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Tifoso morto, il gip tiene in carcere il capo degli ultras dell’Inter Marco Piovella resta in carcere: è un capo, è reticente, con lui fuori possibili rappresaglie

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Deve restare in carcere Marco Piovella, uno dei capi della curva nord interista, arrestato per rissa aggravata dalla morte lo scorso 31 dicembre nell’inchiesta con al centro gli scontri tra ultras prima della partita Inter-Napoli del 26 dicembre, che hanno portato al decesso di Daniele Belardinelli, investito, secondo l’ipotesi, da due auto. Lo ha deciso il gip di Milano Guido Salvini, respingendo la richiesta di domiciliari della difesa.

Da Marco Piovella non è arrivato “alcun cenno di riflessione critica sulle condotte proprie del mondo di cui fa parte con un ruolo di leadership”. Un “atteggiamento questo che tra l’altro comporta che fatti del genere possono più facilmente ripetersi qualora l’occasione nuovamente si ripresenti in altre e prossime trasferte dei tifosi con un rischio acuito dalla volonta’ di rappresaglie” scrive il gip Salvini nel confermare il carcere per Piovella, che sempre secondo il gip “ha seguito la regola dell’omertà propria” dei gruppi della curva “che ne uscirebbe certamente rafforzata se egli fosse scarcerato provocando ostacoli ancora maggiori all’accertamento della verità”.

In un momento “in cui le indagini sono in piena evoluzione”, scrive il gip nell’ordinanza con cui conferma il carcere per il designer-imprenditore e capo curva, “l’applicazione nei confronti” di Piovella “di una misura attenuata rafforzerebbe obiettivamente, anche attraverso le campagne sui social network che gia’ vi sono state e che e’ quasi impossibile controllare, l’omerta’ che caratterizza l’ambiente di cui Piovella fa parte in modo carismatico con ostacoli anche maggiori di quanti gia’ esistono all’acquisizione della prova e alla sua genuinita’”. La concessione dei domiciliari in un caso del genere “costituirebbe infatti – spiega il gip – un messaggio a rispettare le regole di gruppo che l’indagato ha dichiarato esplicitamente di voler rispettare e quindi implicitamente di far rispettare da tutti”. Il gip ricorda, tra l’altro, “le numerose minacce che sono gia’ circolate, tramite gli strumenti di comunicazione degli ultra’ interisti, nei confronti di Da Ros Luca” – l’ultra’ interista arrestato e scarcerato sabato dopo aver indicato ai pm i nomi del ‘Rosso’, ossia di Piovella, e di altri ultras nerazzurri – “per la scelta che egli ha assunto e tali da estendersi, come messaggio, ad altri possibili testimoni”.

La “scelta” di Marco Piovella di non collaborare “nonostante il dolore mostrato per la morte di Belardinelli, costituisce un forte ostacolo per l’accertamento di chi ne sia il responsabile”, perche’ il capo ultras “si e’ rifiutato anche di dire chi fosse intorno a lui” e “possa aver notato la vettura o le vetture che hanno travolto la vittima”. Lo scrive il gip Salvini che ha confermato il carcere per il capo ultra’. La morte dell’amico, aggiunge il gip, e’ “dovuta peraltro a fatti che egli stesso ha contribuito in modo importante a generare”.

Nell’ordinanza il gip spiega che “dalle testimonianze raccolte” e “dagli accertamenti sviluppati dalla Digos di Milano” puo’ “ritenersi accertato” che Piovella, 34 anni, fa parte del cosiddetto “Direttivo degli Ultras della curva Nord in rappresentanza dei Boys” e che ha concorso “a tutte le piu’ importanti decisioni che riguardavano l’attivita’ di tali gruppi”. Era, chiarisce il gip, “presente il pomeriggio del 26 dicembre prima al cosiddetto ‘Baretto’ e poi in serata presso il pub Cartoons da cui e’ partita la spedizione in direzione di via Novara, una volta date dai capi e dai sottocapi ai partecipanti le indicazioni che dovevano seguire”. Piovella ha partecipato anche “per sua stessa ammissione, agli scontri di via Novara e presumibilmente in una posizione avanzata posto che si trovava vicino a Belardinelli nel momento in cui questi, all’inizio dell’attacco, era stato travolto e lo ha poi soccorso alla fine dell’attacco stesso caricandolo sulla vettura diretta verso l’ospedale San Carlo”. Nei suoi interrogatori in Questura e davanti al gip, pero’, il giovane “ormai raggiunto dalle chiare indicazioni di Da Ros, si e’ limitato a confessare la sua presenza all’attacco rifiutandosi, nonostante le sollecitazioni, di fornire spiegazioni in merito alla preparazione ed organizzazione dell’attacco e anche rifiutandosi di fornire qualsiasi ricostruzione della dinamica dei fatti che avevano visto, tra l’altro, l’approntamento anticipato in via Fratelli Zoia delle armi che dovevano servire a chi vi sarebbe giunto e il confluire sul luogo di una trentina di francesi del Nizza”. Piovella, prosegue il giudice, “non solo non ha fornito indicazioni sugli altri” ultras presenti agli scontri “ma non ha nemmeno descritto i suoi movimenti e il suo personale comportamento quel giorno”. In sostanza, “si e’ limitato a descrivere quello che aveva visto della morte di Belardinelli, non l’investimento della vittima, ma i momenti immediatamente successivi sino a quando egli lo ha soccorso in via Fratelli Zoia”. Si e’ trattato “di una scelta esplicita e dichiarata che certamente risale al suo ruolo di essere uno dei ‘capi’ di tali realta’ organizzate”.

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‘Ndrangheta e droga, sospeso finanziere

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C’é anche un appartenente alla Guardia di finanza tra le 142 persone indagate nell’inchiesta “Recovery”, su ‘ndrangheta e traffico di sostanze stupefacenti a Cosenza, condotta dalla Dda di Catanzaro. Il finanziere coinvolto é E. D.. A suo carico é stata applicata la misura interdittiva della sospensione dal servizio . La gran parte delle persone coinvolte nell’operazione scaturita dall’inchiesta sono state condotte in carcere. Per 20 sono stati disposti gli arresti domiciliari e per altre 12 l’obbligo di dimora e di firma.

Ovviamente la sospensione del finanziere non è una sentenza di condanna ma una misura cautelare che nulla toglie alla presunzione innocenza.

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Intrighi e accuse di corruzione a Genova, Spinelli dice: pagavo tutti i partiti, Toti mi ha preso in giro

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Gli interrogatori di garanzia di Roberto Spinelli e di suo padre Aldo hanno rivelato dettagli intriganti su una storia di presunta corruzione che intreccia politica, affari familiari e lotta per il potere nelle dinamiche portuali di Genova. Durante gli interrogatori, che hanno durato poco più di un’ora ciascuno, si è delineata una difesa incentrata sulla vulnerabilità personale di Aldo Spinelli, nonostante l’apparenza di un uomo in salute e determinato all’età di 84 anni.

La vicenda giudiziaria ha preso una svolta significativa quando Aldo Spinelli ha accusato apertamente il governatore Giovanni Toti di averlo ingannato, affermando di essere stato “preso in giro” in relazione alla concessione demaniale del terminal Rinfuse, per il quale avrebbe pagato tangenti per ottenere favori. Questa concessione ha permesso alla sua azienda, Spinelli srl, di aumentare notevolmente il proprio valore di mercato.

Inoltre, Aldo ha messo in luce promesse non mantenute riguardanti la privatizzazione di un tratto di spiaggia a Varazze, una situazione complicata dalla direttiva europea Bolkestein sulla gestione delle coste, che ha impedito qualsiasi sviluppo immobiliare in quell’area. Questo ha sollevato questioni su come le politiche e le regolamentazioni possano influenzare significativamente gli investimenti e le decisioni aziendali.

I legami tra Aldo Spinelli e Paolo Signorini, ex presidente dell’Autorità portuale e unico detenuto in questa vicenda, emergono come particolarmente intensi. Spinelli sostiene di aver aiutato Signorini, considerato amico, in momenti di difficoltà economica, fino a pagare il catering per il matrimonio della figlia di Signorini, con un totale di regali e benefit promessi per quasi 400 mila euro.

Queste accuse si estendono oltre il contesto familiare, mostrando come Aldo Spinelli abbia cercato di mantenere un’influenza nel porto che ha plasmato gran parte della sua carriera e vita. L’imprenditore genovese afferma di aver finanziato legalmente diverse figure politiche, inclusa Emma Bonino, nonostante non la conoscesse personalmente, il che solleva domande sulla natura dei finanziamenti politici e delle relazioni imprenditoriali.

Roberto Spinelli, difeso anch’esso dall’avvocato Andrea Vernazza e coinvolto nelle vicende giudiziarie del padre, ha espresso rispetto e difesa nei confronti di Aldo, evidenziando come il padre sia stato “tirato per la giacchetta” da molti, inclusi Toti e Signorini, in un momento di particolare vulnerabilità emotiva dopo la morte della moglie.

Al termine dell’interrogatorio, Aldo Spinelli ha lasciato l’aula con un’energia inalterata, dichiarando di meritare la libertà e di non essere preoccupato per i futuri sviluppi dell’inchiesta. Questa affermazione sottolinea una fiducia forse incrollabile o una sfiducia nel sistema che lo ha visto protagonista per decenni.

Questo caso solleva questioni profonde sulla corruzione, la solitudine e la lotta per il potere in un contesto dove la legge e le relazioni personali si intrecciano in modi spesso indistinguibili, lasciando una scia di domande senza risposta sulla legalità e l’etica nelle più alte sfere del potere economico e politico italiano.

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Camorra e riciclaggio, sequestrata la pizzeria “dal Presidente” in via dei Tribunali a Napoli

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Anche la società che gestisce la notissima pizzeria del centro storico di Napoli “dal Presidente”, che si trova in via dei Tribunali, sarebbe riconducibile al clan Contini: è quanto emerge dalle indagini del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli che hanno portato all’arresto di cinque persone (tre in carcere e due ai domiciliari). La Dda partenopea (pm Alessandra Converso e Daniela Varone) contesta il trasferimento fraudolento di valori e autoriciclaggio, aggravato dal metodo mafioso e dalla finalità di agevolare la camorra. La pizzeria è stata sequestrata dai finanzieri insieme con altri beni.

La pizzeria “Dal presidente”, chiamata così perché aperta dal pizzaiolo che preparò la pizza all’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, si trova in uno dei due decumani del capoluogo partenopeo, meta turistica tra le più frequentate in città. Il valore dei beni sequestrati oggi dai finanzieri ammonta a circa 3,5 milioni di euro. L’impresa di ristorazione sarebbe stata acquistata grazie all’apporto economico e alla “protezione” fornita da un esponente di spicco del clan, alla cui famiglia sarebbe stata destinata una parte dei relativi proventi anche dopo la sua detenzione conseguente a una condanna per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Le risultanze investigative e dei social network avrebbero permesso di stabilire che la società era gestita, di fatto, dal cognato del detenuto, anch’egli gravato da numerosi precedenti penali, il quale si sarebbe poi affrancato dalla joint venture criminale avviando una nuova attività nel campo della vendita di prodotti da forno. Le indagini, corroborate dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, avrebbero consentito di appurare anche la fittizia intestazione di un’impresa individuale operante nel settore dei servizi turistici, che il precedente titolare sarebbe stato costretto a dismettere con minacce, percosse e intimidazioni, e di sette immobili di pregio siti nel capoluogo partenopeo. Gli indagati avrebbero reimpiegato nelle società di ristorazione e panificazione e nell’acquisto di beni immobili ben 412.435 euro versati in contanti con reiterate operazioni sui conti societari e personali. Il denaro è stato sequestrato oggi insieme con le quote delle società, l’impresa individuale e gli immobili intestati a prestanome: il valore complessivo è stato stimato in oltre 3,5 milioni di euro.

Come sempre facciamo, ribadiamo che tutte le persone citate in questo articolo e a vario titolo indagate perchè coinvolte nell’inchiesta sono da considerare innocenti, come prevede la nostra Costituzione.

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