Al rientro in Italia, a Giulio Lolli, oltre al provvedimento per associazione con finalità di terrorismo e traffico di armi notificato dal ROS, è stato notificato anche un ulteriore provvedimento.
Infatti, su delega del Pubblico Ministero della Procura della Repubblica di Rimini, Davide Ercolani, iCarabinieri del Comando Provinciale di Rimini hanno notificato a Giulio Lolli le due ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal GIP di Rimini, Sonia Pasini, nell’ambito dell’indagine “Rimini Yacht”. I fatti riguardano una estorsione ed una associazione per delinquere. Giulio Lolli, latitante dal 2010, si era reso responsabile di altri gravi reati in Libia, ove aveva trovato rifugio dal 2012.
Al Lolli, condannato l’8 settembre scorso dal Giudice libico al carcere a vita, è stata data la possibilità, grazie all’intervento determinante del personale diplomatico in servizio all’Ambasciata d’Italia a Tripoli, di ottenere l’espulsione amministrativa al fine di consentire al cittadino italiano di rispondere dei propri reati all’A.G. italiana.
Giulio Lolli si era reso irreperibile dalla fine di maggio 2010, quando a seguito di alcuni accertamenti incrociati relativi alle iscrizioni di numerosi Motoryacht, era emerso che grazie ad una Società di San Marino, ove operava una sua testa di legno, Fabbri Stefano, ed una serie di prestanome che figuravano come intestatari, ciascuno yacht (imbarcazioni con valore commerciale che oscillava tra i 300’000,00 euro ed i 6,5 milioni di euro), veniva finanziato due o addirittura tre volte, mediante contratti di leasing stipulati con società legate ad istituti bancari italiani e stranieri, per lo più sammarinesi, ai quali venivano sottoposti in sede di compravendita, documenti di conformità falsi, precedentemente estorti con la violenza ad una sua ex dipendente che disponeva di una tipografia.
Ben 86 le imbarcazioni oggetto dell’indagine: tutte con due proprietari, qualcuna con tre, alcune totalmente inesistenti e create ad hoc solo sulla carta, per ottenere i finanziamenti. Gli utilizzatori in buona fede delle imbarcazioni vendute dalla Rimini Yacht, nel corso delle indagini, si erano dunque visti sequestrare le costosissime barche, in attesa che il Giudice decidesse chi, tra le due o tre finanziarie, fosse il reale proprietario. Tra i clienti di Giulio Lolli vi erano imprenditori e commercianti di altissimo livello e finanche Flavio Carboni (condannato nel marzo 2018 per la questione legata alla loggia massonica P3). Allo stesso Carboni Lolli faceva utilizzare una lussuosissima Aston Martin acquistata con un contratto di leasing stipulato a San Marino e poi non pagato.L’autovettura fu poi ritrovata dal personale dell’Arma dei Carabinieri, dopo la fuga di Lolli, in stato di abbandono, presso l’aeroporto di Cagliari. Proprio con la barca che lo stesso Flavio Carboni intendeva acquistare, un costosissimo ed americanissimo Bertram 570, Lolli si dava alla latitanza approdando dapprima in Tunisia, quindi a Tripoli. Nel frattempo il personale dell’Arma di Rimini e della Capitaneria di Porto, recuperavano in giro per l’Italia e all’estero, Yacht (Bertram, Aicon, Azimut, Galeon), Autovetture (Ferrari, Lamborghini, Maserati), orologi (Cartier, Patek Philippe), vari gioielli, quadri antichi e danaro, per un valore stimabile intorno ai trecento milioni di euro. Una fuga, quella di Giulio Lolli, degna di un film d’azione. A Tunisi, dove Lolli godeva dei favori della famiglia del poi deposto presidente Ben Alì, il latitante aveva aperto una propria attività di import-export. Venne individuato grazie al movimento di una grossa somma di denaro dall’Italia verso la Tunisia dagli investigatori riminesi che iniziarono il suo monitoraggio in Nord Africa. Un amico di LOLLI si recava periodicamente in un centro commerciale di Forlimpopoli, ove portava all’anziana madre del latitante notizie e pizzini, quindi ripartiva alla volta del Nord Africa, non prima di aver reperito tutto ciò di cui il Lolli aveva bisogno e che lui, obbediente, gli procurava. A seguito della richiesta di cattura e di estradizione inviata dalla Procura della Repubblica di Rimini alle Autorità tunisine, richiesta giunta proprio all’alba della primavera araba, Lolli, che non poteva più contare sulla protezione della famiglia Ben Alì, venne espulso e cacciato via mare. Con il Bertram 570 fece rotta su Malta, dove venne rifornito di carburante e viveri quindi, poco prima di essere intercettato dalle Motovedette maltesi – attivate sempre da Rimini,tramite l’Ufficio SIRENE dell’Interpol – fece rotta su Tripoli. Qui trovato alloggio nel lussuoso Hotel Rixos, lo stesso ove trovarono poi rifugio anche i giornalisti, nei giorni della rivoluzione, rimaneva fino al suo primo arresto. Siamo nel gennaio del 2011 quando, gli investigatoriattivavanol’Interpol, che unitamente alle forze dell’allora Capo di Stato Colonnello Gheddafi, riusciva a far arrestare Giulio Lolli e ad eseguire il mandato di cattura internazionale a suo carico. Ma la storia continua. Detenuto insieme a prigionieri politici, durante la rivoluzione libica venivaliberato da un gruppo di ribelli ai quali si univa e con i quali, forse, ebbe anche modo di combattere. Cambiato nome e probabilmente religione, si faceva chiamare Giulio Karim Lolli. Sposava una donna libica.Nel 2017 veniva arrestato dalle forze speciali di Al Rada, la squadra antiterrorismo libica. Gravissime le accuse.Due anni circa la detenzione, in attesa del giudizio arrivato l’8 settembre scorso.
Incredibile ma vero: 23 liste si sono presentate per le elezioni amministrative di Bisegna, minuscolo comune abruzzese in provincia dell’Aquila, con appena 212 abitanti. Un numero spropositato che nasconde una realtà scandalosa: 21 liste su 23 sono composte da agenti della polizia penitenziaria che si sono candidati non per partecipare davvero al processo democratico, ma per usufruire di un mese di aspettativa retribuita, garantita dalla legge, con la scusa della campagna elettorale.
Il vero scopo: un mese di ferie pagate
Delle 23 liste, solo due rappresentano candidati locali che hanno a cuore il futuro del paese. Le altre sono state messe in piedi esclusivamente per consentire ai candidati di prendere ferie retribuite: un abuso normativo che trasforma le elezioni, fondamento della democrazia, in una comoda vacanza a spese dei contribuenti. Una beffa clamorosa, soprattutto se si pensa che alle ultime elezioni hanno votato solo 150 persone.
Un meccanismo che tradisce la fiducia nelle istituzioni
Questa vicenda getta un’ombra pesante sulla credibilità del sistema elettorale locale. Organizzare liste fittizie per ottenere privilegi economici senza alcuna intenzione di governare o migliorare la vita di una comunità tradisce lo spirito delle elezioni, nate per consentire ai cittadini di scegliere chi li rappresenterà davvero.
Un caso che chiede risposte immediate
La situazione di Bisegna impone una riflessione urgente: è inaccettabile che le regole, pensate per garantire la partecipazione democratica, vengano piegate a interessi personali. Serve un intervento normativo che blocchi questi abusi e ristabilisca il rispetto per un diritto fondamentale come quello del voto.
Un giovane di 19 anni, di origine nigeriana, è morto questa sera in un incidente stradale avvenuto lungo via Roma, a Roscigno, nel Salernitano. Secondo una prima ricostruzione, il ragazzo, ospite del centro di accoglienza Sai del comune degli Alburni, stava rientrando dopo aver fatto la spesa quando ha perso il controllo della bicicletta ed è finito contro un albero sul lato opposto della carreggiata. Restano da chiarire le cause dell’impatto: al momento non si esclude alcuna ipotesi, dal coinvolgimento di altri veicoli a una manovra improvvisa per evitare un ostacolo. Possibile anche che il giovane abbia avuto difficoltà a gestire le buste della spesa durante la pedalata. Sul posto sono intervenuti i sanitari del 118, ma per il 19enne non c’era più nulla da fare. Per risalire all’esatta dinamica dell’incidente indagano i carabinieri della compagnia di Sala Consilina.
Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.
E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.
Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.
Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.
Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.