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Salute

Tumori: 40 vaccini anti-cancro a mRNA in sperimentazione

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L’immunoterapia, quella strategia che sfrutta il sistema immunitario per combattere il cancro, potrebbe presto arricchirsi di una nuova arma: i vaccini anti-cancro a mRNA. In fase di sperimentazione ci sono infatti più di 40 vaccini che sfruttano la stessa tecnologia impiegata contro Covid. Uno di essi, il prossimo anno potrebbe entrare nella fase III di sperimentazione, l’ultima prima dell’immissione in commercio. Quello dei vaccini anti-cancro è uno dei temi affrontati nel corso dell’International Cancer Immunotherapy Conference (CICON23), iniziata oggi a Milano.

“Per i vaccini anti-cancro si utilizzano mRNA sintetici progettati per ‘istruire’ il sistema immunitario a riconoscere una proteina chiamata ‘neoantigene’, espressione di una mutazione genetica avvenuta nella cellula malata”, spiega Pier Francesco Ferrucci, direttore dell’Unità di Bioterapia dei Tumori presso l’istituto Europeo di Oncologia. “Si tratta di una specie di ‘impronta digitale’ presente nelle cellule tumorali di quel paziente. I vaccini antitumorali a mRNA personalizzati sono quindi progettati su misura con lo scopo di innescare il sistema immunitario ad uccidere selettivamente ed esclusivamente le cellule tumorali in quel paziente e nei pazienti in cui i tumori esprimono la stessa mutazione”.

Tra i vaccini a mRNA con risultati più promettenti, al momento, c’è quello di Moderna contro il melanoma, che ha già dato buona prova di efficacia in combinazione con l’immunoterapia tradizionale. Allo studio anche vaccini contro il cancro del colon retto e del pancreas. “L’era dei vaccini a mRNA nella lotta al cancro è solo agli inizi, ma è importante ricordare che la vaccinazione a mRNA non è l’unica strada promettente nel settore dell’immunoncologia che si avvale anche di diverse altre strategie in fase di studio”, ha concluso Ferrucci.

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Salute

Vaccinazioni Covid a rilento, si temono 15mila morti

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Il Covid rialza la testa facendo segnare nell’ultima settimana un aumento dei ricoveri del 25% ma la nuova campagna vaccinale procede ancora a rilento: in tutto ad oggi sono un milione le persone immunizzate contro il virus. Tra gli over 70 solo il 7% si è vaccinato e tra i malati fragili, le percentuali risultano ancora ancora più basse. Al punto che la Federazione degli oncologi, cardiologi ed ematologi teme 15mila morti. Intanto proprio per fare il punto sulla scarsa adesione ai vaccini è stata convocata per domani la cabina di regia straordinaria al ministero della Salute. Il direttore generale della prevenzione, Francesco Vaia, ha deciso di avviare un confronto per capire le ragioni dell’andamento troppo contenuto delle vaccinazioni, non solo per quelle contro il Covid, e valutare le possibili misure per superare i problemi come l’ipotesi di organizzare Open day nazionali, un’idea rilanciata più volte da Vaia nei giorni scorsi. Nell’occasione verrà anche valutato il quadro delle immunizzazioni contro l’influenza.

In varie Regioni, come Lazio, Toscana e Veneto, la campagna vaccinale è già aperta a tutte le persone maggiorenni. Si tratta di un’evoluzione, poiché, quando è partita lo scorso ottobre aveva inizialmente dato priorità a fragili e anziani. Nel frattempo i dati preoccupano gli esperti e il presidente della Foce, Francesco Cognetti lancia l’allarme: “Questa settimana la mortalità per Covid è ulteriormente aumentata del 24% rispetto alla settimana precedente con una proiezione su base annua di più di 15mila morti, destinata purtroppo ad un progressivo sensibile aumento”.

“Nonostante vi siano ben 7 milioni e mezzo di dosi già disponibili da circa due mesi e molte altre in arrivo, in tutto il Paese le vaccinazioni sono state solo circa un milione, con le Regioni del Sud e il Lazio che fanno registrare numeri molto bassi”, aggiunge. Per Cognetti le cause di “questi risultati fallimentari” sono “la completa assenza di qualsiasi programmazione e organizzazione, da parte del sistema di prevenzione del nostro Paese, di una vera e propria campagna di vaccinazione rivolta a diverse decine di milioni di cittadini italiani e la completa assenza di una campagna informativa su questa vaccinazione di massa”. Il presidente Foce punta inoltre il dito contro “la diffusione, purtroppo anche da parte di alcune autorità sanitarie del Paese, di messaggi confusi e spesso contraddittori sulle dimensioni del contagio e sulla sua letalità, quindi con l’effetto di demotivare e scoraggiare ulteriormente una popolazione già parzialmente restia”.

Per gli esperti Foce è necessario che “tutte le autorità sanitarie del Paese, governative e regionali” imprimano “una rapida e decisa svolta alla campagna vaccinale con un concreto rafforzamento strutturale e organizzativo, accompagnato da un vero e proprio sistema di diffusione capillare dell’informazione sulla sua enorme utilità”. Quanto alle ospedalizzazioni la fotografia della situazione arriva dall’ultima rilevazione dalla Fiaso. I ricoveri salgono ancora: in una settimana il numero dei pazienti è salito del 25,3%, per la stragrande maggioranza si tratta di ricoverati nei reparti Covid ordinari e solo il 3% del totale degli ospedalizzati è in terapia intensiva. Dai dati emerge che 1 su 4 (il 26%) è ricoverato per Covid ovvero con sindromi respiratorie e polmonari mentre il 74% è ricoverato con Covid cioè in ospedale per curare altre malattie ma trovato positivo.

Per il presidente della Fiaso, Giovanni Migliore “i numeri confermano il trend in crescita. Assistiamo a una maggiore circolazione del virus che impatta, seppur in minima parte, sugli ospedali incrementando i ricoveri”. L’età media dei pazienti, spiega ancora, rimane elevata, pari a 76 anni e “questo evidenzia come il Covid in questa fase sia pericoloso soprattutto per anziani affetti da altre patologie che il virus contribuisce ad aggravare. Di contro, la campagna vaccinale registra ancora una adesione molto bassa: a essersi vaccinati poco più di un milione di persone”, conclude Migliore.

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Salute

Sciopero dei medici, a rischio 1,5 milioni esami e interventi

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Quella di domani, per la sanità, si prospetta una giornata nera. Medici ed infermieri incroceranno le braccia per lo sciopero nazionale di 24 ore indetto dal maggiore sindacato degli ospedalieri, l’Anaao Assomed, e dalla Cimo: secondo le previsioni, l’adesione sarà massiccia e potrebbero saltare 1,5 milioni di visite, esami e interventi. Ma la protesta non si esaurirà con la giornata del 5 dicembre. Il 18 è infatti in programma un nuovo sciopero deciso dalle altre sigle della Intersindacale medica. Sotto attacco è la manovra, che “non tutela medici e cittadini”, e lo slogan unico è ‘Salviamo il Ssn’. Intanto, governo e partiti lavorano per risolvere il nodo dei previsti tagli alle pensioni della categoria.

“Contiamo di poter depositare gli emendamenti” alla manovra “entro questa settimana”, dice il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani al termine della riunione con maggioranza e opposizione, raccontando di aver “appena parlato con Giorgetti” e spiegando che il lavoro sulle modifiche, comprese quelle relative ai medici, è ancora “in corso”. Sul tavolo, ormai da settimane, la revisione della norma della manovra che prevede una stretta sulle pensioni dei sanitari e di una serie di altre categorie tra le quali dipendenti di enti locali, maestri e ufficiali giudiziari.

Dalla penalizzazione saranno escluse certamente quelle di vecchiaia ma si starebbe cercando una soluzione anche per quelle di anzianità. Lo sciopero, cui aderisce anche il sindacato degli infermieri Nursing Up, inizia alle 00.00 del 5 dicembre ma saranno garantite le prestazioni d’urgenza, ad esempio l’attività dei Pronto soccorso e del 118 e gli interventi per il parto. Sono però a rischio tutti i servizi, spiega l’Anaao Assomed, compresi gli esami di laboratorio, gli interventi chirurgici (circa 30mila quelli programmati che potrebbero essere rinviati), le visite specialistiche (180 mila) e gli esami radiografici (50mila).

In occasione dello sciopero, manifestazioni si svolgeranno in tutta Italia, mentre i leader delle associazioni parteciperanno ad un sit in a Roma. “Solidarietà” e “vicinanza” arriva anche dal presidente degli Ordini dei medici (Fnomceo), Filippo Anelli. Almeno sei le ragioni della protesta: assunzioni di personale, detassazione di una parte della retribuzione, risorse congrue per il rinnovo del contratto di lavoro, depenalizzazione dell’atto medico, cancellazione dei tagli alle pensioni e individuazione di un’area contrattuale autonoma per gli infermieri. Il governo, afferma Pierinio Di Silverio, segretario dell’Anaao Assomed, “faccia marcia indietro su questa Legge di bilancio e tuteli i professionisti della sanità”. A partire da una ricollocazione delle risorse economiche stanziate: “Come primo atto, chiediamo che i soldi stanziati in manovra per retribuire il lavoro in più dei sanitari per lo smaltimento delle liste di attesa, circa 200 milioni, vengano invece finalizzati agli stipendi dei medici e dei sanitari, così come i 600 milioni destinati alla sanità privata convenzionata”.

Insomma, i sindacati chiedono atti concreti. Anche per le pensioni: “L’annuncio che si sta lavorando ad una soluzione non basta – commenta Di Silverio -. Chiediamo il ritiro della norma”. Quindi, un messaggio alla premier Giorgia Meloni: “Ad oggi la presidente del Consiglio non ci ha ancora convocato. Se intende continuare a parlare solo con i sindacati confederali e non con gli ‘addetti ai lavori’, non si stupisca poi se scendiamo in piazza”. Il punto, insistono le organizzazioni, è modificare la manovra mettendo finalmente mano a criticità strutturali del mondo della sanità, partendo dalle carenze del personale (ad oggi mancano 30mila medici ospedalieri, in particolare nel Pronto Soccorso, 65mila infermieri ed entro il 2025 andranno in pensione oltre 40mila tra medici e personale sanitario), gli stipendi poco attrattivi e le condizioni di lavoro gravose. Per le stesse ragioni, il 18 sciopereranno anche i medici anestesisti dell’Aaroi-Emac, il Fassid (Sindacato nazionale area radiologica), Fvm (Federazione veterinari e medici) e la Cisl medici.

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Cronache

Cresce povertà sanitaria, 427mila hanno chiesto aiuto per cure

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Nell’anno in corso, 427.177 persone si sono trovate in condizioni di povertà sanitaria. Hanno dovuto, cioè, chiedere aiuto ad una delle 1.892 realtà assistenziali convenzionate con Banco Farmaceutico per ricevere gratuitamente farmaci e cure. Rispetto alle 386.253 persone del 2022, c’è stato un aumento del 10,6%. È quanto emerge dall’11/mo Rapporto “Donare per curare – Povertà Sanitaria e Donazione Farmaci”, realizzato con il contributo incondizionato di Ibsa Farmaceutici e Aboca da Opsan – Osservatorio sulla Povertà Sanitaria (organo di ricerca di Banco Farmaceutico).

I dati sono stati presentati oggi in un convegno promosso da Banco Farmaceutico e Aifa. Intanto, la spesa farmaceutica delle famiglie aumenta, ma la quota a carico del Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) diminuisce. Nel 2022 (ultimi dati disponibili), la spesa farmaceutica totale è pari a 22,46 miliardi di euro, 2,3 miliardi in più (+6,5%) rispetto al 2021 (quando la spesa era di 20,09 miliardi). Tuttavia, solo 12,5 miliardi di euro (il 55,9%) sono a carico del Ssn (erano 11,87 nel 2021, pari al 56,3%). Restano 9,9 miliardi (44,1%) pagati dalle famiglie (erano 9,21 nel 2021, pari al 43,7%.

Significa che, rispetto all’anno precedente, le famiglie hanno pagato di tasca propria 704 milioni di euro in più (+7,6%). In sei anni (2017-2022), la spesa farmaceutica a carico delle famiglie è cresciuta di 1,84 miliardi di euro (+22,8%). A sostenere di tasca propria l’aumento sono tutte le famiglie, anche quelle povere, che devono pagare interamente il costo dei farmaci da banco a cui si aggiunge (salvo esenzioni) il costo dei ticket. “Quest’anno – ha dichiarato Sergio Daniotti, presidente della Fondazione Banco Farmaceutico Ets – ci preme sottolineare che tante persone in condizioni di povertà non riescono ad accedere alle cure non solo perché non hanno risorse economiche, ma anche perché, spesso, non hanno neppure il medico di base, non conoscono i propri diritti in materia di salute, o non hanno una rete di relazioni e di amicizie che li aiuti a districarsi tra l’offerta dei servizi sanitari”. A compromettere lo stato di salute di chi è economicamente vulnerabile, contribuisce la rinuncia a effettuare visite specialistiche, che è cinque volte superiore al resto della popolazione.

“Senza il Terzo settore (e, in particolare, senza le migliaia di istituzioni non profit, di volontari e di lavoratori che si prendono cura dei malati) – ha aggiunto Daniotti – non solo l’Ssn sarebbe meno sostenibile, ma il nostro Paese sarebbe umanamente e spiritualmente più povero”. Il rapporto in proposito ricorda che le non profit attive prevalentemente nei servizi sanitari sono 12.578 (e occupano 103 mila persone). Di queste, 5.587 finanziano le proprie attività per lo più da fonti pubbliche.

Tenendo conto di questo solo sottoinsieme, il non profit rappresenta almeno 1/5 del totale delle strutture sanitarie italiane (oltre 27.000), generando un valore pari a 4,7 miliardi di euro. Si conferma, infine, la relazione circolare tra povertà di reddito e povertà di salute: la percentuale di chi è in cattive o pessime condizioni di salute è più alta tra chi si trova in condizioni economiche precarie rispetto al resto della popolazione (6,2% rispetto al 4,3% nel 2021). La qualità della vita legata a gravi problemi di salute, inoltre, è peggiore per chi ha meno risorse rispetto a chi ha un reddito medio-alto (25,2% rispetto al 21,7%). Le risorse economiche non preservano, di per sé, da gravi patologie (specie all’aumentare dell’età), ma consentono di fronteggiarne meglio le conseguenze.

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