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Economia

Turismo a primavera, timori per buco di oltre 50 mila lavoratori

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E’ ancora allarme per i lavoratori del mondo del turismo. Dopo la marcata ripresa del 2022, anche per l’anno in corso si prevede un aumento dei flussi di turisti, dall’Italia e dall’estero ma la crescita del settore, però, si scontra sempre di più con le difficoltà di reperimento del personale: per la Pasqua ed i mesi primaverili dei Ponti- periodi di picco della domanda – è possibile stimare oltre 50 mila lavoratori ‘mancanti’ nelle imprese turistiche. A lanciare l’allarme è Assoturismo Confesercenti, sulla base di elaborazioni sul mercato del lavoro condotte da Cst, a cui ha risposto immediatamente la ministra del turismo Daniela Santanchè.

“Nelle prossime settimane – dice la titolare del dicastero – sarò ben felice di ascoltare le associazioni di categoria per affrontare questa annosa questione. Lavoreremo insieme al ministro del lavoro Calderone per affrontarla e trovare soluzioni adeguate. Al tempo stesso dobbiamo rivolgerci alle nuove generazioni raccontando loro quanto sia stimolante lavorare in un comparto così variegato e trasversale. E su questo, oltre a mettere in campo attività legate alla formazione, faremo una specifica campagna di comunicazione” . Nel 2022 i pernottamenti nelle strutture ricettive italiane hanno raggiunto quota 400 milioni e la tendenza appare favorevole anche per il 2023 sia sul fronte del turismo interno che da oltre confine. Una situazione paradossale: da un lato si prospetta un aumento del volume della produzione e dei posti di lavoro creati, dall’altro le imprese del settore continuano a registrare carenza di addetti. La difficoltà nella ricerca del personale ha assunto anzi un contorno ormai strutturale, che si manifesta regolarmente già dagli anni pre-pandemia, ma che sta diventando sempre più grave con la ripartenza del comparto.

“La questione della mancanza di personale nel turismo – commenta Vittorio Messina, presidente di Assoturismo Confesercenti – ha ormai raggiunto le dimensioni di una vera e propria emergenza. Così è impossibile gestire i picchi di attività, in particolare in alcune aree come la riviera romagnola. Ma problemi si riscontrano anche in Sicilia e in Sardegna. Nelle prossime settimane presenteremo specifiche proposte normative al ministro del Turismo Daniela Santanchè e al ministro del lavoro Marina Elvira Calderone”. Per il trimestre febbraio-aprile, vale a dire il periodo di riapertura delle imprese stagionali e della ripresa dei flussi turistici in Italia, si prevede un fabbisogno di circa 210 mila addetti nelle imprese turistiche. Ma i lavoratori non si trovano: complessivamente, in media le imprese segnalano difficoltà di reperimento delle figure professionali nel 34% dei casi, non solo per preparazione inadeguata ma, sempre più spesso, per mancanza di candidati.

Una percentuale che sale addirittura al 52% nella ristorazione, mentre scende al 26,7% nelle altre imprese del turismo. I profili necessari sono per il 2,6% di professioni con elevata specializzazione, l’81,5% professioni qualificate, l’1,3% di addetti specializzati e il 14,6% di professioni non qualificate. Ma sono proprio queste ultime figure quelle di più difficile reperimento, in particolare facchini, camerieri semplici, lavapiatti e addetti alle pulizie. Per un cameriere semplice si parte da 1560 euro lordi al mese, per capo cuoco o capo barista si parte sopra i 1.740 euro mensili, lo stesso per un primo portiere. La mancanza di personale porterà nei prossimi mesi le imprese a misurarsi con una situazione complessa e imprevedibile dal punto di vista organizzativo dei processi produttivi, senza trascurare che le destinazioni competitors dell’Italia sono già pronte a migliorare i volumi degli arrivi turistici del 2022. In particolare, per le imprese che non riusciranno a reperire tutti gli addetti necessari è possibile stimare una perdita media di fatturato nel periodo del -5,3%, con conseguente abbassamento degli standard qualitativi e impatti sulla produttività.

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Generali, vince la lista Mediobanca: Donnet e Sironi confermati alla guida

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Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet (foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.

Affluenza e composizione del voto

L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.

Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022

La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.

Il nuovo consiglio d’amministrazione

Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.

Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti

A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.

Donnet: «Ha vinto Generali»

«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.

 

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Google oltre le attese con cloud, sale a Wall Street

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Alphabet archivia il primo trimestre sopra le attese degli analisti e avanza a Wall Street dove, nelle contrattazioni after hours, arriva a guadagnare oltre il 5%. L’utile netto è balzato del 46% a 34,5 miliardi di dollari rispetto ai 23,7 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno. I ricavi sono saliti del 12% a 90,23 miliardi.

A spingere le attività core di ricerca e pubblicità di Google, i cui ricavi sono saliti del 10% a 50,7 miliardi, sopra le previsioni del mercato che scommetteva su un aumento più contento dell’8%. La divisione di cloud computing ha sperimentato un aumento dei ricavi del 28% a 12,3 miliardi, confermando la sostenuta domanda per i suoi data center e i servizi di network per il boom dell’IA. “La ricerca ha proseguito una crescita forte”, ha detto l’amministratore delegato Sundar Pichai, mettendo in evidenza la “rapida” crescita del cloud.

Le spese di capitale nei primi tre mesi sono balzate a 17,2 miliardi, leggermente sopra le previsioni di 17,1 miliardi. I risultati trimestrali sono stati accompagnati dall’annuncio di un piano di buyback da 70 miliardi di dollari e un aumento del dividendo trimestrale del 5% a 21 centesimi per azione. Google è il secondo colosso di Big Tech ad annunciare la trimestrale da quando è iniziata la guerra commerciale avviata da Donald Trump. Tesla nei giorni scorsi ha messo in guardia sull’impatto dei dazi sulle sue attività di batterie, che dipendono dai componenti dalla Cina.

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Banco Bpm boccia ancora l’Ops di Unicredit, ‘inadeguata’

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Ovviamente è ancora un no. E motivato con nuovi argomenti. Banco Bpm boccia una volta di più l’Offerta pubblica di scambio volontaria annunciata da Unicredit e lo fa citando anche “modalità di implementazione” della normativa sulla Golden Power che “da parte di Unicredit non risultano chiare”. Strategia ovviamente, ma intanto l’amministratore delegato di Banco Bpm consiglia chiaramente agli azionisti di non aderire all’Ops. I nuovi passaggi dello scontro sono contenuti nell’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio di amministrazione di Banco Bpm del ‘comunicato dell’emittente’ sull’offerta promossa dal gruppo guidato da Andrea Orcel.

Il Cda “a seguito di un’attenta valutazione dei termini e delle condizioni descritti nel documento di offerta pubblicato da Unicredit il 2 aprile scorso e delle altre informazioni disponibili ha ritenuto l’Ops non conveniente e il corrispettivo non congruo”, afferma Banco Bpm in un comunicato. “L’offerta è completamente inadeguata e quindi noi consigliamo ai nostri azionisti di non aderire”, ribadisce l’amministratore delegato Giuseppe Castagna nella conference call con gli analisti finanziari, aggiungendo che tra le altre cose “loro sono molto più esposti alla volatilità dei mercati”. Nella nota dopo la riunione del Cda, la banca sostiene anche che il valore generato dall’acquisizione di Anima “potrebbe diluirsi all’interno di Unicredit” e che dove “a seguito dell’acquisizione dell’emittente e fermo restando quanto previsto dal provvedimento Golden Power le cui modalità di implementazione da parte di Unicredit non risultano chiare, un’eventuale riduzione delle attività di rischio ponderate dovesse interessare anche la clientela di Banco Bpm, sussisterebbero significative incertezze circa la capacità di confermare gli obiettivi di crescita e di generazione di valore su basi stand-alone”.

La strategia perseguita da Banco Bpm “incentrata sulla generazione di valore per l’azionista attraverso la piena valorizzazione delle opportunità di sviluppo del business presso la clientela di riferimento, con specifico riguardo alle famiglie e alle Pmi, appare diversa da quella implementata da Unicredit”, spiega inoltre la banca guidata da Castagna. Che ricorda come “dopo aver perfezionato un aumento di capitale da 13 miliardi nel 2017 e aver ceduto nel periodo 2017-2019 una parte dei propri asset (tra cui Pioneer Investments, FinecoBank e Bank Pekao), Unicredit ha promosso negli ultimi anni una strategia che ha comportato una riduzione delle attività ponderate per il rischio che tra il 2020 e il 2024 sono passate da 326 miliardi a 277 miliardi”. Per l’Italia “tale orientamento si è tradotto in una riduzione delle attività di rischio ponderate da 131 miliardi a 101 miliardi negli anni dal 2020 al 2024 a cui appare riconducibile una riduzione dei volumi di impieghi da 168 miliardi a 145 miliardi nello stesso periodo”, aggiunge Banco Bpm. ll consiglio di amministrazione “riconosce che l’offerta di Unicredit sottovaluta la nostra banca”, spiega da parte sua il presidente di Banco Bpm, Massimo Tononi, secondo il quale “l’offerta è inadeguata dal punto di vista finanziario e non è giusta per i nostri azionisti”. Il Cda di Banco Bpm ha infatti deciso “che il corrispettivo non è congruo da un punto di vista finanziario. Tale conclusione è supportata, tra i vari fattori considerati, dalle rispettive analisi finanziarie condotte da Citi e Lazard, in qualità di advisor finanziari, e dalle rispettive opinion”, spiega l’istituto di piazza Meda, evidenziando in particolare il “mancato riconoscimento di un premio” per l’eventuale controllo di Banco Bpm.

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