in questa categoria, definita “umanitaria”, e Hamas si è impegnato a rilasciarli, vivi o morti. Tra i detenuti palestinesi da liberare ci sarebbero, invece, anche 20 condannati all’ergastolo.

Gli ultimi dettagli dovrebbero essere comunque discussi di nuovo martedì al Cairo e le famiglie dei rapiti hanno lanciato un nuovo disperato appello al governo a dare seguito “al suo impegno nei confronti dei suoi cittadini”, accettando la proposta di Hamas. Prima degli intensi bombardamenti notturni, a Rafah la notizia era stata inizialmente accolta da urla di gioia e spari in aria. Ma fonti israeliane – nel silenzio di Netanyahu – hanno fatto sapere che Israele sta ancora “verificando la proposta e le sue conseguenze”, così come gli Stati Uniti. Pubblicamente però Israele, forse irritato dalla fuga in avanti dell’annuncio di Hamas, ha gelato gli entusiasmi: “Hamas non ha accettato. E’ il suo solito trucco”, ha detto il ministro dell’Economia, Nir Barkat, incontrando a Roma la stampa italiana.

Si tratta di “una proposta unilaterale senza coinvolgimento israeliano. Questa non è la bozza che abbiamo discusso con gli egiziani”, ha spiegato un alto funzionario israeliano al sito Ynet, aggiungendo che in questo modo Hamas mira a “presentare Israele come chi rifiuta” l’intesa. Mentre per il falco del governo di sicurezza Ben Gvir, “i giochetti di Hamas” meritano “una sola risposta: occupare Rafah”. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha invece invitato “tutti i Paesi occidentali a fare pressione su Israele affinché accetti”. “Siamo lieti che Hamas abbia annunciato di aver accettato il cessate il fuoco, su nostro suggerimento – ha sottolineato -. Ora lo stesso passo dovrebbe essere fatto da Israele”.

Accordo o meno, lo Stato ebraico va avanti nell’operazione militare contro i battaglioni di Hamas a Rafah. “Esaminiamo ogni risposta molto seriamente ed esauriamo ogni possibilità sui negoziati e il ritorno degli ostaggi alle loro case il più rapidamente possibile come compito centrale. Al tempo stesso continuiamo e continueremo ad operare nella Striscia”, ha chiarito il portavoce militare Daniel Hagari. L’avvio dell’evacuazione dall’est della città verso l’area umanitaria indicata dall’Idf ad al-Mawasi sulla costa ha allertato l’intera comunità internazionale, che tenta di impedire che gli eventi precipitino del tutto.

“E’ disumano”, ha dichiarato l’Onu. Prima di annunciare di aver accettato l’intesa per la tregua, anche Hamas ha denunciato “un’escalation”. La zona dell’evacuazione – che l’esercito ha definito “temporanea, limitata e graduale” – comprende “ospedali da campo, tende e maggiori quantità di cibo, acqua, farmaci e forniture aggiuntive”. L’Idf ha lanciato volantini in arabo, affiancati da sms, telefonate e avvisi sui media per spiegare i motivi dell’evacuazione e l’invito a lasciare l’area che sarà interessata dai combattimenti, quelle da evitare, come Gaza City e i passaggio a nord di Wadi, e anche il divieto di avvicinarsi alle recinzioni di sicurezza est e sud con Israele.

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Putin: esercitazioni nucleari a truppe vicino a Ucraina

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Il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato esercitazioni nucleari che coinvolgono truppe posizionate vicino all’Ucraina: lo ha reso noto l’esercito.

Le esercitazioni coinvolgono la Marina e le truppe di base vicino all’Ucraina, ha affermato oggi il ministero della Difesa russo. “Durante le esercitazioni verranno adottate una serie di misure per esercitarsi nella preparazione e nell’uso di armi nucleari non strategiche”, secondo il ministero.

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Israele spegne Al Jazeera, fumata nera sulla tregua

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Israele spegne Al Jazeera nel Paese mentre una nuova fumata nera al Cairo allontana l’agognata tregua a Gaza, nonostante l’ottimismo dei giorni scorsi, e avvicina invece l’operazione a Rafah, nel sud della Striscia. Da oggi l’emittente del Qatar non è più visibile in Israele. Il governo Netanyahu ha infatti votato la chiusura delle attività e la confisca delle attrezzature della tv, accusata di essere “il megafono” di Hamas a Gaza e di “istigare” contro Israele. Una decisione respinta da Al Jazeera, che l’ha definita “criminale”. L’approvazione da parte del governo è avvenuta all’unanimità, con qualche mal di pancia – per la concomitanza con le trattative in Egitto – dei ministri centristi del gabinetto di guerra, Benny Gantz e Gadi Eisenkot.

Lo scorso primo aprile la Knesset ha varato una legge per bandire le “emittenti straniere che danneggiano la sicurezza dello stato”. Il ministro delle Comunicazioni Shlomo Karhi ha quindi firmato i provvedimenti che comprendono “la chiusura degli uffici, la confisca delle attrezzature del canale, compresi possibilmente i cellulari, e il blocco dell’accesso al sito web della tv”. Il capo del network in Israele e nei Territori Walid Omary ha preannunciato un possibile ricorso in tribunale. Hamas ha accusato Israele di voler così “nascondere la verità” sulla guerra, mentre l’Onu ha chiesto che il provvedimento sia ritirato. Frattanto la trattativa tra Israele e Hamas si è consumata in un muro contro muro, sebbene sul tavolo – secondo una fonte araba – ci fosse “la migliore bozza di accordo” elaborata finora.

I colloqui in serata sono stati dichiarati conclusi e la delegazione di Hamas – dopo aver fornito la sua riposta ai mediatori di Egitto e Qatar – è tornata a Doha “per consultazioni con la leadership” del movimento. Secondo i media egiziani, tornerà però martedì prossimo al Cairo per riprendere i negoziati mentre a Doha è arrivato in tutta fretta il direttore della Cia William Burns per spingere di nuovo alla ricerca di un’intesa prima che tutto “collassi”. Le posizioni continuano tuttavia a rimanere lontanissime. Il nodo è sempre lo stesso: Hamas insiste sulla fine definitiva del conflitto nella Striscia e il ritiro “totale” dell’Idf da Gaza. Condizioni che il premier Benyamin Netanyahu ha seccamente bocciato, liquidandole come diktat inaccettabili. E’ stato lo stesso leader della fazione islamica palestinese Ismail Haniyeh a ribadire la linea.

“Hamas – ha detto da Doha – vuole raggiungere un’intesa globale che ponga fine all’aggressione, garantisca il ritiro dell’esercito e raggiunga un serio scambio di prigionieri. Che senso ha un accordo se il cessate il fuoco non è il primo risultato?”. “E’ Hamas che impedisce un accordo per il rilascio degli ostaggi”, ha replicato Netanyahu, aggiungendo che “Israele era ed è tuttora pronto a concludere una tregua per liberare gli ostaggi”. Ma “le richieste estreme” di Hamas, ha aggiunto il primo ministro, “significano la resa” di Israele, che “invece continuerà a combattere fino al raggiungimento di tutti i suoi obiettivi”. Per questo ora l’operazione a Rafah, dove ci sono un milione e mezzo di sfollati palestinesi, sembra più vicina: “Comincerà molto presto”, ha assicurato il ministro della Difesa Yoav Gallant. “Ho affrontato la questione intensamente nell’ultima settimana, compreso oggi”, ha spiegato. La comunità internazionale, Stati Uniti in testa, è fortemente contraria.

E forse non è un caso che per la prima volta dal 7 ottobre l’amministrazione Biden la scorsa settimana abbia deciso di bloccare una spedizione di munizioni in Israele, come riferisce Barak Ravid di Axios. Il presidente Usa si trova ad affrontare aspre critiche in patria da chi si oppone al suo sostegno incondizionato allo Stato ebraico. A febbraio la Casa Bianca ha chiesto di fornire garanzie che le armi Usa fossero utilizzate dall’esercito israeliano a Gaza in conformità col diritto internazionale, con Israele che ha fornito una lettera di assicurazioni a marzo. Al 212esimo giorno di guerra intanto, Hamas ha rivendicato il lancio di almeno 10 razzi nell’area del valico di Kerem Shalom, quello da dove transitano i camion degli aiuti umanitari, con il motivo che sul posto “si erano radunati soldati”. Per tutta risposta lo Stato ebraico ha chiuso il valico, dove ci sono stati almeno 10 israeliani feriti. Secondo l’Idf, Hamas ha lanciato razzi da Rafah “a circa 300 metri da un’area usata come rifugio dagli sfollati”. Gli scontri proseguono anche al confine nord di Israele: Hezbollah ha rivendicato il lancio di “decine di razzi dopo la morte di tre civili a seguito di un attacco israeliano nel sud del Libano”.

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