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Cronache

Voti comprati in Puglia, Conte fa saltare le primarie

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Una nuova bufera giudiziaria con una inchiesta per voto di scambio piomba sul voto per le comunali di Bari e spacca il centrosinistra che, in un clima già teso, si preparava a celebrare domenica prossima le primarie per scegliere il candidato sindaco unitario. Il leader del M5S, Giuseppe Conte, in città per partecipare ad una iniziativa elettorale a sostegno di Michele Laforgia, si sfila dalle primarie annunciando che “non ci sono più le condizioni per svolgerle seriamente” e confermando il sostegno al proprio candidato. Un scelta che dal Nazareno definiscono “incomprensibile”.

“Se il Movimento 5 stelle pensa di vincere da solo contro la destra proceda pure – fanno sapere i dem – Ma abbia rispetto per la città di Bari, per gli elettori di centrosinistra e non pensi di dare lezioni di moralità a nessuno. Il Pd resta al fianco di Bari che ha già dimostrato quanto sia importante il Pd come presidio di legalità e di buona amministrazione”. La decisione del leader M5s potrebbe creare una pesante spaccatura con i dem che, si ragiona in ambienti del partito democratico, potrebbe portarli a sostenere il loro candidato senza cercare una mediazione nell’ambito del campo largo, che ora esce decisamente ammaccato da questa vicenda. L’inchiesta giudiziaria che ha fatto irruzione nella politica pugliese ha portato otto arresti e ha toccato la giunta regionale (della quale fa parte anche il M5s) con l’assessora regionale Pd, Anita Maurodinoia, soprannominata ‘lady preferenze’, indagata per voto di scambio che si è dimessa dall’incarico e dal partito. Ai domiciliari sono finiti suo marito, Sandro Cataldo, leader del movimento ‘sud al centro’ e il sindaco di Triggiano Antonio Donatelli.
Le accuse sono di compravendita di voti (pagati anche 50 euro l’uno) per le elezioni in due comuni della provincia di Bari e per le regionali. Polemiche politiche, arresti e indagini stanno accompagnando questa campagna elettorale e in città è attesa la segretaria del Pd, Elly Schlein, per il comizio conclusivo del candidato del Pd, Vito Leccese. “Il Partito Democratico – dice la leader dem – non accetta voti sporchi. Non tolleriamo voti comprati.

Chi pensa che la politica sia un taxi per assecondare ambizioni personali senza farsi alcuno scrupolo non può trovare alcuno spazio nel partito che stiamo ricostruendo, qui deve trovare porte chiuse e sigillate”. L’inchiesta segue altre due indagini sul presunto voto di scambio che, nei mesi precedenti hanno portato agli arresti di due ex consigliere comunali di Bari, con l’ombra anche di infiltrazioni mafiose, tanto che a Bari è al lavoro da giorni la commissione di accesso inviata dal Viminale che valuterà se ci siano infiltrazioni mafiose nell’amministrazione e deciderà se sciogliere il Comune. Il caso Bari è anche all’attenzione della commissione parlamentare antimafia che nei prossimi giorni sentirà anche il governatore pugliese, Michele Emiliano e il sindaco Antonio Decaro.

Tra gli ultimi due il rapporto è stato incrinato dal presunto incontro che, secondo quanto raccontato pubblicamente (e poi parzialmente rettificato) dal governatore durante una manifestazione a Bari, sarebbe avvenuto diversi anni fa con la sorella del boss di Bar Vecchia, Antonio Capriati. Il sindaco ha smentito di essere mai stato presente e oggi commenta questa nuova inchiesta dicendo di “non essere sorpreso”: “Per primo, durante le ultime elezioni, ho fatto delle denunce circostanziate, ne ho fatte tre. Due di quelle erano per persone che votavano per me, per liste legate al mio nome”.

E mentre il centrosinistra è in fiamme e il centro destra non ha ancora un candidato sindaco, la premier Meloni interviene sul caso Bari e le polemiche per l’invio della commissione del Viminale e ribadisce: “Possiamo discutere se la norma sullo scioglimento Comuni è adeguata, ma non si può chiedere che amministrazioni di sinistra siano trattate diversamente dalle altre”. “Non entro nel merito, la questione non è politica, ma questo governo – ha aggiunto – ha sciolto diversi Comuni e nessuno si è stracciato le vesti. Questa Italia in cui la sinistra ha più diritti degli altri non mi è mai piaciuta”.

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Sophie Codegoni: «Ho denunciato il mio ex compagno, ma sto vivendo un inferno»

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Sophie Codegoni, 23 anni, influencer da oltre un milione di follower e volto noto del Grande Fratello Vip, racconta per la prima volta con dolore e coraggio il suo calvario. Una storia di violenza psicologica, controllo ossessivo e minacce che l’ha portata a denunciare l’ex compagno Alessandro Basciano, oggi indagato per stalking aggravato.

Un amore nato sotto i riflettori, finito nel terrore

«Tante volte ho pensato: ma chi me l’ha fatto fare di denunciare? È tostissimo. So di aver fatto la cosa giusta, ma sto vivendo un inferno», dice Sophie tra le lacrime. La relazione con Basciano era nata nel 2021 all’interno della casa del GF Vip. Lei aveva 19 anni, lui 31. Dopo il reality, la convivenza a Roma e la nascita della figlia Celine Blue sembravano coronare una storia d’amore. Ma dietro la facciata, si nascondeva un incubo.

La denuncia e il dispositivo anti-stalker

«A dicembre 2023 ho ricevuto l’orologio anti-stalker dai carabinieri. Basta un tasto e arrivano le pattuglie», racconta. Prima, Sophie aveva persino assunto una guardia del corpo per tutelarsi. Ma il vero spartiacque è arrivato con la decisione di tornare dalla sua famiglia, dopo aver scoperto numerosi tradimenti.

Da lì, minacce continue: «Ovunque andassi, lui lo sapeva. Mi scriveva: “Put***, ti tolgo la bambina”». E quando tentava di allontanarsi, le rispondeva con messaggi in cui minacciava il suicidio. Fino all’episodio culminante: «Ha aggredito i miei amici, ha spaccato la loro macchina, poi mi ha chiamata dicendo che avrebbe ammazzato anche me». È stato allora che Sophie ha sporto una seconda denuncia.

Le misure del giudice: divieto di avvicinamento e braccialetto elettronico

Il 30 aprile 2025 la Corte di Cassazione ha confermato il divieto per Basciano di avvicinarsi a meno di 500 metri da Sophie e dalla figlia, e gli ha imposto il braccialetto elettronico. L’inchiesta è ancora in fase preliminare, ma le prove raccolte — comprese tre anni di chat fornite da Sophie — hanno mostrato, secondo la Procura, un quadro «più infernale di quanto sembrava».

La solitudine dopo la denuncia

Nonostante le misure di protezione, Sophie si dice distrutta: «Mi sento svuotata, piango sempre. Devo mostrarmi forte per mia figlia e per il mio lavoro, ma ogni parola è una ferita». Dopo la scarcerazione di Basciano nel novembre scorso, Sophie ha sentito su di sé lo sguardo del sospetto: «È stato durissimo. Ma ora ho trovato la forza di parlare».

Un messaggio alle donne

«Non ero più io, non sono più io», confessa. Il percorso è ancora lungo, ma Sophie Codegoni — con il sostegno dell’avvocata Jessica Bertolina — ha deciso di non rimanere in silenzio. Una testimonianza potente, che contribuisce a rompere il muro dell’indifferenza e dell’incredulità intorno alla violenza domestica.

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Archiviata l’inchiesta sull’aggressione a Iovino: cadono le accuse contro Fedez

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Il gip ha archiviato l’indagine sull’aggressione al personal trainer Cristiano Iovino, avvenuta nell’aprile 2024, scagionando definitivamente il rapper Fedez. Lo ha reso noto la Procura di Milano, che ha chiesto l’archiviazione per assenza di prove a sostegno dell’ipotesi di una rissa.

Nessuna prova, niente rissa

Secondo quanto stabilito dal giudice, non esistono elementi sufficienti a sostenere l’accusa, e la vicenda non può essere qualificata come una rissa, né tantomeno attribuita con certezza a responsabilità personali del cantante.

Il personal trainer Cristiano Iovino non aveva presentato querela e aveva accettato una transazione economica da 10 mila euro, chiudendo così la vicenda in sede civile.

La reazione della difesa

Soddisfatti gli avvocati di Fedez, Gabriele Minniti e Andrea Pietro-lucci, che in una nota dichiarano: «Viene finalmente esclusa ogni responsabilità del nostro assistito. È la miglior risposta al pesante processo mediatico a cui è stato sottoposto da un anno».

Con questa decisione si chiude ufficialmente un capitolo controverso che ha coinvolto il nome dell’artista per mesi, oggetto di speculazioni e attenzione mediatica, senza che vi fosse mai stata una denuncia da parte della persona coinvolta.

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Se non rispetti l’ordinanza del giudice, paghi ogni giorno: a Verona scatta la linea dura nelle cause di separazione

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Una svolta significativa nei casi di separazione e affidamento dei figli arriva da Verona, dove la sezione Famiglia del Tribunale civile ha cominciato ad applicare una misura finora poco utilizzata, prevista dalla riforma Cartabia: sanzioni pecuniarie giornaliere, anche d’ufficio, per i genitori inadempienti.

La novità introdotta dalla riforma Cartabia

La norma, contenuta nell’articolo 473-bis.39 del Codice di procedura civile, permette al giudice di disporre, anche senza richiesta della parte lesa, una somma da versare per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione di un provvedimento che riguarda il benessere dei figli, sia sul piano economico che relazionale. È uno strumento pensato per garantire l’effettività delle decisioni giudiziarie in materia familiare, contrastando inadempienze gravi.

Due i casi applicati a Verona

Nel primo caso, un padre che si rifiutava di pagare i 300 euro mensili stabiliti per il mantenimento dei figli, sostenendo di avere già sostenuto altre spese, è stato condannato a pagare 100 euro per ogni giorno di ulteriore inadempienza. La minaccia ha funzionato: dopo cinque giorni, e quindi dopo una multa complessiva di 500 euro, l’uomo ha versato quanto dovuto.

Nel secondo caso, ancora più delicato, una madre che tiene il figlio all’estero impedendo gli incontri con il padre è stata condannata a pagare 200 euro al giorno finché non rispetterà l’ordinanza di far collocare il minore anche presso il padre. A nulla sono valse finora una condanna a 3.000 euro di risarcimento e una sentenza del tribunale stranieroche le intima di rimpatriare il figlio: la donna, pur rientrando saltuariamente in Italia, continua a ignorare l’ordinanza del settembre 2024.

Un cambio di passo nei tribunali

Queste misure — spiega il giudice Massimo Vaccari, estensore di una delle ordinanze — servono a tutelare i minori e a far rispettare l’autorità giudiziaria. Non si tratta di strumenti nuovi in assoluto: già esistevano, ma erano applicabili solo su richiesta delle parti. Con la riforma, invece, il giudice può intervenire direttamente quando ravvisa danni o pregiudizi per i figli.

Il messaggio ai genitori separati è chiaro: disattendere le decisioni del giudice costa caro, giorno dopo giorno. E ora il sistema giudiziario sembra pronto a far valere davvero queste regole.

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