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Coronavirus, parla Ascierto: sarà un inverno difficile, rischio seconda ondata concreto se…

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Primo in Italia su 4 mila specialisti, secondo in Europa su 25 mila, quarto nel mondo su 65 mila. Secondo la classifica stilata da Expertscape.com, Paolo Antonio Ascierto, Direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto “Pascale” di Napoli, è ai vertici internazionali nella cura del melanoma. Come medico-ricercatore si è distinto anche nella ricerca e cura del coronavirus. Con lui parliamo di covid 19, ripresa del contagio, ricerca del vaccino.

Professor Ascierto, la seconda ondata di Coronavirus è arrivata?

Non credo che si possa ancora parlare di seconda ondata, anche se ci troviamo nella fase ascendente della nuova curva. Purtroppo alle porte ci attende un autunno ed un inverno che potrebbero creare un terreno fertile per la diffusione del virus. 

Ospedale Cotugno di Napoli. L’ingresso del presidio sanitario

La Campania è costantemente tra le prime regioni italiane per contagi giornalieri. Che succede?

Succede che abbiamo abbassato la guardia, tutti. L’estate ha fatto tirare un sospiro di sollievo a molte persone che, credendo il virus fosse oramai alle spalle, hanno tralasciato tutte quelle misure di prevenzione che, unitamente al lockdown, ci hanno permesso di arginare, anche se solo in parte, il problema in primavera, permettendoci di essere all’epoca una delle regione con la più bassa diffusione ed incidenza di infezione da SARS-CoV-2. Tuttavia è anche vero che in Campania, in questa seconda fase, la strategia messa in campo è stata finalizzata soprattutto ad identificare precocemente gli asintomatici infetti, in maniera da contenere il rischio di diffusione.

Paolo Antonio Ascierto. Lo scienziato nel suo ufficio all’ospedale Monaldi

Basterà osservare le regole per combattere questo ritorno, o serviranno chiusure?

Speriamo di no, ma il rischio c’è. Sicuramente i numeri ci impongono un ritorno ad un regime precauzionale più attento, mascherina, distanziamento, detersione delle mani, devono essere un’arma adottata quotidianamente da tutti. Con la riapertura del 3 giugno abbiamo dimostrato che possiamo convivere con il virus mantenendo aperte le attività semplicemente adottando tutte le misure di sicurezza anti-COVID.

A che punto siamo col vaccino e con le cure?

Sperimentare un vaccino necessita di varie fasi: la fase I, che valuta la sicurezza ed il dosaggio, la fase 2 che valuta l’efficacia del vaccino su un numero maggiore di volontari. Dopo questa fase, se i dati sono positivi, può incominciare lo studio vero e proprio (quello di fase 3) che verifica la reale efficacia del vaccino nel prevenire l’infezione. Ognuna di queste fasi richiede del tempo di alcuni mesi. Infine, se il vaccino si dimostrerà efficace, bisogna metterlo in produzione. Quindi, sicuramente tempi non brevi. Il percorso è lungo ma risulta necessario che siano percorse tutte le fasi di valutazione di sicurezza ed efficacia prima di poter utilizzare un vaccino per una vaccinazione di massa. In una visione ottimistica un vaccino potrebbe essere pronto per gli inizi del 2021; in una visione più realistica, per l’estate del prossimo anno.

Può dirci se il Tocilizimab è stato riconosciuto come farmaco utile nella lotta al coronavirus?

Il tocilizumab è sicuramente utile nella complicanza polmonare del COVID-19. Tuttavia, deve essere utilizzato nel paziente giusto al momento giusto, ovvero quando incomincia la tempesta citochinica. In sostanza è utile in quei pazienti di subintensiva, non ancora intubati, dove i livelli basali di interleuchina-6 e degli altri parametri infiammatori sono elevati. In quel momento è in grado di determinare un recupero in 24-48 ore. Nei pazienti intubati o quando la tempesta citochinica è già in atto da diversi gironi, non sembra funzionare.

Come è andata la sperimentazione?

Il nostro studio, il Tocivid-19 è stato uno studio positivo. Infatti, era stato disegnato per verificare se il farmaco inducesse una riduzione della mortalità ad un mese di almeno il 10% ed il risultato è stato una riduzione di mortalità, nei pazienti trattati con il tocilizumab, del 12,6%. Tuttavia, sono emersi altri dati dallo studio di fase III recentemente ufficializzati, il CoVacta. In questo studio il tocilizumab, che è stato confrontato con il placebo (sostanza priva di efficacia terapeutica), non ha dimostrato un vantaggio statisticamente significativo nel ridurre la mortalità ad un mese. Ciò nonostante, lo studio riporta anche che il tempo di dimissione nei pazienti trattati con tocilizumab risulta essere inferiore, ovvero i pazienti recuperano prima. Inoltre, un altro studio di fase III, il trial EMPACTA, ha dimostrato l’efficacia del tocilizumab nel ridurre del 44% il rischio di andare incontro a ventilazione meccanica o morte rispetto a chi non ha ricevuto il tocilizumab. Questo risultato avvalora i dati dello studio di fase II TOCIVID-19, confermando l’utilità del tocilizumab nel ridurre il rischio di aggravamento nei pazienti in terapia subintensiva, quando vi è una vera e propria tempesta citochinica in corso, dimostrando che un sottogruppo di pazienti può trarre un importante beneficio dalla somministrazione del farmaco.

Come giudica l’organizzazione della sanità in Campania in questa nuova fase emergenziale della Epidemia?

Il numero dei contagi in Italia e soprattutto in Campania è dato dall’alta percentuale di test effettuati a scopo preventivo, per limitare al massimo la diffusione e il rischio di trasmissione del virus. I numeri sono alti, è vero, ma per fortuna rispecchiano in buona parte persone asintomatiche o paucisintomatiche. Il virus è tra noi, ormai credo che tutti siano tornati consapevoli di ciò, ma se non sono accompagni da un alto tasso di mortalità (come era avvenuto questa primavera) è merito molto dell’opera di screening di massa attuata dalla sanità Campania che “cerca” i positivi, in maniera da poterli isolare e ridurre in tal modo la diffusione del virus. 

A suo avviso si potrebbe fare di più e se sì che cosa?

Si può sempre fare di più, ma la cosa importante è riuscire a mettere in atto tutte le procedure volte a ridurre i contagi, con le armi che ognuno di noi ha a disposizione. Far seguire le norme di prevenzione a tutti sarebbe già un successo, vedo ancora molte persone con mascherine abbassate o che fanno assembramenti. Rispettare poche e semplici norme di prevenzione, questo è già qualcosa che ognuno di noi, con le proprie “armi” può fare. 

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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