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Economia

La shoking economy del disastro pandemico e il marketing del nostro domani

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Ha fatto una certa impressione il caso della Only Logistic, società importatrice di mascherine di proprietà di Irene Pivetti, per due anni presidente leghista della Camera (1994-1996), imposta da Umberto Bossi al tempo della sua alleanza con Silvio Berlusconi. E’ pure girato un video in cui la signora dà prova di un solido realismo quando dice che ad un certo punto si è resa conto che questa pandemia è un’occasione per fare soldi e su di essa comincia a montare i nuovi affari. 

Irene Pivetti. Ieri austera presidente della Camera dei Deputati oggi importatrice di mascherine

A molti tutto questo appare rivoltante. E si può capire, se riferito a un comportamento individuale, oltretutto legato a pratiche non proprio chiare dal punto di vista della correttezza commerciale. Speculare sulle disgrazie! Somiglia un po’, nella fattispecie, a quei costruttiri edili che risero e si fregarono le mani, mentre l’Aquila si riduceva in macerie sotto i colpi del terremoto. E piangeva i suoi morti.

In realtà, è tutto il sistema economico-produttivo che si muove così. La natura eminentemente accumulativa del capitalismo interpreta gli eventi, la storia, ciò che accade, in termini di profittabilità: che ci posso fare io con questo? Poi viene il resto: l’etica, il sentimento, lo spessore politico, la sensibilità personale, il bene comune e tutto quel che volete. Come faccio dunque “money money” con le risorse di cui dispongo (finanziarie, tecnologiche, relazionali, territoriali) nelle “nuove condizioni” generate dall’evento che si è prodotto o si sta producendo? Quali opportunità si mettono in moto, e come, e dove? E’ lo spirito del capitalismo. Che non vede mai negli eventi, anche quelli che ci possono apparire come “i peggiori”, delle emergenze occlusive, ma al contrario scova sempre canali di produzione di reddito. E se non ce ne sono, li costruisce con i nuovi “materiali” esistenziali, sociali, ambientali che la storia gli offre. La sua intelligenza evolutiva è tutta qui: aperta e generativa all’origine, quando tutti possono cogliere o inventarsi un’occasione accumulativa nelle circostanze che cambiano, fosse pure nel quadro di una pandemia mortifera; salvo poi diventare molto darwiniana nel prosieguo, quando solo i più bravi, i più audaci, i più forti rimangono in piedi e riescono nell’intento. Mai una fine di partita, insomma, ma sempre un nuovo inizio. Tutto questo può piacere o non piacere, ma è importante capire che il “desiderio” dei soggetti del capitalismo coincide esattamente con la necessità delle sue pratiche come suggerisce, da ultimo, Frédéric Lordon analizzando “La società degli affetti”.

Il coronavirus non mette in moto, dunque, solo un‘economia della salute, nelle sue ramificate forme farmaceutiche, mediche, igienico-sanitarie, logistiche, ospedaliere, professionali, assicurative, tecnico-strumentali. Tutto ciò è importante e gli analisti lo hanno messo già nel conto dei settori che per forza di cose “andranno su”. Ma questa è solo la punta dell’iceberg, come si dice. Insieme, c’è lo sviluppo a cascata di tutte le occasioni di business, dovunque esse siano o possano essere scovate o, ancor meglio, possano essere inventate.

Come diciamo, la crisi è in sé un “ambiente di apprendimento”: per gli scienziati, per i politici, per ciascuno di noi alle prese con la propria quotidianità. Lo è anche per le strutture, le istituzioni, gli attori del capitale. Il movimento dunque è in pieno svolgimento, ed è difficile fare un discorso “globale” sul domani che ci aspetta a partire da una pandemia che mostra giorno per giorno volti inediti e sfaccettature sorprendenti. 

Cosa sta markettando il capitalismo epidemico di fronte ad un “mondo che cambia” per effetto della precarizzazione della salute e dei bisogni emergenti, materiali e simbolici? Se proviamo a guardare il nostro sistema dei media e in primis la televisione, qualche filone è già ben visibile. Il più robusto, finora, ma già vecchio, ripetitivo e in qualche modo superato dai ritmi evolutivi della crisi è incentrato sul tema della “ricostruzione”, più o meno nobilitata dalle formule retoriche della “rinascita”. Scendono in campo i giganti dei grandi momenti: le ferrovie e le banche, le costruzioni, l’energia, le assicurazioni, l’auto, presentano le loro rinnovate carte di identità. Insomma, la rimessa in attività della “macchina” economico-sociale, attraverso la buona volontà “di chi tifa per la stessa squadra”. Si mobilitano la dedizione, la solidarietà, la competenza, resuscitando ed esaltando dei valori d’impresa quanto mai in sintonia con un presunto “carattere nazionale” degli italiani impegnati nella realizzazione di un progetto collettivo. Valori per vero mai dismessi e pertanto, ora che particolarmente servono, pronti per dare il massimo di se stessi, nella proiezione incitativa di un bene comune che da “tutti insieme” sarà perseguito oltre ogni possibile ostacolo. Ma altri filoni appaiono, più nuovi e vigorosi. Uno di questi riprende e rilancia una tendenza che è già pre-covid, con le filiere alimentari regionali, dal grano pugliese alla patata bolognese, sotto il tallone dell’Emilia e della Campania, egemoni in campo gastronomico. L’ultimo arrivato, la pasta di “Luciana Mosconi” sembra aver fatto centro con la sua bontà “ruvida, tenace, marchigiana”. C’è da aspettarsi un grande sviluppo della “regionalità” come tema da markettare, in un momento nel quale le Regioni, non si sa sempre bene a quale titolo, rivendicano meriti nella gestione della crisi.

Un tema che verrà, sarà necessariamente quello della sicurezza: il bollino di qualità messo in campo per attrarre gli striminziti turisti internazionali che ancora avranno voglia di uscire dai rispettivi Paesi, e per fare appello a vecchie fedeltà (dei milanesi e torinesi per la Riviera Ligure, dei bolognesi per le spiagge romagnole, dei toscani per la Versilia) al fine di ripopolare i luoghi del turismo destinati a pagare il prezzo più alto alla shoking economy del disastro pandemico. Certo saranno necessarie le politiche commerciali. Ma quelle sono banali, verranno presto. Intanto, la prelazione sul futuro, l’atto concettuale che si appropria della realtà profilata all’orizzonte è compiuto, come direbbe Henry Lefebvre. Quando ci saremo dentro, quella realtà che crederemo nostra, è già la scena di un gioco d’altri. Eh, sì! La sconfinata dilatazione dell’immaginario neoliberale inghiotte e digerisce qualunque epidemia.  

Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.

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Bonus per assumere giovani e donne e 100 euro a gennaio

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Bonus per le assunzioni di giovani, donne e lavoratori svantaggiati, con sgravi per due anni. E un’indennità di 100 euro a gennaio prossimo per i dipendenti con redditi fino a 28mila euro. La premier Giorgia Meloni insieme a metà governo presenta ai sindacati le novità in arrivo sul lavoro e sul fisco, che andranno in Consiglio dei ministri alla vigilia della festa dei lavoratori. Mettendo sul tavolo un nuovo decreto primo maggio – come già ribattezzato – dopo che l’anno scorso in quella data furono approvate le norme sull’inclusione, con l’addio al Reddito di cittadinanza, sulle causali per i contratti a termine e sul taglio del cuneo fiscale fino a 7 punti. Ora le nuove misure sono contenute nel decreto Coesione, che riforma le relative politiche in materia, e in un decreto legislativo, nell’ambito dell’attuazione della delega fiscale, domani all’esame del Cdm.

L’obiettivo, come rimarcato da Meloni al tavolo con i sindacati, è quello di continuare a sostenere la crescita dell’occupazione, la riduzione della disoccupazione e degli inattivi, ovvero di coloro che non hanno un lavoro e neppure lo cercano, per farli rientrare nel mercato. E anche di difendere il potere d’acquisto delle famiglie e dei lavoratori, “segnatamente quelli più esposti”. In particolare, per il lavoro sono in arrivo misure per sostenere l’occupazione dei giovani, delle donne e di alcune categorie di lavoratori svantaggiati: con la riduzione degli oneri contributivi per i nuovi assunti per due anni. Accanto a queste sono previste disposizioni ad hoc per favorire l’avvio di nuove attività distinte per il Centro-Nord e il Mezzogiorno, spiega la premier. E inoltre si fanno spazio “azioni per riqualificare” i lavoratori di grandi imprese in crisi per favorire l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro. Sul fronte fiscale, sarà invece erogata a gennaio 2025 un’indennità di 100 euro per i lavoratori dipendenti, con reddito complessivo non superiore a 28mila euro con coniuge e almeno un figlio a carico, oppure per le famiglie monogenitoriali con un unico figlio a carico.

Da qualcuno già definito “bonus Befana”. Con il decreto Coesione il governo punta ad accelerare l’attuazione delle politiche di coesione che prevedono per l’Italia 75 miliardi di euro, di cui 43 miliardi di risorse europee. Fondi europei che vengono assegnati al Paese ogni sette anni. E che vanno spesi, destinandoli a politiche del lavoro, sociali e di sostegno alle imprese. Poco prima del confronto con le organizzazioni sindacali in vista del primo maggio, sempre a palazzo Chigi, la presidente del Consiglio e una delegazione del governo hanno incontrato Cgil, Cisl e Uil e la confederazione europea e internazionale dei sindacati per una consultazione in vista del vertice G7, in programma in Puglia dal 13 al 15 giugno.

Come di consueto, il Labour7, il formato che riunisce le organizzazioni sindacali delle nazioni G7 e dell’Ue, partecipa ai lavori formulando raccomandazioni ai leader e ai ministri del Lavoro e presentando le priorità dell’agenda: un’agenda che punti – si legge nella dichiarazione – alla crescita dell’occupazione, verde e di qualità, della sicurezza sul lavoro e dei salari. Presenti agli incontri i segretari generali di Cisl e Uil, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri, per la Cgil i segretari confederali – non Maurizio Landini a Palermo per un’assemblea contro la mafia. Mercoledì intanto Cgil, Cisl e Uil si preparano a celebrare il Primo maggio sotto lo slogan “Costruiamo insieme un’Europa di pace, lavoro e giustizia sociale”, che li vedrà prima a Monfalcone (Gorizia) per la tradizionale manifestazione e poi a Roma per il concertone che debutta al Circo Massimo.

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Bilanci di previsione, virtuoso 86% dei Comuni ma non al Sud

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Comuni diventati virtuosi nella presentazione dei bilanci di previsione. Quest’anno sette su dieci già a metà febbraio avevano approvato e trasmesso il documento e alla data del 15 marzo la percentuale di comuni in linea era salita all’84%. Il dato risulta da un’elaborazione dei dati del Mef fatta dal Centro studi enti locali. Il dato, si spiega, è di netta rottura rispetto al passato e testimonia l’efficacia delle misure adottate lo scorso anno dal Ministero dell’Economia per interrompere il circolo vizioso dei posticipi infiniti che aveva caratterizzato gli ultimi decenni.

Ciò che emerge è però, ancora una volta, è “l’esistenza di divari siderali tra varie aree del Paese che vede contrapposti casi come quello siciliano, dove solo 30 comuni su 100 risultano aver approvato e trasmesso il bilancio, e la Valle d’Aosta e l’Emilia Romagna, dove questa percentuale sale al 96%”. Dopo anni di slittamenti nel 2023 un decreto ministeriale, ha riscritto il calendario delle scadenze contabili e anche se è comunque stata necessaria una proroga al 15 marzo quest’anno ben 4.695 comuni, il 59% del totale, hanno iniziato l’anno corrente con un bilancio di previsione già approvato e non si sono avvalsi del tempo aggiuntivo concesso dal Viminale.

Stando a quanto emerso da un’elaborazione di Centro Studi Enti Locali, basata sui dati della Banca dati delle Amministrazioni Pubbliche (Bdap-Mef), sono stati approvati entro il 15 marzo scorso i bilanci dell’84% dei comuni italiani. All’appello mancano quelli di 1.268 comuni. Questi enti hanno un profilo abbastanza preciso: la stragrande maggioranza è di piccole dimensioni. Nove di questi comuni su dieci hanno infatti meno di 10mila abitanti e il 64% è localizzato al sud e nelle isole. Nel nord Italia, nel suo complesso, risulta essere stato già trasmesso al Mef il 92% dei preventivi. In particolare, spiccano per efficienza: Emilia Romagna e Valle d’Aosta (entrambe a quota 96%) e Trentino Alto Adige e Veneto (95%). Ottimi anche i risultati registrati in: Lombardia (93%), Friuli Venezia Giulia (90%) e Piemonte (89%). Chiude il cerchio la Liguria, con l’85% di comuni adempienti.

Scendendo verso sud la percentuale decresce gradualmente, restando comunque buona al centro, dove mediamente sono stati già approvati e trasmessi 89 bilanci su 100. A trainare verso l’alto questo gruppo sono soprattutto Toscana (95%), Marche e Umbria (93%). Più indietro i comuni laziali, fermi a quota 81%. Meno rosea, ma comunque in netto miglioramento rispetto al passato, la situazione del Mezzogiorno dove i comuni più tempestivi sono stati 6 su 10. In particolare, le 3 regioni in assoluto più distanti dalla media nazionale sono – nell’ordine – la Sicilia, la Calabria e la Campania.

Nella banca dati gestita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, alla data del 24 aprile, risultano essere stati acquisiti soltanto 117 bilanci di previsione di comuni siciliani su 391, meno di uno su tre. Al di là dello Stretto ne sono stati trasmessi 236 su 404 (58% del totale), in Campania il 67% dei preventivi sono stati approvati nei tempi. Prima della classe, per quanto riguarda il meridione, è la Basilicata (92% di bilanci approvati), seguita a breve distanza dalla Sardegna (885) e dalla Puglia (86%). Chiudono il cerchio l’Abruzzo e il Molise, rispettivamente con l’80% e il 77% di comuni che hanno già inviato al Ministero il proprio preventivo.

Secondo il Centro Studi Enti Locali questi dati, nel loro insieme, testimoniano un effetto tangibile prodotto dalla nuova programmazione ma preoccupa la distanza abissale che continua a caratterizzare i risultati ottenuti da enti di territori diversi. Il processo di riforma della contabilità e dell’ordinamento degli enti locali, i cui cantieri sono aperti, dovrà necessariamente tenere conto anche delle criticità finanziarie e organizzative, ormai strutturali ed endemiche, di alcuni territori e individuare delle soluzioni efficaci per far sì che queste distanze siano colmate.

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Inflazione, Codacons: con record cacao e caffè rischi rincari

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E’ boom per le quotazioni di cacao e caffè, con i prezzi delle due materie prime che sui mercati internazionali stanno raggiungendo nuovi preoccupanti record, aumenti che potrebbero portare a breve a forti rincari dei listini al dettaglio per una moltitudine di prodotti venduti in Italia. L’allarme arriva oggi dal Codacons, che ha monitorato l’andamento delle quotazioni negli ultimi mesi. A inizio gennaio il prezzo del cacao era pari a circa 4.250 dollari la tonnellata, mentre ieri, mercoledì 24 aprile, le quotazioni sui mercati avevano raggiunto quota 10.800 dollari, con un incremento del +154% da inizio anno, riporta il Codacons. Trend analogo si registra per il caffè, con il Robusta che è passato dai 2.800 dollari la tonnellata dello scorso gennaio ai 4.250 dollari del 24 aprile, segnando un +51,8%, mentre l’Arabica nello stesso periodo sale da 190 a 224 centesimi alla libbra (+18%).

Quotazioni alle stelle che interessano materie prime utilizzate per prodotti molto consumati in Italia, e che rischiano di determinare rincari a raffica per i prezzi al dettaglio di una moltitudine di alimenti, lancia l’allarme il Codacons. Basti pensare che solo per i prodotti a base di cacao e caffè gli italiani spendono oltre 10,2 miliardi di euro all’anno, circa 392 euro a famiglia: il giro d’affari del cioccolato nel nostro Paese è di circa 2 miliardi di euro, con un consumo procapite di circa 2 kg. Cialde e capsule valgono 595 milioni di euro annui, mentre il caffè per moka registra vendite per 640 milioni di euro. 7 miliardi di euro il business del caffè espresso consumato al bar. I prezzi al dettaglio hanno già risentito nell’ultimo periodo dell’andamento delle quotazioni, con i prezzi di prodotti a base di cacao e caffè che sono aumentati sensibilmente rispetto allo scorso anno – aggiunge il Codacons. Ipotizzando un rincaro medio dei listini al dettaglio del +5% come effetto dei rialzi delle materie prime, i consumatori andrebbero incontro ad una nuova stangata da 510 milioni di euro solo per i consumi di caffè e cioccolato.

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