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Economia

Un anno fa il decollo di Ita, ora si attende la vendita

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 Esattamente un anno fa partiva l’avventura nei cieli di Ita Airways col suo primo volo, l’AZ 1637 Milano Linate-Bari, decollato all’alba dal capoluogo lombardo. Prendeva il posto della vecchia Alitalia, che aveva spento per sempre i motori il giorno prima, con un nuovo brand e una nuova livrea tutta azzurra, colore simbolo dell’Italia. Dodici mesi vissuti però pericolosamente tra turbolenze, richiami alla sobrietà, conti in rosso, trattative di vendita e un braccio di ferro culminato in settimana nella mossa del cda di strappare tutte le deleghe operative al presidente, Alfredo Altavilla, e trasferirle all’amministratore delegato, Fabio Lazzerini. Una decisione ritenuta legittima ed immediatamente operativa dal Tesoro, azionista unico della compagnia, ma che secondo il collegio sindacale di Ita deve essere presa attraverso una delibera in un nuovo cda. Oppure, sempre secondo il collegio sindacale, servirà aspettare l’assemblea dei soci (Mef) dell’8 novembre per discutere dell’argomento. Una guerra di pareri legali, dunque, che va avanti mentre lo stesso Mef tratta col fondo Usa Certares la vendita del 50% più un’azione di Ita. La newco decolla con una flotta di 52 aerei, mentre oggi ne conta 69 con l’arrivo del nuovo Airbus A220-300, una forza lavoro di 2.800 dipendenti, saliti poi a 3.600, e con un finanziamento statale di 1,35 miliardi, autorizzato dall’Ue, suddiviso in tre tranche: 700 milioni per il 2021, 400 per il 2022 e 250 per il 2023. “Ita Airways nasce right sized, cioè dimensionata nel modo ottimale, sia in termini di flotta che di destinazione, perché non ci portiamo dietro l’eredità negativa di dimensioni troppo grandi che poi si scontrano con la sostenibilità economica, che deve essere assolutamente il primo obiettivo da perseguire in questo tentativo”, afferma Altavilla durante la conferenza stampa inaugurale, sottolineando anche che il futuro di Ita “è all’interno di uno dei grandi network di settore”. Da qui la ricerca di un partner internazionale che si materializza in una gara tra la cordata Msc-Lufthansa e Certares, in partnership commerciale con Delta e Air France-Klm. Dopo mesi in cui sembrava che il tandem Msc-Lufthansa fosse ampiamente in vantaggio, all’ultima curva arriva il sorpasso di Certares. Il 31 agosto, infatti, il Mef annuncia che andrà in trattativa “esclusiva” col fondo Usa in quanto la sua offerta è stata ritenuta “maggiormente rispondente agli obiettivi fissati.” Per quanto riguarda la sostenibilità economica, le cose non sono andate proprio secondo i piani, anche a causa della crisi pandemica e della guerra in Ucraina. Per il solo periodo 15 ottobre – 31 dicembre 2021 Ita mette in bilancio un rosso di 149 milioni di euro, poi chiude i primi sei mesi di quest’anno con una perdita di 272 milioni di euro di cui 94 milioni per effetto dell’aumento del carburante. E’ atteso quindi l’aumento di capitale da 400 milioni da parte del Mef. Nel primo anno di vita i passeggeri trasportati sono stati nove milioni.

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Il clima affonda la produzione di vino in Italia (-23%)

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Piogge frequenti e malattie delle viti fanno crollare la produzione di vino in Italia. Tra agosto 2023 e luglio 2024 l’Unione europea vedrà un calo della produzione annua di vino del 10% (stimata in circa 143 milioni di ettolitri, il dato più basso dal 2017-18) a causa “delle condizioni meteorologiche avverse”: un dato trainato da una “diminuzione significativa” osservata tanto in Italia (-23%) quanto in Spagna (-21%) nei dodici mesi. A rilevarlo è l’ultimo rapporto sulle prospettive a breve termine per i mercati agricoli dell’Ue pubblicato dalla Commissione europea. Intanto oggi è stato presentato alle associazioni di settore il nuovo avviso Ocm vino ‘Promozione sui mercati dei paesi terzi’.

Il ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, mette a disposizione degli operatori 22 milioni di euro a cui vanno aggiunti 71 milioni di euro per bandi regionali e multiregionali per un investimento complessivo che supera i 90 milioni di euro. “L’avevamo detto e l’abbiamo fatto anche prima del previsto”, ha segnalato il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. “Ci stiamo muovendo per una più grande valorizzazione dell’export del vino”. Da subito per il Governo “è stata una priorità”, ha sottolineato. Il rapporto della Commissione Ue sulla produzione attesa a luglio 2024 sottolinea che il settore continua a essere influenzato da numerosi eventi “fuori dal controllo” degli agricoltori, come le crisi climatiche e geopolitiche, che esercitano pressioni in termini di prezzi, domanda e reddito.

Il “calo senza precedenti” che si osserverà in Italia, spiega l’Ue, è “determinato da frequenti piogge nelle regioni dell’Italia centrale e meridionale, e le conseguenti malattie fungine delle viti”. Visto il crollo della produzione in Spagna e Italia, la Francia tornerà a essere il primo produttore di vino in Ue. Non solo produzione, Bruxelles stima che a diminuire sarà anche il consumo (-1,5%) fino a 96 milioni di ettolitri, in particolare dei vini rossi, dovuto anche al fatto che più giovani preferiscono altri alcolici, soprattutto birre e cocktail. Considerata “l’imprevedibilità degli eventi meteorologici estremi e dei bruschi cambiamenti osservati nell’ultimo anno”, il rapporto mette in guardia sulla necessità di trattare “con cautela” i segnali attuali. Nel 2023-2024 a crollare saranno inoltre i volumi delle esportazioni di circa l’11%, a 28 milioni di ettolitri. Non solo sul vino, le condizioni meteorologiche avverse peseranno anche sulla produzione europea di mele e arance, le esportazioni delle quali diminuiranno drasticamente. Quanto alla produzione di olio d’oliva, la Commissione stima “una leggera ripresa” tra ottobre 2023 e settembre 2024 dopo un raccolto record lo scorso anno. Quanto ai cereali, si prevede che nel 2024/25 la produzione aumenterà fino a circa 278,5 milioni di tonnellate (+ 3% su base annua), principalmente grazie a rese migliori. Le importazioni tra luglio 2023 e giugno 2024 potrebbero rimanere superiori del 17% rispetto alla media quinquennale.

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Ponte sullo Stretto, dubbi su altezza, ‘ok grandi navi’

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È ormai l’opera più discussa e chiacchierata nella storia d’Italia: il Ponte sullo Stretto di Messina. A esprimere nuovamente le proprie perplessità sul Ponte, rilanciato dal vicepremier e ministro dei Trasporti e delle infrastrutture Matteo Salvini, è Federlogistica, secondo cui sarebbe troppo basso per le grandi navi. L’amministratore delegato della Stretto di Messina, Pietro Ciucci, invece rassicura che navi da crociera e portacontainers non avranno problemi a transitare nello Stretto una volta costruito il Ponte. In una intervista il presidente di Federlogistica, Luigi Merlo, ribadisce che un’altezza massima di 65 metri sul livello del mare “impedirebbe” il transito di alcune grandi navi, “alte più di 68 metri”, ed inoltre essendo il Ponte a campata unica, i 65 metri di altezza verrebbero raggiunti solo nella parte più alta, mentre verso le due sponde, il cosiddetto franco navigabile, si ridurrebbe, spiega.

Dal canto suo Ciucci sottolinea che il franco navigabile del ponte sullo Stretto “è di 72 metri per una larghezza di 600 metri e si riduce a 65 metri, solo in presenza di condizioni eccezionali di traffico pesante stradale e ferroviario” e che “questi parametri sono in linea con i ponti esistenti sulle grandi vie di navigazione internazionali, in coerenza con le procedure stabilite dalle norme Imo (International Maritime Organization)”. L’a.d della Stretto di Messina aggiunge poi che la commissione tecnica istituita al Mit ha già effettuato “un esame approfondito del traffico” degli ultimi anni nello Stretto, suddiviso per le diverse imbarcazioni, “dal quale non emergono criticità legate al Ponte”. E sempre Ciucci fa notare che la quasi totalità delle navi portacontainer solca il Mediterraneo dopo avere attraversato il Canale di Suez e, quindi, dopo essere transitate al di sotto dell’Al Salam Bridge, il cui franco navigabile “è inferiore ai 72 metri” che saranno disponibili sullo Stretto di Messina.

E a rassicurare sul Ponte interviene anche Marco Lombardi, amministratore delegato di Proger Spa, società coinvolta nella progettazione dell’opera. “Il Ponte sullo Stretto regge benissimo, è un’opera sicura, innovativa e il via libera arriverà presto”, afferma. Le opposizioni però non si lasciano convincere. “E’ un ponte costosissimo, inutile e fatto male”, scandisce la deputata del Pd e presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo, Laura Boldrini, accusando il governo di arrivare a concepire una spesa di 15 miliardi di soldi pubblici “per una follia simile”.

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Polemica su sgravi al Sud, il governo lavora al rinnovo

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Scoppia la polemica sullo stop agli sgravi contributivi per le imprese del Mezzogiorno, una misura introdotta dal governo Conte II nel 2021, autorizzata dalla Ue in quanto aiuto di Stato straordinario in tempi di Covid, prorogata diverse volte ed ora arrivata al capolinea del 30 giugno, quando si tornerà al vecchio regime Ue sugli aiuti di Stato. L’opposizione accusa il governo di mandare a morire la misura che sta sostenendo le imprese al Sud ma il ministro degli Affari europei, Sud, Politiche di Coesione e Pnrr, Raffaele Fitto, respinge al mittente le ricostruzioni “false e pretestuose” e assicura che il governo negozierà con la Ue “nuove modalità possibili di applicazione della misura”.

‘Decontribuzione Sud’ aveva fin dall’inizio una scadenza naturale, essendo figlia dell’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato varato dalla Commissione europea durante la pandemia per sostenere le imprese. Con il ritorno alle normali regole europee, il prossimo 30 giugno, verranno meno tutti gli aiuti straordinari che i governi misero in campo negli anni del Covid. Ma per l’opposizione non ci sono motivazioni che tengano e il governo dovrebbe fare di tutto per non lasciar scadere l’aiuto alle imprese del meridione. “Questo governo sta schiaffeggiando il Sud”, attacca il presidente del M5s Giuseppe Conte, spiegando come gli aiuti hanno consentito assunzioni tra il 2021 e il 2023, in aree svantaggiate, di circa 3,7 milioni di persone. Anche il Pd insorge contro “l’ennesimo taglio” che avrà “effetti devastanti”, perché “sono a rischio tre milioni di contratti. In allarme anche i sindacati, che hanno avuto la notizia dello stop proprio da Fitto.

“Non confermare il taglio del costo del lavoro per oltre tre milioni di lavoratori dipendenti, aggiunge ulteriori rischi sul fronte occupazionale per quelle regioni”, ha detto il segretario confederale della Uil, Santo Biondo. Ma l’esecutivo si difende e rivendica non solo l’attenzione per il Sud ma anche per la vecchia misura del governo Conte II, di cui il governo Meloni ha chiesto due rinnovi, ottenendo anche un aumento dei massimali. Fitto spiega che il governo aveva già chiesto alla Ue “la massima estensione temporale compatibile con la scadenza del Quadro temporaneo” sugli aiuti di Stato, una tagliola da cui però non è più possibile scappare. Per questo ora “il governo avvierà un negoziato con la Commissione europea per verificare nuove modalità possibili di applicazione della misura, in coerenza con la disciplina europea ed al di fuori delle misure straordinarie del temporary framework sugli aiuti di Stato”. Il ministro ribadisce poi che l’impegno “per tutelare gli interessi del Sud e per garantirne lo sviluppo”. E ricorda che il decreto Coesione, che il governo ha ribattezzato decreto Primo maggio, prevede proprio una serie di misure per il lavoro tra cui diversi bonus che incentivano le assunzioni di donne, giovani e disoccupati soprattutto al Sud, attraverso sgravi contributivi del 100% per due anni. Stando alla nuova bozza del decreto, però, partiranno non più da luglio come annunciato nella prima versione ma scatteranno sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato dal primo settembre 2024 al 31 dicembre 2025.

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