Lavoro o famiglia. Quando conciliare è difficile e la scelta diventa una rinuncia, in un senso o nell’altro. E così la sfera professionale e genitoriale restano ancora ambiti contrapposti. Succede ad un quinto delle donne, che lasciano il lavoro alla nascita del figlio. “Una discriminazione inaccettabile”, denuncia la segretaria generale della Cisl, Daniela Fumarola, in occasione del convegno organizzato per l’8 marzo “Donne, lavoro, futuro”, a cui partecipa anche la ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Marina Calderone, che rimarca l’impegno affinché “una donna non sia costretta a scegliere”.
Conciliazione tra vita familiare e lavorativa è dunque la parola d’ordine, ma rimane “ancora insufficiente”: perché la “child penality”, ovvero “la penalizzazione che le donne subiscono alla nascita di un figlio, non è possibile che da noi abbia un peso così grande e negativo – ammonisce Fumarola -. Una cosa totalmente assente per gli uomini”. Così i divari restano. La fotografia del rapporto Cnel-Istat “Il lavoro delle donne tra ostacoli e opportunità” conferma che maternità e famiglia pesano sull’occupazione femminile, che spesso vira sul part time. E che al Sud il gap è più ampio.
Se il tasso di occupazione delle donne single è del 69,3% (contro il 77% degli uomini), quello delle madri scende al 57,2%, portando in questo caso lo scarto con gli uomini a sfiorare i 30 punti percentuali. Nel complesso, le donne con un lavoro in Italia sono circa 10 milioni, gli uomini 14 milioni. Il tasso di occupazione si attesta al 52,5% per la componente femminile e al 70,4% per quella maschile. Ma a livello territoriale le disparità sono rilevanti, ancor più in presenza di figli: se nelle regioni del Nord e del Centro il tasso di occupazione delle madri supera o sfiora il 70%, nel Mezzogiorno si attesta poco sopra il 40%. E nelle regioni del Sud quando i figli minori sono più di uno la quota di occupate tra le madri si ferma al 42%.
Se poi sono giovani madri (25-34 anni) con al massimo la licenza media, il tasso di occupazione non raggiunge il 30%. In diversi casi si affaccia il part time, anche involontario. Circa 3 milioni di donne (il 31,5% delle occupate) lavora a tempo parziale, contro l’8,1% degli uomini, poco più di un milione. Tra le donne con figli sono soprattutto le 25-34enni a ricorrere al part time: tra loro arriva al 41%. Le madri sole sono quasi 1 milione e rappresentano il segmento con più elementi di vulnerabilità sul mercato del lavoro. E ci sono poi le donne inattive: oltre 7,8 milioni che non cercano un’occupazione e più di un terzo non lo fa proprio per motivi familiari.
Il nodo è nei servizi, con quelli per la prima infanzia scarsamente diffusi, specie nel Mezzogiorno. Mentre la domanda da parte delle famiglie per la frequenza dell’asilo nido, sulla base dei dati relativi all’anno educativo 2022-23, risulta in aumento più dell’espansione dell’offerta. Di conseguenza, aumentano le lista d’attesa: dal 49,1% dei servizi nel 2021-22 si passa al 56,3%. I nidi con bambini in lista d’attesa sono molto più frequenti nel settore pubblico (67,6%), ma si registra un esubero delle domande anche nei servizi privati (49,4%).