Collegati con noi

Esteri

Zelensky negli Usa: nessun compromesso su nessun compromesso

Pubblicato

del

La guerra in Ucraina non è finita ma Volodymyr Zelensky è piu’ convinto che mai di riuscire a sconfiggere le forze di Vladimir Putin e di arrivare ad una “pace giusta” che, per il leader di Kiev, significa nessun compromesso sulla sovranità e l’integrità del suo Paese. Nella sua prima visita all’estero dall’inizio della guerra il presidente ucraino viene accolto come un eroe alla Casa Bianca da Joe Biden che ne elogia il coraggio e gli assicura il sostegno degli Stati Uniti “per tutto il tempo necessario”.

Oltre a concedergli i tanto agognati sistemi di difesa Patriot, da tempo richiesti da Kiev. “Non sarete mai da soli”, ha assicurato il presidente americano durante la conferenza stampa nella East Room addobbata per le feste natalizie. “La battaglia dell’Ucraina fa parte di qualcosa di più grande. Gli americani si oppongono ai bulli e lottano per la liberta’”, ha sottolineato Biden. I due leader si era incontrati l’ultima volta nello Studio Ovale nel settembre del 2021, quando l’invasione della Russia era solo una minaccia. Quella volta Zelensky indossava un completo blu e una cravatta dello stesso colore, sguardo disteso e viso sbarbato.

Oggi ha il volto tirato e indossa la ormai iconica divisa militare, ma non ha perso il senso dell’ironia e, durante i circa 40 minuti di confronto con la stampa, non mancano i momenti di leggerezza. Come quando scherzosamente minaccia Biden che “presto tornerà a chiedere altri Patriot”. Intanto Zelensky incassa da Washington un nuovo pacchetto di armi da 1,85 miliardi di dollari che include i preziosi sistemi anti-aerei, considerati i fiori all’occhiello della difesa Usa, e dei kit in grado di convertire munizioni aeree non guidate in ‘bombe intelligenti’ per i jet ucraini con un tasso di precisione molto più alto. “I Patriot saranno un asset critico per l’Ucraina nella sua difesa contro l’aggressione della Russia”, spiega il presidente americano rimarcando tuttavia che non si tratta di “un’escalation poiche’ sono sistemi di difesa”.

Biden sottolinea anche che “Nato, Usa ed Europa non sono mai state così unite nel sostegno a Kiev” e che non vede alcuna “crepa” nel fronte occidentale. Salvo poi chiudere la conferenza stampa con una battuta sulle “ore passate a convincere i leader europei sulla necessità di armare l’Ucraina”. “L’Europa teme la Terza Guerra Mondiale ma poi….”, si lascia sfuggire il presidente americano tagliando la frase con un sibillino “ho già detto troppo”. Quel che è certo è che gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo di leadership negli aiuti occidentali a Kiev. Zelensky ne è consapevole e, nonostante non abbia ottenuto dagli Usa i super razzi in grado di colpire fino a 300 chilometri di distanza quindi in territorio russo, ringrazia Biden dal “profondo del cuore” per i Patriot che “rafforzeranno significativamente la nostra difesa aerea”.

Quanto all’esito del conflitto il leader ucraino non ha dubbi che alla fine l’Ucraina prevarrà. “Voglio veramente vincere. Non solo lo voglio, ne sono sicuro”, dichiara. Anche Biden ne è convinto. “Putiin perderà, ha già fallito, non riuscirà ad occupare l’Ucraina. Le forze di Kiev hanno infranto tutto le aspettative dei russi”, sottolinea il presidente americano per il quale Zelensky si siederà al tavolo dei negoziati solo dopo aver vinto sul campo di battaglia. Per il presidente ucraino “pace giusta” ha un solo significato: “nessun compromesso sulla sovranità, sulla libertà e sull’integrità territoriale del mio paese”. Ma, si chiede Zelensky, ci puo’ essere una pace giusta “per quei genitori che hanno perso i loro figli e le loro figlie al fronte?”. La storica visita del leader di Kiev si è conclusa con un intervento a Capitol Hill, nove mesi dopo quello virtuale dello scorso marzo. Come quello di Winston Churchill che il 26 dicembre di 81 anni fa cementò l”alleanza che avrebbe vinto la Seconda Guerra Mondiale e costruito il mondo democratico moderno.

Advertisement

Esteri

Venezuela, liberato l’italiano Oreste Alfredo Schiavo: era detenuto da quattro anni per presunto golpe

Pubblicato

del

È tornato finalmente libero Oreste Alfredo Schiavo, imprenditore italo-venezuelano di 67 anni, condannato in Venezuela a 30 anni di carcere con l’accusa di tradimento, finanziamento del terrorismo e associazione a delinquere. Una vicenda che si trascinava dal giugno 2020 e che ha trovato un esito positivo nelle scorse ore, grazie alla mediazione riservata della Comunità di Sant’Egidio, con il supporto della Farnesina e dei rappresentanti diplomatici italiani in loco.

Arrestato per l’operazione “Gedeone”

Schiavo era stato arrestato dagli agenti del Sebin, il servizio di intelligence venezuelano, l’8 giugno 2020. Il suo nome era stato collegato all’operazione “Gedeone”, un presunto tentativo di colpo di Stato ai danni del presidente Nicolás Maduro, che avrebbe previsto lo sbarco di mercenari sulle coste del Paese per prendere in ostaggio funzionari del governo. Insieme a Schiavo furono fermate circa 90 persone. In primo grado, nel maggio 2024, Schiavo era stato condannato a 30 anni di carcere, nonostante le sue gravi condizioni di salute.

L’intervento di Sant’Egidio e il viaggio verso Roma

La svolta è arrivata nella giornata di ieri, grazie a un’operazione diplomatica silenziosa, portata avanti dal docente e dirigente di Sant’Egidio Gianni La Bella, dai funzionari dell’ambasciata e del consolato d’Italia, e con il determinante contributo di Rafael La Cava, ex ambasciatore venezuelano a Roma e attuale governatore dello Stato di Carabobo.
Schiavo è stato scarcerato dal penitenziario di El Helicoide, noto per la presenza di prigionieri politici e denunciato da organizzazioni per i diritti umani per le sue condizioni carcerarie, e successivamente condotto in una clinica per accertamenti sanitari.

“Liberato per motivi umanitari”

In serata, il rilascio si è trasformato in un rimpatrio in Italia, con un volo di linea diretto a Fiumicino partito alle 17 (ora locale). Sant’Egidio ha voluto ringraziare pubblicamente il presidente Maduro, specificando che il rilascio è stato concesso “per ragioni umanitarie, con un atto di liberalità personale”.

Un gesto che apre nuove possibilità

La liberazione di Schiavo potrebbe rappresentare il primo spiraglio per sbloccare anche altre detenzioni italiane in Venezuela, come quella del cooperante Alberto Trentini, arrestato nel 2024, e di due italo-venezuelani: Juan Carlos Marrufo Capozzi, ex militare arrestato nel 2019, e Hugo Marino, investigatore aeronautico che aveva indagato su due misteriosi incidenti aerei accaduti attorno all’arcipelago di Los Roques, nei quali morirono, tra gli altri, Vittorio Missonie sua moglie.

Il carcere e le denunce di tortura

Nel carcere di El Helicoide, dove era rinchiuso Schiavo, numerosi attivisti per i diritti umani hanno documentato casi di maltrattamenti e detenzioni arbitrarie. Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani si era occupato del suo caso, definito emblematico per le gravi violazioni del diritto alla difesa e per l’assenza di prove concrete nel processo.

Continua a leggere

Esteri

Media Houthi, 2 morti e 42 feriti nell’attacco israeliano

Pubblicato

del

E’ di almeno due morti e 42 feriti l’ultimo bilancio dell’attacco israeliano lanciato oggi alla fabbrica Ajal nella provincia di Hodeida, nello Yemen. Lo riporta il canale al Masirah, affiliato agli Houthi, citato da Ynet e dall’agenzia russa Tass. E’ la prima reazione di ISraele all’attacco degli Houthi all’aeroporto Ben Gurion dei giorni scorsi.

Continua a leggere

Esteri

Perù, coprifuoco a Pataz dopo la strage dei 13 minatori rapiti

Pubblicato

del

La presidente del Perù, Dina Boluarte, ha dichiarato il coprifuoco nella distretto di Pataz, nella regione settentrionale di La Libertad dopo che ieri la polizia ha ritrovato in un tunnel i corpi dei 13 lavoratori rapiti il 26 aprile scorso da minatori di oro illegali. Lo rendono noto i principali media peruviani.

Oltre al coprifuoco a Pataz, dalle 18 di sera alle 6 del mattino, Boluarte ha annunciato anche la sospensione dell’attività mineraria per 30 giorni in tutta la provincia oltre ad accogliere la richiesta delle autorità locali di aprire una base militare a Pataz, vista l’assenza della Polizia peruviana nella regione. La decisione segue di poche ore la diffusione di un video sui social media, registrato dai sequestratori, in cui si mostra come ciascuno dei minatori sia stato giustiziato a bruciapelo. Le 13 vittime erano lavoratori assunti dall’azienda R&R, di proprietà di un minatore artigianale che svolge attività di sicurezza per la miniera Poderosa, una delle principali compagnie aurifere della provincia, sempre più sovente bersaglio di attacchi da parte di minatori illegali e gruppi criminali. (

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto