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Economia

Edilizia e ristorazione, i due motori dell’economia della Campania spenti perchè in Lombardia succedono cose strane

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 Non si riaccendono per ora due importanti motori dell’economia Campana ma il discorso può essere esteso in larga parte anche all’intera realtà meridionale, dato che ad oggi, pur registrando una svolta nella graduale riapertura soprattutto delle industrie del Nord, restano escluse dalla ripartenza l’edilizia privata e la ristorazione, a sua volta legata alla trasformazione delle eccellenze enogastronomiche, settori questi che nella nostra Regione, in modo diretto o indiretto, hanno la capacità di smuovere milioni di euro, confermandosi dunque un traino fondamentale per la ripresa.

Sicuramente la cautela è d’obbligo ma, come si legge anche dal comunicato ufficiale della Regione Campania di qualche giorno fa, la riapertura dei cantieri  privati poteva essere programmata già dal 20 aprile prossimo, salvo poi interrompersi in concomitanza delle festività del 25 Aprile, 1 Maggio e week-end “correlati”. Tuttavia è stata ritenuta “ragionevole” una ripresa solo dal 3 maggio prossimo, quindi tra quasi tre settimane.

Peccato, perché le aziende edili avrebbero potuto riavviare i cantieri privati ripartendo dalle misure più urgenti o di completamento, anche in forma ridotta, ma in modo tale da potersi rimettere in marcia fin da subito e proseguire poi con sostenibile gradualità. Ovviamente osservando tutti gli accorgimenti del caso, come il distanziamento e l’utilizzo di tutti gli ausili di protezione dal “covid19”, operazione questa non impossibile e addirittura favorita anche dal clima, che proprio da questo periodo dell’anno consente di effettuare importanti interventi all’esterno dei fabbricati, come il gettito di fondamenta, realizzazione di coperture, tinteggiature di facciate (oggetto anche di sgravio fiscale) ecc. quindi in un contesto di maggiore salubrità e senza rischio di contagio.

Del resto è stata concessa alle ditte di impiantistica, che materialmente espletano attività simili ed in parte uguali a quelle edili, di poter riprendere, sempre con la massima cautela del caso, le attività sospese dal 10 Marzo scorso a causa del “coronavirus”. Il che pone una riflessione anche sulla coerenza ed attualità della scelta che limitata i costruttori.

L’altro indotto che ha subito una grave battuta d’arresto ed è ancora fermo al palo è dunque rappresentato dalla ristorazione, attraverso la quale, soprattutto in Campania, si compie anche la trasformazione delle eccellenze enogastronomiche locali, invidiate in tutto il modo, che rappresentano altro fondamentale segmento della nostra economia Regionale. Due settori di altissimo rilievo che si intersecano creando una interdipendenza che deve essere urgentemente posta al centro della riflessione sull’attuale fase di ripresa. Sicuramente dare il via libera all’apertura delle sale da pranzo per la somministrazione diretta appare ancora ad oggi sicuramente sacrificabile per ovvie ragioni sanitarie, ma consentire nell’attuale contesto l’organizzazione del cibo da asporto, con tutte le precauzioni del caso, potrebbe dare una prima boccata d’ossigeno all’intero indotto, scongiurare licenziamenti e garantire continuità delle commesse.

I fratelli della pizza. Toto e Gino Sorbillo, grandi lavoratori ed eccellenti imprenditori messi in difficoltà delle ordinanze restrittive della Regione

Attualissimo e puntuale si conferma dunque l’appello di un gigante della pizza napoletana come Gino Sorbillo, che anche dalle pagine di “Juorno” e dalla recentissima diretta streaming ha posto proprio la questione dell’asporto direttamente al Sindaco di Napoli, poi estesa a tutte le Istituzioni sovracomunali, anche in relazione a quanto accade in altre Regioni italiane, come nel caso della Toscana, dove tale attività non si è mai arrestata ed ha contribuito non solo ad alleviare la quarantena dei cittadini costretti a casa, ma ha sicuramente garantito un minimo di economia al settore scongiurandone anche l’arresto totale. Sempre ovviamente nel pieno rispetto delle norme anti contagio che restano di assoluta priorità. 

Pensare poi che in Campania, vietando l’asporto si è anche interrotta quella meravigliosa manifestazione di solidarietà, tipicamente nostrana, che ha coinvolto spontaneamente tantissimi imprenditori della ristorazione, che in modo discreto hanno donato i loro eccezionali prodotti a tanta gente bisognosa costretta in casa, lascia proprio l’amaro in bocca, un amaro che solo il sapore di una calda margherita assaporata in piena quarantena potrebbe alleviare.

Anche in tal caso si intravedono profili di disparità di trattamento non solo tra le varie realtà regionali, ma anche tra settori produttivi simili, come nel caso dei panifici ai quali l’asporto, anche in Campania, è stato sempre giustamente consentito, in un contesto di lavorazione e distribuzione però praticamente coincidente con quello dell’attività di pizzeria, ovviamente sempre con esclusivo riferimento alla distribuzione a domicilio.

Speriamo che i tanti appelli possano giungere soprattutto ai vertici regionali e nazionali ed essere positivamente valutati, e così vedere la nostra economia ripartire parallelamente a quella del Nord, senza perdere in questo modo quel proficuo vantaggio accumulato nei giorni di rigoroso rispetto delle regole che ci ha reso orgogliosi della nostra appartenenza e veri rappresentanti di un Sud che non vuole più arretrare.

(nella foto in evidenza Lucia Migliaccio, una sommelier)

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Nozze Ita-Lufthansa, rischio veto Ue senza modifiche

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Parte una settimana decisiva sul futuro di Ita-Lufthansa. Le due compagnie dovranno presentare all’Antitrust Ue un nuovo pacchetto di impegni con i dovuti miglioramenti per arrivare alle tanto agognate nozze. Le proposte messe sul piatto finora sullo scalo di Milano-Linate, sulle rotte a corto raggio dall’Italia all’Europa centrale e sui collegamenti a lungo raggio da Fiumicino verso Stati Uniti e Canada sono state ritenute insufficienti da Bruxelles. In caso di modifiche, la Commissione europea, impegnata al momento nel market test che si concluderà lunedì, valuterà i nuovi rimedi e la sua decisione potrebbe “consolidarsi” già a inizio giugno. Senza miglioramenti, a quanto si apprende da fonti comunitarie, l’operazione è destinata ad essere bocciata. L’annuncio ufficiale è atteso entro il 4 luglio.

Tra le sue richieste, la Commissione chiede di cedere molti più slot a Milano Linate: il 30%, 60 voli giornalieri, secondo quanto scrive il Corriere della Sera, e in questo modo la quota di mercato combinata sullo scalo passerebbe dal 66 al 46%. Ita e Lufthansa propongono invece di rilasciare l’11-12% degli slot. La compagnia tedesca dovrebbe, poi, rinunciare ai ricavi che realizza sui voli tra l’Italia e il Nord America. L’idea avanzata dai tedeschi, ossia congelare per due anni l’alleanza con Ita sui lunghi collegamenti da Fiumicino con Usa e Canada non ha convinto la Commissione in quanto Lufthansa detiene già un’ampia quota di mercato attraverso le joint venture formate con United Airlines e Air Canada. Qualche giorno fa il presidente di Ita Airways, Antonino Turicchi, ha sottolineato che “questa è un’operazione a favore del mercato, non compromette la concorrenza”.

E in difesa dell’operazione Italo-Tedesca si è espresso anche l’amministratore delegato di Aeroporti di Roma, Marco Troncone. La fusione “significa molto per il Paese e per l’Europa, nonostante i dubbi che la Commissione solleva”, ha detto il numero uno di Adr, evidenziando come “i profili di concentrazione di questa operazione siano oggettivamente marginali nel contesto del mercato rilevante”. Una eventuale bocciatura dell’operazione Ita-Lufthansa da parte della Commissione europea aprirebbe scenari molto foschi per il futuro della newco, nata dalle ceneri di Alitalia. L’amministratore delegato del gruppo Ryanair, Michael O’Leary, non ha dubbi: senza Lufthansa la compagnia italiana “andrà in bancarotta e scomparirà “.

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Banche, utili record: in tre mesi a 6,3 miliardi

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Il sistema bancario “continua a macinare record”. Numeri in crescita anche nel primo trimestre dell’anno con i primi sette gruppi bancari del Paese (IntesaSanpaolo, Unicredit, Bpm, Mps, Bper, Popolare di Sondrio e Credem) che hanno fatto registrare utili pari a 6,3 miliardi, per un +25,6% sui primi tre mesi del 2023. Lo rileva un report condotto dall’Ufficio studi & ricerche della Fisac-Cgil sui risultati di bilancio dei primi sette gruppi bancari nazionali nel primo trimestre del 2024.

“Dopo i risultati da record per i grandi gruppi bancari nel biennio passato – commenta la segretaria generale della Fisac-Cgil, Susy Esposito – molti si attendevano un rallentamento, complice l’attesa discesa dei tassi di interesse. Il ritardo della Bce a diminuire i tassi di riferimento, e di conseguenza la trasmissione di questo ai tassi attivi praticati dalle banche, insieme alla perdurante politica di scarsa remunerazione dei depositi, ha mantenuto elevato il livello dei ricavi dalla gestione del danaro”. Risultati che, aggiunge, “a fronte di un contenimento sul versante della spesa del personale, nonostante il rinnovo del contratto, così come delle spese amministrative, deve indurre il sistema bancario per intero a investire sull’occupazione e sul radicamento nel territorio”.

Il margine di interesse, si rileva nel report della Fisac-Cgil, sale ancora, per il campione, di quasi il 7% nei primi tre mesi dell’anno rispetto all’analogo periodo del 2023. La dinamica delle commissioni, per quasi tutti i gruppi, ha accelerato (+5,3%) e spesso deriva dalla spinta alla vendita di prodotti assicurativi ma anche da quelle relative all’amministrazione dei titoli. Il prodotto delle due componenti più significative dell’attività caratteristica bancaria ha spinto ulteriormente verso l’alto i ricavi totali (17,8 miliardi di euro per un +9,8%). Sul versante dei costi del personale, che hanno registrato un aumento del +2,5% derivato anche dal rinnovo del contratto Abi, si mantengono mediamente più elevati rispetto allo stesso periodo del 2023 seppur in maniera contenuta, così come le spese amministrative, sottolinea il rapporto della Fisac.

Questa dinamica dimostra, dal lato dei costi per il personale, “la capacità delle banche di agire gestionalmente per mantenere sotto controllo questi ultimi, anche e purtroppo attuando politiche di riduzione degli organici come di mancato turn over”, prosegue il report. Dal lato delle spese amministrative (-0,5%), la previsione di investimenti in nuova tecnologia, spiega inoltre la Fisac-Cgil, come previsto da quasi tutti i piani di impresa, “farebbe pensare ad un incremento di queste ultime anche a scapito della erosione dei margini, fenomeno che non si è ancora verificato. Viceversa il contenimento delle spese, anche attraverso la politica della chiusure delle filiali, a beneficio della redditività a disposizione della distribuzione di utili, può rallentare il processo di innovazione tecnologica, così come confermare la dinamica di riduzione di dipendenti e sportelli”.

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Abi, tasso medio dei conti corrente sale allo 0,59%

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In aprile il tasso medio praticato dalle banche italiane sui nuovi depositi a durata prestabilita (cioè certificati di deposito e depositi vincolati) è stato il 3,63%. A marzo 2024 tale tasso era in Italia superiore a quello medio dell’area dell’euro (Italia 3,67%, area dell’euro 3,50%). Rispetto a giugno 2022, quando il tasso era dello 0,29% (ultimo mese prima dei rialzi dei tassi Bce), l’incremento è stato di 334 punti base.

Lo afferma il rapporto mensile dell’Abi. Il rendimento delle nuove emissioni di obbligazioni bancarie a tasso fisso ad aprile 2024 è stato il 3,81%, con un incremento di 250 punti base rispetto a giugno 2022 quando era l’1,31%. In aprile il tasso medio sul totale dei depositi (certificati di deposito, depositi a risparmio e conti correnti), è stato l’1,05% (1,04% nel mese precedente, 0,32% a giugno 2022). Il tasso sui soli depositi in conto corrente è salito allo 0,59% (0,57% nel mese precedente), tenendo presente che il conto corrente “permette di utilizzare una moltitudine di servizi e non ha la funzione di investimento”, conclude l’Abi.

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