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Usa-Corea-Giappone, Biden: siamo più forti uniti. L’ira di Pechino

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“Siamo uniti, siamo più forti e siamo più al sicuro”. Joe Biden accoglie a Camp David il premier giapponese Fumio Kishida e il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol per un vertice “storico”, quello che segna la nascita di un’alleanza a tre per una maggiore stabilità nell’area dell’Indo-Pacifico, dove le ambizioni della Cina rischiano di far saltare l’equilibrio. Proprio Pechino reagisce duramente al vertice che, secondo il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin, altro non è che un tentativo di mettere insieme una “cricca esclusiva”. Per la Cina infatti l’incontro di Camp David rientra negli sforzi di creare una ‘mini Nato’ asiatica, “un’alleanza impopolare che susciterà inevitabilmente vigilanza e opposizione da parte dei Paesi della regione”.

Critiche che la Casa Bianca respinge con fermezza: “Non è una Nato per il Pacifico. Il vertice non è una partnership contro nessuno. Abbiamo” decenni di “collaborazione con Corea del Sud e Giappone. Quello che è nuovo è che stiamo unendo questa collaborazione per rafforzare la stabilità dell’area”, spiega Jake Sullivan, il consigliere alla sicurezza nazionale di Biden. Pur non avendo nel mirino direttamente la Cina, l’intesa comunque un impatto lo avrà a livello geopolitico. E l’ambasciatore statunitense in Giappone, Rahm Emanuel, non lo ha nascosto. In varie interviste rilasciate alla vigilia del vertice di Camp David – che per la prima volta dal 2015 accoglie leader stranieri – ha infatti spiegato come l’accordo sia destinato a cambiare il contesto strategico perché finora l’intera strategia cinese nell’area era basata sul fatto che i due maggiori alleati degli americani non andavano d’accordo e non erano sulla stessa pagina.

Con il vertice invece i leader di Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone consolidano e istituzionalizzano i loro rapporti puntando a creare una “nuova normalità” in grado di resistere anche a eventuali scossoni nella politica americana, quale l’elezione di Donald Trump. I tre leader infatti impegnano formalmente i loro Paesi a consultarsi, a incontrarsi una volta l’anno, a rafforzare la cooperazione sul fronte della sicurezza anche con esercitazioni militari comuni e a considerare ogni minaccia a uno dei tre Paesi come una minaccia a tutti. Un impegno importante anche se non spinge ai livelli dell’Articolo 5 del trattato della Nato. Per Biden si tratta di un importante successo diplomatico alla luce delle tensioni che esistono da anni fra Seul e Tokyo e che risalgono ai tempi dell’occupazione giapponese della penisola coreana.

L’emergere della minaccia della Cina, la cui stretta alleanza con la Russia preoccupa perché potrebbe ispirare Pechino, e il sempre più imprevedibile comportamento del leader nord coreano Kim Jong-Un, hanno però spinto la Corea del Sud e il Giappone ad ammorbidire le loro posizioni, anche a costo di dover sopportare polemiche interne. Proprio da Seul era arrivato l’avvertimento che Kim potesse reagire al vertice di Camp David con un nuovo lancio di missile, ma la Casa Bianca ha cercato di stemperare non escludendo un incontro tra Biden e il leader nordcoreano senza precondizioni. Pyongyang non ha però dato segni al momento di cogliere l’apertura americana.

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Figlio del vicedirettore della Cia ucciso in Ucraina, era inquadrato nell’esercito russo

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Un 21enne americano, Michael Alexander Gloss, figlio di un’alta dirigente della Cia e di un veterano della guerra in Iraq, è stato ucciso a Donetsk lo scorso aprile mentre combatteva con l’esercito russo contro gli ucraini. Lo scrive il Washington Post, riferendo che la morte è stata resa nota da iStories, un sito web indipendente di giornalismo investigativo russo con sede all’estero. La madre è Juliane Gallina, vicedirettrice Cia per l’innovazione digitale, il padre è Larry Gloss, capo di un’azienda di tecnologie per la sicurezza fisica. Michael ha lottato per gran parte della sua vita con la malattia mentale, ha detto Gloss.

Il padre ha raccontato al giornale della capitale Usa che il figlio era un pacifista amante di Bob Dylan che voleva salvare l’ambiente, un giovane che “non avrebbe fatto male a una pulce”. Un anno fa, nell’aprile 2024, Michael Gloss è stato ucciso a Donetsk: è stato uno dei pochi americani ad aver combattuto con le forze di Mosca nella guerra contro l’Ucraina. Insolito per il figlio di un alto funzionario della Cia e di un veterano della guerra in Iraq, cresciuto in una confortevole periferia di Washington. “Se aveste conosciuto nostro figlio, era il giovane anti-establishment e anti-autorità per eccellenza fin dal momento in cui è venuto al mondo”, ha assicurato al Wp il padre, secondo cui intorno ai 17 anni Michael ha iniziato a ribellarsi ai “valori condivisi” dei suoi genitori, professionisti della sicurezza nazionale.

È stato con “incredulità e devastazione” che il padre e la madre hanno ricevuto la tragica notizia lo scorso giugno, consegnata personalmente da un funzionario del dipartimento di Stato per gli affari consolari. Fino a quel momento non avevano avuto la minima idea che si trovasse in Ucraina, tanto meno che stesse combattendo con l’esercito russo. “Per noi è stata una novità assoluta che fosse coinvolto in relazioni militari con la Russia”, ha dichiarato il padre. Michael è morto il 4 aprile 2024 per “enorme perdita di sangue” in un bombardamento di artiglieria, ha spiegato, citando il certificato di morte russo. “È morto correndo in aiuto di un compagno ferito, cercando di proteggerlo. Questo era il classico Michael”.

L’agenzia di Langley ha rilasciato una breve dichiarazione oggi. “La Cia considera la scomparsa di Michael una questione privata e familiare, non una questione di sicurezza nazionale. L’intera famiglia della Cia è addolorata per la loro perdita”. Sebbene la famiglia abbia celebrato il funerale di Michael a dicembre, la sua morte in Ucraina durante un combattimento con l’esercito russo non è stata resa pubblica fino a venerdì, in un articolo pubblicato su iStories.

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Si è suicidata Virginia Giuffre, aveva accusato di abusi sessuali Jeffrey Epstein e il principe Andrea

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Si è suicidata Virginia Giuffre (nella foto col suo avvocato), che aveva accusato di abusi sessuali Jeffrey Epstein e il principe Andrea. Lo rende noto la famiglia della donna. La 41enne americana si è tolta la vita nella sua casa in Australia. “Si è suicidata nella sua fattoria dopo essere stata vittima per tutta la vita di abusi e traffico sessuali”, hanno dichiarato i parenti. La Giuffre aveva accusato il defunto miliardario statunitense caduto in disgrazia Epstein di averla usata come schiava sessuale.

Il principe britannico Andrea da parte sua ha ripetutamente negato le accuse di averla abusata quando aveva 17 anni ed è riuscito a evitare il processo pagando un risarcimento multimilionario. “Alla fine il peso degli abusi è così pesante che per Virginia è diventato insopportabile gestirlo”, ha aggiunto la famiglia della donna ricordandone “l’incredibile coraggio e il suo spirito amorevole”. Giuffre lascia tre figli: Christian, Noah ed Emily. Il suo avvocato Sigrid McCawley ha affermato che Giuffre era stata una “cara amica” e una paladina per le altre vittime: “Il suo coraggio mi ha spinto a lottare con più forza, e la sua forza era impressionante”.

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Trump: la Crimea resterà alla Russia, Zelensky lo sa

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Donald Trump torna a parlare della guerra in Ucraina e lo fa con dichiarazioni destinate a far discutere. In un’intervista rilasciata a Time, il presidente degli Stati Uniti ha affermato che “la Crimea resterà con la Russia”, aggiungendo che anche il presidente ucraino Zelensky ne sarebbe consapevole.

“La Crimea è andata ai russi, fu colpa di Obama”

«La Crimea è stata consegnata alla Russia da Barack Hussein Obama, non da me», ha ribadito Trump, sottolineando come la penisola fosse “con i russi” ben prima del suo arrivo alla Casa Bianca. «Lì ci sono sempre stati i russi, ci sono stati i loro sottomarini per molti anni, la popolazione parla in gran parte russo», ha aggiunto. Secondo l’ex presidente, se lui fosse stato alla guida del Paese, “la Crimea non sarebbe mai stata presa”.

“Questa guerra non doveva accadere”

Trump ha definito il conflitto in Ucraina “la guerra che non sarebbe mai dovuta accadere”, lanciando un messaggio implicito al presidente Joe Biden e alla gestione democratica della politica estera. A suo avviso, con lui alla presidenza, la situazione in Ucraina si sarebbe sviluppata in modo del tutto diverso, senza l’invasione da parte delle truppe russe.

Le dichiarazioni si inseriscono in un contesto internazionale già molto teso, mentre si continua a discutere del futuro della Crimea e dei territori occupati.

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