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Salute

Trapiantato un cuore fermo da 20 minuti, prima volta

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Un cuore fermo da 20 minuti, da un donatore ormai deceduto, ha ridato la vita ad un uomo che attendeva il trapianto, condannato altrimenti dalla malattia cardiaca. Non è fanta-medicina, ma ciò che l’equipe del professor Gino Gerosa, del “Centro Gallucci” di Padova, è riuscita a fare con una procedura mai usata prima: far battere nuovamente nel torace di un paziente un cuore rimasto per 20 minuti senza alcuna attività elettrica. Il primo caso in Italia, il primo al mondo con tempi di riattivazione del muscolo cardiaco così lunghi Il paziente, un 45enne, già operato in età pediatrica, e in in lista d’attesa da 2 anni, resta in terapia intensiva, ma il decorso è regolare, “il cuore funziona molto, molto bene” ha assicurato Gerosa. “L’eccezionalità sta proprio nei tempi — ha spiegato Gerosa – Nel mondo il trapianto di cuore da donatore in arresto cardiocircolatorio è realtà già da un po’ ma è autorizzato dopo 3-5 minuti dalla constatazione di elettrocardiogramma piatto. In Italia la legge impone di aspettarne 20,”. Tempi così lunghi che si pensava non si potesse fare, “ma noi – ha aggiunto Gerosa – ci abbiamo creduto e, una volta avuta l’autorizzazione dal Centro nazionale trapianti, ci siamo riusciti al primo tentativo”.

Il donatore era un uomo colpito da ‘morte cardiaca’, con contestuali, irreversibili danni cerebrali, da rendere vana ogni altra procedura terapeutica. E’ importante ribadire – sottolinea il Centro Nazionale Trapianti – che la morte di un individuo è unica e coincide con la totale e irreversibile cessazione di tutte le funzioni cerebrali. Infatti, per determinare la morte con criteri cardiologici occorre osservare un’assenza completa di battito cardiaco e di circolo per almeno il tempo necessario perché si abbia con certezza la necrosi encefalica tale da determinare la perdita irreversibile di tutte le funzioni encefaliche. Per questo, spiega il Centro Nazionale Trapianti, la donazione a cuore fermo può avvenire solo dopo che un medico abbia certificato la morte mediante l’esecuzione di un elettro-cardiogramma protratto per un tempo di almeno 20 minuti (nella maggior parte dei Paesi europei questo tempo è di 5 minuti). Questo è considerato il tempo di anossia, trascorso il quale si considera vi è certamente la morte dell’individuo. Una nuova frontiera varcata dalla medicina. E un’altra ‘prima’ in campo cardiochirurgico dai chirurghi padovani. Come quella notte del 1995, quando Vincenzo Gallucci, si precipitò all’ospedale Ca’ Foncello di Treviso per prelevare il cuore di un giovane donatore – morto in un incidente – e reimpiantò poi a Padova nel petto del falegname Ilario Lazzari.

La storia si è ripetuta, sulla stessa direttrice Padova-Treviso. “Questo risultato straordinario – ha affermato Gino Gerosa, pioniere degli studi sul cuore artificiale – potrebbe portare ad un incremento del 30% del numero di organi disponibili per i pazienti in lista di attesa”. Si tratta, tuttavia, “di una goccia d’acqua aggiunta in quel secchiello che ci serve a dare risposte terapeutiche ai pazienti affetti da scompenso cardiaco terminale che sono in attesa di un cuore”. La vera soluzione, conclude il medico, “giungerà quando avremo a disposizione un cuore artificiale, totale, italiano. La risposta sarà un cuore meccanico, prontamente disponibile, sullo scaffale. Allora non saremo più costretti ad aspettare la morte di un donatore per dare una soluzione a chi attende il trapianto”.

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Covid, l’identikit genetico influenza la risposta al vaccino

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La risposta alla vaccinazione contro Covid-19 è influenzata da caratteristiche genetiche individuali, in particolare da alcuni geni associati al complesso maggiore di istocompatibilità, il sistema attraverso cui l’organismo distingue le componenti proprie da quelle estranee. È quanto è emerso dallo studio coordinato dall’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Segrate (Cnr-Itb) pubblicato sulla rivista Communications Medicine.

“Come per la maggior parte dei farmaci, così anche per i vaccini ogni individuo può rispondere in maniera più o meno efficace e questo è dovuto, almeno in parte, alla costituzione genetica individuale”, osserva Francesca Colombo, ricercatrice del Cnr-Itb che ha guidato lo studio, condotto su 1.351 operatori sanitari vaccinati nei primi mesi del 2021 Dalla ricerca è emerso che le caratteristiche di una porzione del cromosoma 6 erano legati ai livelli di anticorpi anti-Covid. “In questa specifica regione genomica sono presenti dei geni che codificano per delle molecole presenti sulla superficie cellulare, coinvolte nei meccanismi di risposta immunitaria”, aggiunge la prima firmataria dello studio Martina Esposito.

“Questi geni – gli stessi che vengono valutati quando si cerca la compatibilità fra donatori di midollo osseo – sono molto variabili ed esistono differenti combinazioni. Il nostro studio ha evidenziato che alcune combinazioni erano associate a livelli di anticorpi più alti, mentre altre a livelli più bassi”. Per i ricercatori, la scoperta potrebbe consentire di “differenziare e personalizzare la campagna vaccinale, fornendo a ciascun individuo il vaccino più adatto, cioè quello che gli permetterà di produrre più anticorpi possibili”, conclude Massimo Carella, vice-direttore scientifico della Fondazione Irccs Casa Sollievo della Sofferenza, che ha collaborato allo studio.

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Record per raccolta del plasma, ma autosufficienza scende al 62%

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La raccolta di plasma ha raggiunto livelli record nel 2023 in Italia, ma paradossalmente l’autosufficienza di questa componente del sangue è più lontana, a causa dell’aumento della domanda di immunoglobuline. E’ quanto è emerso dalla seconda edizione di “The Supply of Plasma-derived Medicinal Products in the Future of Europe”, il convegno internazionale dedicato al plasma, patrocinato dal ministero della Salute e organizzato dal Centro Nazionale Sangue (Cns), che ha visto a confronto esperti e policy maker, associazioni di donatori e di pazienti ed istituzioni italiane, europee ed internazionali. Secondo i dati ancora preliminari diffusi nel corso del convegno, per quanto riguarda le immunoglobuline, prodotto driver del mercato dei medicinali plasmaderivati, l’Italia nel 2023 ha raggiunto un livello di autosufficienza pari al 62%, inferiore di due punti percentuali all’anno precedente.

L’aspetto paradossale è rappresentato dai dati della raccolta del 2023 che, con i suoi 880mila chili di plasma, frutto delle generose donazioni di circa 1,5 milioni di donatori, ha raggiunto i livelli più alti di sempre per l’Italia. Ad allontanare il nostro Parse dal traguardo strategico dell’autonomia in materia di plasmaderivati è stato un aumento deciso della domanda di immunoglobuline, dai circa 104 grammi ogni mille abitanti del 2022 ai 108 del 2023 (+3,8%). Il dato preliminare è in parte mitigato dall’aumento del livello di autosufficienza in materia di albumina, altro driver del mercato, che è passato dal 72% nel 2022 al 78% nel 2023, grazie anche a un calo della domanda.

L’Italia, che è autosufficiente per quel che riguarda la raccolta di globuli rossi, deve quindi ricorrere al mercato internazionale per sopperire alla domanda di plasmaderivati ed integrare i medicinali, usati anche in terapia salvavita, prodotti a partire dal plasma raccolto a partire da donazioni volontarie, anonime e non remunerate. “La mancata autosufficienza di medicinali plasmaderivati resta un problema strategico per il sistema sanitario nazionale – ha commentato il direttore del Cns, Vincenzo de Angelis -. I dati, per quanto ancora preliminari, confermano la necessità di aumentare la raccolta attraverso azioni di sensibilizzazione rivolte ai possibili nuovi donatori, ma questo non basta. Bisognerà anche razionalizzare la domanda, specie di un prodotto come le immunoglobuline che sta trovando sempre più applicazioni a livello terapeutico. È un obiettivo su cui stiamo già lavorando con tanti partner italiani ed europei, perché il Covid ha dimostrato che, in situazioni particolari e spesso imprevedibili, non sempre il mercato internazionale può rispondere alla domanda dei nostri pazienti”.

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Covid, ancora calo dei casi e dei decessi

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Continua il calo dei nuovi casi di Covid in Italia e sono in netta diminuzione i decessi. Nella settimana compresa tra il 18 e il 24 aprile 2024 – secondo il bollettino del ministero della Salute – si registrano 528 nuovi casi positivi con una variazione di -1,9% rispetto alla settimana precedente (538); 7 i deceduti con una variazione di -22,2% rispetto ai 9 della settimana precedente. Sono stati 100.622 i tamponi effettuati con una variazione di -6,4% rispetto alla settimana precedente (107.539) mentre il tasso di positività è invariato e si ferma allo 0,5%. Il tasso di occupazione in area medica al 24 aprile è pari allo 0,9% (570 ricoverati), rispetto all’1,1% (700 ricoverati) del 17 aprile. Il tasso di occupazione in terapia intensiva al 24 aprile è pari allo 0,2% (19 ricoverati), rispetto allo 0,3% (22 ricoverati) del 17 aprile.

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