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Cronache

Ville e negozi del fratello di Michele Zagaria per un valore di alcuni milioni di euro sequestrati a Casapesenna dalla Direzione investigativa antimafia

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La Dia (direzione investigativa antimafia) di Napoli sta eseguendo un decreto di sequestro preventivo emesso dall’Ufficio Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Napoli su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, che riguarda due ville e un’attività commerciale ubicate in Casapesenna (CE), e riconducibili ai fratelli del noto capoclan casalese Michele Zagaria, del valore complessivo di circa tre milioni di euro.

I sequestri sono stati eseguiti tra Caserta e Cremona dal personale del Centro Operativo DIA di Napoli, coadiuvato da militari del Comando Provinciale Carabinieri di Caserta.  

La misura cautelare reale in argomento ha per oggetto beni di ingente valore commerciale (circa 3.000.000 di euro), che le indagini hanno consentito di appurare essere nella piena disponibilità di alcuni componenti della famiglia Zagaria di Casapesenna, il cui capo indiscusso è Michele Zagaria, attualmente detenuto al regime ex art. 41 bis O.P. nella casa circondariale de L’Aquila. Della famiglia ZAGARIA risultano condannati (ed attualmente detenuti) per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., anche alcuni tra i fratelli e le sorelle del citato capo clan: Beatrice, Elvira, Pasquale ed Antonio Zagaria, questi ultimi due destinatari dell’odierno provvedimento cautelare reale. 

Le attività investigative, che si sono avvalse di intercettazioni dei colloqui che i detenuti indagati  svolgevano in carcere con i familiari, di intercettazioni telefoniche ed ambientali degli indagati liberi e di minuziosi e complessi riscontri di natura bancaria e documentale, hanno consentito di accertare la riconducibilità dei beni in sequestro, sotto il profilo della diretta pertinenzialità, alle fattispecie di reato contestate agli odierni indagati, i quali presentano, altresì, un quadro reddituale di assoluta sproporzione rispetto al valore dei beni dagli stessi acquistati. 

Il provvedimento ablativo colpisce:

  • n. 1 immobile residenziale, ed annesse pertinenze (si tratta di una lussuosa villa), ubicato in Casapesenna, risultato essere nella effettiva proprietà di Antonio Zagaria e della moglie Patrizia Martino  (attualmente sottoposta alla misura cautelare del divieto di dimora nel Comune di Casapesenna nell’ambito dello stesso procedimento penale, in quanto indagata per il delitto di ricettazione). L’immobile, del valore commerciale di oltre 1.000.000 di euro al momento dell’acquisto, fu venduto dietro corrispettivo di soli euro 300.000. Risulta attualmente completamente ristrutturato e finemente arredato. 
  • n. 1 immobile residenziale, ed annesse pertinenze (si tratta di una lussuosa villa), risultato essere nella effettiva proprietà di Pasquale Zagaria e della moglie  Francesca Linetti (attualmente sottoposta alla misura cautelare del divieto di dimora nel Comune di Casapesenna nell’ambito dello stesso procedimento penale, in quanto indagata per il delitto di ricettazione). L’immobile ha un valore commerciale di oltre 1.500.000 euro ed è stato interamente costruito su di un terreno estorto da Zagaria Pasquale al precedente proprietario, il quale ricevette, contro la sua volontà, la somma di euro 60.000 per la compravendita.
  • n. 1 esercizio commerciale di vendita al dettaglio di capi d’abbigliamento, risultato essere nella effettiva proprietà di Carmine Zagaria e formalmente intestato alla  moglie PICCOLO Tiziana (attualmente sottoposta alla misura cautelare del divieto di dimora nel Comune di Casapesenna nell’ambito dello stesso procedimento penale, in quanto indagata per il delitto di ricettazione).

In relazione all’acquisto dei sopra citati beni:

  • a Antonio Zagaria, a Patrizia Martina ed a Luigi Diana, detto o’ riavul, pregiudicato e persona vicina alla famiglia ZAGARIA, è contestato il delitto di cui all’art. 512 bis (trasferimento fraudolento di valori), per aver intestato a terzi (la cui posizione è stata archiviata nel presente procedimento) l’immobile risultato essere nella loro proprietà;
  • a Pasquale Zagaria è contestato il delitto di estorsione in danno dei precedenti proprietari dell’immobile; allo stesso, a Francesca Zagaria ed a  Marcella Maccariello è contestato il delitto di cui all’art. 512 bis (trasferimento fraudolento di valori), per aver intestato fittiziamente, i coniugi Zagaria-Linetti,  l’immobile risultato essere nella loro proprietà alla citata Maccariello;
  • a  Carmine Zagaria ed a Tiziana Piccolo è contestato il delitto di cui all’art. 512 bis (trasferimento fraudolento di valori), per aver Zagaria Carmine fittiziamente intestato l’esercizio commerciale MI.NI STORE (ditta individuale)  alla coniuge Tiziana Piccolo.

A tutti gli indagati è stato notificato, inoltre, un provvedimento di avviso della conclusione delle indagini preliminari. Contestualmente sono state eseguite sei perquisizioni domiciliari nei luoghi di residenza/dimora di tutti gli indagati liberi e negli immobili ed esercizi commerciali in sequestro. Questi ultimi, infine, sono stati immessi in possesso ad un amministratore giudiziario nominato dal Tribunale di Napoli, che ne curerà la gestione in attesa della definizione del procedimento. 

Si riportano i nominativi di tutti gli indagati:

  1. DIANA Luigi, inteso o riavul;
  2. LINETTI Francesca, moglie di Pasquale ZAGARIA; 
  3. MACCARIELLO Marcella;
  4. MARTINO Patrizia, moglie di Antonio ZAGARIA;
  5. PICCOLO Tiziana, moglie di Carmine ZAGARIA;
  6. ZAGARIA Antonio;
  7. ZAGARIA Carmine;
  8. ZAGARIA Pasquale.

 

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Last Banner, aumentano le condanne per gli ultrà della Juventus

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Sugli ultrà della Juventus la giustizia mette il carico da undici. Resta confermata l’ipotesi di associazione per delinquere, l’estorsione diventa ‘consumata’ e non solo più ‘tentata’, le condanne aumentano. Il processo d’appello per il caso Last Banner si chiude, a Torino, con una sentenza che vede Dino Mocciola, leader storico dei Drughi, passare da 4 anni e 10 mesi a 8 anni di carcere; per Salvatore Ceva, Sergio Genre, Umberto Toia e Giuseppe Franzo la pena raggiunge i 4 anni e 7 mesi, 4 anni e 6 mesi, 4 anni e 3 mesi, 3 anni e 11 mesi. A Franzo viene anche revocata la condizionale.

La Corte subalpina, secondo quanto si ricava dal dispositivo, ha accettato l’impostazione del pg Chiara Maina, che aveva chiesto più severità rispetto al giudizio di primo grado. Secondo le accuse, le intemperanze da stadio e gli scioperi del tifo furono, nel corso della stagione 2018-19, gli strumenti con cui le frange più estreme della curva fecero pressione sulla Juventusper non perdere agevolazioni e privilegi in materia di biglietti. Fino a quando la società non presentò la denuncia che innescò una lunga e articolata indagine della Digos. Già la sentenza del tribunale, pronunciata nell’ottobre del 2021, era stata definita di portata storica perché non era mai successo che a un gruppo ultras venisse incollata l’etichetta di associazione per delinquere. Quella di appello si è spinta anche oltre.

Alcune settimane fa le tesi degli inquirenti avevano superato un primo vaglio della Cassazione: i supremi giudici, al termine di uno dei filoni secondari di Last Banner, avevano confermato la condanna (due mesi e 20 giorni poi ridotti in appello) inflitta a 57enne militante dei Drughi chiamato a rispondere di violenza privata: in occasione di un paio di partite casalinghe della Juve, il tifoso delimitò con il nastro adesivo le zone degli spalti che gli ultrà volevano per loro e allontanò in malo modo gli spettatori ‘ordinari’ che cercavano un posto. Oggi il commento a caldo di Luigi Chiappero, l’avvocato che insieme alla collega Maria Turco ha patrocinato la Juventus come legale di parte civile, è che “il risultato, cui si è giunti con una azione congiunta della questura e della società, è anche il frutto dell’impegno profuso per aumentare la funzionalità degli stadi”. “Senza la complessa macchina organizzativa allestita in materia di sicurezza – spiega il penalista – non si sarebbe mai potuto conoscere nei dettagli ciò che accadeva nella curva”. Fra le parti civili c’era anche Alberto Pairetto, l’uomo della Juventus incaricato di tenere i rapporti con gli ultrà.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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Nei campi 200 milioni di danni, razzia cinghiali

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Vigneti e uliveti, ma anche pascoli e prati, campi di mais e cereali, coltivazioni di girasole, ortaggi: è lunga la lista della razzia compiuta dalla fauna selvatica “incontrollata” dove i cinghiali, con una popolazione che ha raggiunto i 2,3 milioni di esemplari sul territorio nazionale, costituiscono il pericolo maggiore. La conseguenza sono 200 milioni di euro di danni solo nell’ultimo anno all’agricoltura italiana. La Puglia, con oltre 30 milioni di euro e 250mila cinghiali, e la Toscana con oltre 20 milioni di cui l’80% a causa dei 200mila cinghiali, sono le regioni che hanno pagato di più. Questa la fotografia scattata dalla Coldiretti in occasione delle 96 Assemblee organizzate in contemporanea su tutto il territorio nazionale, con la partecipazione di oltre 50mila agricoltori, per celebrare dai territori gli 80 anni dell’associazione agricola.

In particolare, secondo la mappa realizzata da Coldiretti, nel Lazio i danni stimati dai soli cinghiali (100mila esemplari) superano i 10 milioni di euro e in alcuni casi riguardano anche l’80% del raccolto. Oltre 10 milioni di euro i danni stimati in Calabria. Un fenomeno che si sta espandendo anche ad aree prima meno frequentate come quelle del Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia (20mila esemplari) e in Valle d’Aosta dove i cinghiali si sono spinti fino a quote che superano i 2mila metri. Pesante la situazione in Emilia Romagna dove solo nel Reggiano si stimano almeno 50mila esemplari; “dramma” sul fronte seminativi (specie per mais e girasole) in Umbria con una popolazione stimata di circa 150mila cinghiali. Sei milioni di euro i danni in Basilicata e 5 in Piemonte.

Qui la superficie danneggiata nel 2023 è stata di 34.432 ettari. Colpiti anche l’Abruzzo (i capi superano ampiamente le 100mila unità) con 4,5 milioni di euro di risarcimenti richiesti nel 2022, il Molise (40mila cinghiali) e la Campania (stimati danni per circa oltre 4 milioni di euro). Critica la situazione in Sardegna soprattutto a ridosso delle aree protette mentre in Sicilia non ci sono territori immuni e salgono i costi per la difesa, come i recinti elettrici. In Liguria da tempo i cinghiali si sono spinti fino alla costa e tanti i danni non solo alle colture ma anche ai tipici muretti a secco. Nelle Marche il 75% dei danni in agricoltura da fauna selvatica è causato dai cinghiali. Tra risarcimenti alle aziende agricole e da incidenti stradali la Regione spende circa 2 milioni di euro all’anno.

Risarcimenti, lamentano gli agricoltori, che arrivano spesso dopo molti anni e solo in minima parte. “Non coprono mai il valore reale del prodotto distrutto, con la conseguenza – rileva Coldiretti – che molti rinunciano a denunciare”. Cinghiali e fauna selvativa anche causa di incidenti, 170 nel 2023, ricorda l’associazione agricola, secondo l’analisi su dati Asaps, in aumento dell’8% rispetto all’anno precedente. A questo si aggiunge l’allarme della peste suina africana, non trasmissibile all’uomo, che i cinghiali, ricorda Coldiretti, rischiano di diffondere nelle campagne mettendo in pericolo gli allevamenti suinicoli e con essi un settore che, tra produzione e indotto, vale circa 20 miliardi di euro e dà lavoro a centomila persone. Da qui la richiesta dalle Assemblee Coldiretti “di mettere un freno immediato alla proliferazione dei selvatici, dando la possibilità agli agricoltori di difendere le proprie terre. Mancano, infatti, i piani regionali straordinari di contenimento”.

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