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Cinema

“007 è morto”, il James Bond uscito dalla penna di Horowitz torna sul grande schermo in “Forever and a Day”

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“007 è morto” sono le prime parole di “Forever and a Day” , il libro da poco uscito in Inghilterra. È la nuova avventura di James Bond. L’autore è Anthony Horowitz,  l’unico a cui gli eredi di Ian Fleming, il creatore di 007, hanno affidato il compito di inventare nuove puntate della saga dell’agente segreto di Sua Maestà più famoso del mondo. Fleming è morto da 54 anni, Casino Royale , il primo romanzo della saga, è stato pubblicato nel 1955. Eppure eccoci di nuovo qui a seguire James Bond nelle sue imprese. Potenza del cinema. Senza, soprattutto, i vecchi film con Sean Connery; e poi senza quelli recenti con Daniel Craig, di James Bond ormai si occuperebbe soltanto una nicchia di appassionati.

Forever and a Day è il prequel di Casino Royale e l’agente 007 di cui nella prima riga del libro si dice che è morto non è James Bond, ma un altro agente, suo amico, trovato morto a Marsiglia, dove svolgeva una missione dai contorni incerti, una storia di traffico di droga decisamente misteriosa, con implicazioni tali da richiedere l’intervento dei Servizi Segreti. Bond è chiamato a sostituirlo, ereditandone il numero. E a vendicarlo, oltre che a scoprire da chi e perché è stato ucciso.

Anthony Horowitz. L’erede di Fleming manda in libreria 007 is dead, già pronto anche il soggetto per il film

Anche questa volta, ovviamente, c’è una donna affascinante da sedurre, Madame Sixtine, ex-agente segreto durante la guerra che ora lavora in proprio. La donna non dipendeva però dai Servizi «canonici», bensì dal Soe, l’ente segreto creato da Churchill per le azioni di sabotaggio dietro le linee tedesche. Era stata catturata pochi giorni prima della fine della guerra. Ma quel breve periodo era stato sufficiente per farle vivere un’esperienza così traumatica da indurla a non voler dire assolutamente niente di ciò che aveva dovuto subire. Madame Sixtine ha dieci anni più di 007, quindici di più, come leggiamo nel libro, delle donne che gli interessano; ma in questo caso l’anagrafe è irrilevante. Bond la incontra ai tavoli del casinò e la sconfigge al gioco del Vingt-et-un. È però lei a vincere nel gioco della seduzione. Bond sospetta di lei, in primo luogo perché è stata vista insieme a Scipio, il capo di una cosca (niente a che fare con la Sicilia, bensì con la Corsica) che gestisce il traffico della droga e che è il probabile responsabile dell’ uccisione del precedente 007. In secondo luogo perché è l’ amante di Irwin Wolfe, un miliardario americano dai traffici poco chiari legato a Scipio.

Invece sarà proprio lei ad aiutarlo a scoprire il mistero. Quale esso sia non è lecito dirlo qui. È tuttavia utile spiegare chi è il tycoon americano, che forse, per certi aspetti ideologici, si ispira alla figura dell’ attuale presidente degli Stati Uniti (il libro è stato scritto durante la campagna elettorale di Trump e, almeno in parte, dopo la sua elezione). Wolfe è a suo modo un seguace della politica isolazionista applicata fanaticamente da quell’ Harding che divenne presidente degli Usa nel 1920, rifiutandosi di partecipare ai lavori della Società delle Nazioni e imponendo elevate tariffe doganali per difendere le industrie nazionali.

Wolfe era quindi fermamente contrario all’ ingresso in guerra degli Stati Uniti a fianco della Gran Bretagna, voluto invece dal presidente Roosevelt. I suoi due figli morirono entrambi in azione: l’ intento di Wolfe è quello di vendicarli attraverso un piano mirato a minare la gioventù americana e quindi l’intero paese.

Horowitz ha prosa più ricca di quella di Fleming: più letteraria, ma non meno avvincente. Per due aspetti, tuttavia, Horowitz si differenzia nettamente da lui: per come presenta l’atteggiamento sessuale di Madame Sixtine (è lei che decide) e per il modo con cui nel finale Bond interpreta la sua licenza di uccidere. Un comportamento non certo professionale, ma dettato dalle ragioni del cuore e non dalla ragione di stato.

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Cinema

Francesco e Mario Di Leva e l’ossessione di Nottefonda

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Al centro di ‘Nottefonda,’ film cupo e senza speranza, in sala dall’8 maggio con Luce Cinecittà, c’è un’ossessione che non finisce mai: quella di Ciro (Francesco Di Leva), elettricista napoletano cinquantenne, che ogni notte esce con il figlio di tredici anni, Luigi (Mario Di Leva), alla ricerca di quell’auto rossa che ha investito e ucciso l’amata moglie. Per dimenticare non gli basta il crack che fuma sulla terrazza condominiale (come si vede nella prima scena del film), né il tempo che passa, il suo lutto sembra proprio non finire mai.

A consolare Ciro c’è solo la pistola che ha nel cassetto della sua auto, chiaro segno della sua voglia dì vendicarsi o forse di farla finita. Liberamente tratto dal romanzo, ‘La strada degli Americani’ (Frassinelli) a firma dello stesso regista Miale Di Mauro, il film racconta appunto di quest’uomo silenzioso e disperato che ha dalla sua solo il figlio, qualche amico e l’affidabile madre che ogni sera lo aspetta a casa.

“Il mio personaggio di Ciro – dice Francesco Di Leva- è un uomo che sprofonda in un abisso e, dopo aver raggiunto il punto più profondo e oscuro della sua esistenza, prova in tutti i modi a risalire a galla, sperando di vedere presto la luce. Non è un vero tossicodipendente, ma ha trovato nell’uso e nell’abuso del crack uno sfogo per uscire dalla traversata del lutto che lo ha colpito dopo la morte improvvisa di sua moglie in un incidente stradale. Per restituire al personaggio il dolore, la fatica, ma anche la tenerezza che si porta dietro come un macigno – continua l’attore – ho lavorato molto sul silenzio. Ciro evita di confrontarsi con le persone e anche di incontrare gli sguardi degli altri, sfugge a qualsiasi contatto umano perché questa circostanza implicherebbe un confronto. Lui sa che è il momento di essere invaso dalla sofferenza, vuole percepirla come ultima e grande esperienza di amore verso sua moglie mentre tutto il resto, gli altri, la vita di ogni giorno, vengono dopo”.

“Ho capito che volevo raccontare Napoli come una città universale dove collocare il mio protagonista e la sua storia umana – dice il regista-scrittore -. Farlo vagare in una città notturna, piena di gru del porto, di rumori di muletti in azione, di container pronti a partire, di sabbia nera del vulcano e mare grigio d’inverno, di cavalcavia isolati e di strade periferiche e buie. E poi un’auto, quella di Ciro, che le percorre. Sullo sfondo il Natale che illumina le case degli altri e mette tristezza a chi non ha niente da festeggiare”.

E ancora Miale Di Mauro: “M’interessava solo guardare da molto vicino lo sforzo di quest’uomo che combatte contro sé stesso per attraversare la sua bizzarra elaborazione del lutto. Stare con lui, sempre con lui, sulla sua faccia livida e i suoi capelli radi, segni evidenti di dolore e disperazione. Fino all’alba che – finalmente – lo libererà dal supplizio con un sorriso di pianto”. Scritto dallo stesso regista con Bruno Oliviero e Francesco Di Leva, ”Nottefonda’ è prodotto da Mad Entertainment con Rai Cinema in collaborazione con Leocadia. Nel cast anche Adriano Pantaleo, Giuseppe Gaudino, Valeria Colombo, Dora Romano e l’amichevole partecipazione di Chiara Celotto.

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Cristina Comencini: il cinema delle donne è una nuova ricchezza. Io dalla parte delle donne sempre

Cristina Comencini racconta al Corriere della Sera il successo de “Il treno dei bambini”, la sua visione sul cinema delle donne, la politica e il suo nuovo amore.

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Cristina Comencini (le foto sono di Imagoeconomica), con il suo ultimo film “Il treno dei bambini” tratto dal romanzo di Viola Ardone e disponibile su Netflix, ha raggiunto quasi trenta milioni di visualizzazioni. «Mi sembra incredibile», racconta, «ma credo che il tema profondo del dopoguerra, del trauma che la guerra lascia sui sentimenti, abbia colpito il pubblico di tutto il mondo».

Il cinema tra piattaforme e sale

«Portare la gente in sala è bellissimo, ma difficile. Le piattaforme e il cinema possono coesistere. L’importante è, come diceva mio padre Luigi Comencini, mantenere sempre la massima verità e bellezza in quello che si crea», afferma Cristina, riflettendo sulla trasformazione del mondo cinematografico.

Il successo e la nuova generazione di registe

Comencini riconosce l’importanza del successo ma non lo vive come un punto di arrivo: «È un mestiere da montagne russe». È felice dell’affermazione di tante donne nel cinema italiano, come Paola Cortellesi, sottolineando: «Il cinema si è finalmente aperto alle storie delle donne, arricchendosi di nuove prospettive».

Il rapporto con la famiglia e il film di Francesca Comencini

Cristina racconta il forte legame con le sorelle e commenta il film di Francesca Comencini su loro padre Luigi: «Una scelta giusta. Ognuno vive un padre a modo suo». Nessuna gelosia, ma un affetto profondo che ha sempre unito la famiglia.

CRISTINA COMENCINI REGISTA

Politica, femminismo e il ruolo di Giorgia Meloni

Comencini ribadisce la sua radice di sinistra e il suo impegno per il femminismo: «Il sostegno reciproco tra donne non deve mai venir meno». Sul premier Giorgia Meloni, pur nella distanza politica, riconosce: «Per la sua parte politica sta facendo bene».

I cambiamenti nell’estetica e il coraggio delle attrici

Parlando di Giovanna Mezzogiorno, Cristina denuncia il problema della discriminazione estetica nel cinema: «Finalmente si inizia a dare meno peso all’apparenza e più al talento».

La maternità precoce e l’amore ritrovato

Diventata madre a 18 anni, Cristina confida di non aver rimpianti: «Mi ha dato la ricchezza di tutto ciò che ho scritto». Oggi vive una nuova fase felice della sua vita con il documentarista francese François Caillat, tra Roma e Parigi.

Il futuro: un nuovo romanzo in arrivo

Cristina annuncia anche il suo prossimo romanzo, “L’epoca felice”, che uscirà a ottobre per Feltrinelli: «Parlerà dell’adolescenza e della capacità della vita di sorprenderci anche quando meno ce lo aspettiamo».

 

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Cinema

Morto a 65 anni l’attore americano Val Kilmer

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È morto all’età di 65 anni l’attore americano Val Kilmer. Lo rende noto la famiglia, citata dal New York Times. Il decesso è avvenuto a Los Angeles a causa delle complicazioni di una polmonite, ha spiegato la figlia Mercedes Kilmer. All’attore era stato diagnosticato un cancro alla gola nel 2014, da cui era riuscito a guarire. Tra le sue tante interpretazioni si ricordano in particolare quella Jim Morrison in ‘The Doors’ del 1991 di Oliver Stone, quella di Iceman in ‘Top Gun’ del 1986 di Tony Scott e quella di Bruce Wayne in ‘Batman forever’ del 1995 di Joel Schumacher.

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