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Usa, ‘nessuno può vincere’. Ma Zelensky non arretra

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Dopo un anno di guerra l’allentamento delle ostilità appare una chimera e adesso anche gli Stati Uniti iniziano a inviare un nuovo tipo di segnale a Kiev: considerare l’ipotesi di negoziare. “Né l’Ucraina né la Russia saranno in grado di vincere”, è l’avvertimento del capo di stato maggiore Mark Milley, secondo cui è “molto difficile” che le forze di difesa “riescano a cacciare” del tutto quelle nemiche. Netta la replica di Zelensky: “Non concederemo mai territori ai russi e non ci sarà nessun negoziato con Putin”. Tanto più, ha aggiunto, che “la nuova offensiva” dello zar “è già iniziata”. Il generale Milley, in un’intervista al Financial Times, sembra dare voce all’ala più cauta dell’amministrazione Biden, preoccupata che la determinazione ucraina a non accettare compromessi territoriali porti ad un’estensione indefinita della guerra.

Così Milley, che già nei giorni scorsi aveva definito “difficile” una vittoria di Kiev entro il 2023, ha ribadito il concetto: “Sarà praticamente impossibile per i russi raggiungere i loro obiettivi ed è improbabile che la Russia riesca a conquistare l’Ucraina”. Allo stesso tempo, “è molto difficile che le forze di Kiev riescano a cacciare quelle di Putin da tutti i loro territori”, è il messaggio all’alleato. Zelensky, però, non arretra. Parlando alla Bbc, il presidente ucraino ha chiarito che non concederà territori in nessun accordo di pace, perché altrimenti “la Russia continuerebbe a tornare”. Gelo anche sull’ipotesi di negoziato, quanto meno con lo zar: “La questione non è il compromesso in sé, ma con chi. Con Putin no, perché non mi fido”, ha tagliato corto Zelensky. Convinto che la tanto temuta maxi-offensiva di primavera sia di fatto già iniziata, con attacchi russi che vengono condotti “in diverse direzioni”.

Mentre i suoi fedelissimi prevedono “un altro tentativo di attacco massiccio il 23-24 febbraio”: i giorni dell’anniversario dell’inizio dell’invasione. Ad aumentare la tensione, poi, ci ha pensato anche Alexander Lukashenko. Il presidente bielorusso, alla vigilia di un viaggio a Mosca per incontrare l’alleato Putin, ha avvertito: “Se anche un solo soldato ucraino venisse nel nostro territorio, sarei pronto a combattere insieme ai russi”. Per Zelensky la pace si potrà avvicinare soltanto se riceverà altre “armi moderne”. E su questo fronte ha ricevuto un assist dall’Eurocamera. Con il via libera a una risoluzione in cui si chiede agli Stati membri di fornire “aiuti militari finché sarà necessario” e soprattutto di “prendere in seria considerazione la fornitura di aerei da combattimento, elicotteri, sistemi missilistici e un aumento delle munizioni”. E la Gran Bretagna, che sta valutando la disponibilità per i suoi aerei, per accelerare in questa direzione ha lanciato un appello ai partner per avviare “l’addestramento di piloti ucraini all’uso di jet di standard Nato”.

Un appello congiunto del premier britannico Rishi Sunak e del presidente polacco Andrej Duda, ricevuto a Downing Street. Non a caso, i leader dei due Paesi europei più attivi negli aiuti militari a Kiev. Nella capitale ucraina, tra l’altro, è arrivato anche il leader laburista Keir Starmer, che ha visto Zelensky. E soprattutto il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen, per la prima visita di un esponente dello Stato ebraico dall’inizio del conflitto. “Israele conosce perfettamente la nostra lista di bisogni di difesa e di sicurezza, soprattutto per i cieli ucraini”, gli ha detto il collega Dmytro Kuleba. Di armi a Kiev si discuterà anche alla conferenza sulla sicurezza che si apre domani a Monaco. In Germania è atteso Wang Yi, capo della diplomazia del Partito comunista cinese, e proprio su Pechino cresce il pressing perché convinca l’alleato russo a negoziare. Le speranze in questo senso sono state alimentate da Emmanuel Macron.

Il presidente francese, dopo un faccia a faccia con il potente emissario di Xi Jinping a Parigi, ha fatto sapere che la Cina è concorde nel voler contribuire “al raggiungimento della pace”. Wang si è poi spostato Roma per incontrare Antonio Tajani e, domani, Sergio Mattarella. Il messaggio recapitato dal titolare della Farnesina durante il faccia a faccia è che “la Cina deve giocare un ruolo fondamentale per spingere verso la pace”. E “sono certo – ha aggiunto Tajani – che Pechino sia pronta a impegnarsi in tal senso”. Wang farà tappa anche a Mosca, ma proprio alla vigilia di questa missione il ministero degli Esteri di Pechino ha fatto intendere di non essere troppo propensa a convincere Putin a trattare. La Cina, è stato sottolineato, punta a lavorare con la Russia “per promuovere il continuo sviluppo del partenariato strategico globale sul coordinamento tra i due Paesi nella nuova era”. Ancora una volta, l’ambiguità del Dragone.

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Esteri

Venezuela, liberato l’italiano Oreste Alfredo Schiavo: era detenuto da quattro anni per presunto golpe

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È tornato finalmente libero Oreste Alfredo Schiavo, imprenditore italo-venezuelano di 67 anni, condannato in Venezuela a 30 anni di carcere con l’accusa di tradimento, finanziamento del terrorismo e associazione a delinquere. Una vicenda che si trascinava dal giugno 2020 e che ha trovato un esito positivo nelle scorse ore, grazie alla mediazione riservata della Comunità di Sant’Egidio, con il supporto della Farnesina e dei rappresentanti diplomatici italiani in loco.

Arrestato per l’operazione “Gedeone”

Schiavo era stato arrestato dagli agenti del Sebin, il servizio di intelligence venezuelano, l’8 giugno 2020. Il suo nome era stato collegato all’operazione “Gedeone”, un presunto tentativo di colpo di Stato ai danni del presidente Nicolás Maduro, che avrebbe previsto lo sbarco di mercenari sulle coste del Paese per prendere in ostaggio funzionari del governo. Insieme a Schiavo furono fermate circa 90 persone. In primo grado, nel maggio 2024, Schiavo era stato condannato a 30 anni di carcere, nonostante le sue gravi condizioni di salute.

L’intervento di Sant’Egidio e il viaggio verso Roma

La svolta è arrivata nella giornata di ieri, grazie a un’operazione diplomatica silenziosa, portata avanti dal docente e dirigente di Sant’Egidio Gianni La Bella, dai funzionari dell’ambasciata e del consolato d’Italia, e con il determinante contributo di Rafael La Cava, ex ambasciatore venezuelano a Roma e attuale governatore dello Stato di Carabobo.
Schiavo è stato scarcerato dal penitenziario di El Helicoide, noto per la presenza di prigionieri politici e denunciato da organizzazioni per i diritti umani per le sue condizioni carcerarie, e successivamente condotto in una clinica per accertamenti sanitari.

“Liberato per motivi umanitari”

In serata, il rilascio si è trasformato in un rimpatrio in Italia, con un volo di linea diretto a Fiumicino partito alle 17 (ora locale). Sant’Egidio ha voluto ringraziare pubblicamente il presidente Maduro, specificando che il rilascio è stato concesso “per ragioni umanitarie, con un atto di liberalità personale”.

Un gesto che apre nuove possibilità

La liberazione di Schiavo potrebbe rappresentare il primo spiraglio per sbloccare anche altre detenzioni italiane in Venezuela, come quella del cooperante Alberto Trentini, arrestato nel 2024, e di due italo-venezuelani: Juan Carlos Marrufo Capozzi, ex militare arrestato nel 2019, e Hugo Marino, investigatore aeronautico che aveva indagato su due misteriosi incidenti aerei accaduti attorno all’arcipelago di Los Roques, nei quali morirono, tra gli altri, Vittorio Missonie sua moglie.

Il carcere e le denunce di tortura

Nel carcere di El Helicoide, dove era rinchiuso Schiavo, numerosi attivisti per i diritti umani hanno documentato casi di maltrattamenti e detenzioni arbitrarie. Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani si era occupato del suo caso, definito emblematico per le gravi violazioni del diritto alla difesa e per l’assenza di prove concrete nel processo.

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Media Houthi, 2 morti e 42 feriti nell’attacco israeliano

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E’ di almeno due morti e 42 feriti l’ultimo bilancio dell’attacco israeliano lanciato oggi alla fabbrica Ajal nella provincia di Hodeida, nello Yemen. Lo riporta il canale al Masirah, affiliato agli Houthi, citato da Ynet e dall’agenzia russa Tass. E’ la prima reazione di ISraele all’attacco degli Houthi all’aeroporto Ben Gurion dei giorni scorsi.

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Perù, coprifuoco a Pataz dopo la strage dei 13 minatori rapiti

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La presidente del Perù, Dina Boluarte, ha dichiarato il coprifuoco nella distretto di Pataz, nella regione settentrionale di La Libertad dopo che ieri la polizia ha ritrovato in un tunnel i corpi dei 13 lavoratori rapiti il 26 aprile scorso da minatori di oro illegali. Lo rendono noto i principali media peruviani.

Oltre al coprifuoco a Pataz, dalle 18 di sera alle 6 del mattino, Boluarte ha annunciato anche la sospensione dell’attività mineraria per 30 giorni in tutta la provincia oltre ad accogliere la richiesta delle autorità locali di aprire una base militare a Pataz, vista l’assenza della Polizia peruviana nella regione. La decisione segue di poche ore la diffusione di un video sui social media, registrato dai sequestratori, in cui si mostra come ciascuno dei minatori sia stato giustiziato a bruciapelo. Le 13 vittime erano lavoratori assunti dall’azienda R&R, di proprietà di un minatore artigianale che svolge attività di sicurezza per la miniera Poderosa, una delle principali compagnie aurifere della provincia, sempre più sovente bersaglio di attacchi da parte di minatori illegali e gruppi criminali. (

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