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Politica

Tasse, giovani e figli. Le priorità della manovra

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Riduzione delle tasse, sostegno a giovani, famiglie e natalità e interventi per le imprese che assumono. Parte da queste priorità la prossima legge di bilancio. A suggellarle è il vertice di maggioranza chiamato a blindare i diversi dossier che hanno agitato l’estate, in modo da affrontare l’autunno con il piede giusto. Uno dei più delicati è sicuramente la manovra, il cui sentiero è reso quest’anno ancor più stretto dai vincoli dettati dalle nuove regole del Patto di stabilità Ue.

Il percorso di avvicinamento alla terza manovra del governo Meloni, attesa in Parlamento tra poco meno di due mesi, è già iniziato. Ma quest’anno, con le nuove regole del Patto di stabilità Ue, l’iter sarà diverso. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ne ha parlato ai ministri nel cdm che si è riunito subito dopo il vertice, durante il quale ha illustrato le nuove procedure di bilancio, compreso il Piano strutturale di bilancio di medio termine (Psb). Il nuovo documento, che di fatto sostituirà la Nadef, definirà la traiettoria della spesa netta, che sarà il nuovo aggregato di riferimento per la valutazione di Bruxelles. Il Piano, che per estendere il rientro dal deficit eccessivo a 7 anni dovrà prevedere anche un insieme di riforme e investimenti, è atteso a Bruxelles entro il 20 settembre. E Giorgetti conta di portarlo in cdm entro metà settembre.

Una volta definiti nel Psb gli obiettivi programmatici pluriennali per la traiettoria di spesa netta, il governo avrà poco più di un mese per mettere a punto la manovra. Che parte da una linea condivisa da tutta la maggioranza. “Come le precedenti, sarà seria ed equilibrata”, assicura il centrodestra nel comunicato congiunto diffuso dopo il vertice. E “confermerà alcune priorità come la riduzione delle tasse, il sostegno a giovani, famiglie e natalità, e interventi per le imprese che assumono”, aggiunge la nota. In cui si nota però l’assenza del tema pensioni, dossier delicato e che rischia di generare attriti, come hanno dimostrato le scintille innescate dalle ipotesi su una possibile stretta sulle uscite anticipate. Sul tema ogni partito ha i propri appetiti: la Lega insiste su Quota 41, FI punta a fare un altro step per l’innalzamento delle minime.

E l’opposizione, Pd in testa, esprime preoccupazioni per le ipotesi circolate. Per capire quello che si potrà fare bisogna prima sciogliere il nodo delle risorse. Lo sa bene Giorgetti, che da tempo professa prudenza. Perché gli spazi sono pochi e non si può fare tutto. Lo avrà ripetuto anche oggi ai colleghi ministri, da cui attende 2 miliardi di risparmi della spending review. Sul fronte risorse si lavora anche sulle tax expenditures, il cui sfoltimento potrebbe fruttare fino ad un miliardo. Si attende anche di conoscere l’effettivo andamento delle entrate che aprirà qualche spazio nei conti. Mentre servirà più tempo, a ottobre, per capire l’esito dell’adesione al concordato biennale delle partite Iva, da cui dipende la possibile estensione della rimodulazione dell’Irpef ai redditi fino a 50-60 mila euro. In ogni caso “tutte le risorse disponibili” dovranno “essere concentrate” sulle priorità, è la linea della premier Meloni, che avverte: “la stagione dei soldi gettati dalla finestra e dei bonus è finita e non tornerà fin quando ci saremo noi al governo”. Sulle misure, però, al momento, l’esecutivo non si sbilancia.

La manovra è “ancora da scrivere”, dice la premier Giorgia Meloni in cdm, raccomandando a ministri e parlamentari “grande prudenza” nel commentare misure di cui parla la stampa, ma che “non sono mai neanche state proposte”. Il riferimento esplicito è all’assegno unico, le cui voci di una possibile rivisitazione della norma hanno sollevato un polverone. La premier, dopo il video con Giorgetti per assicurare che non sarà abolito, torna a difendere la misura: “fin quando ci sarà questo governo le famiglie non avranno nulla da temere”. Se c’è qualcuno che vuole farlo saltare, polemizza, è semmai qualche “zelante funzionario europeo” che ha chiesto “modifiche folli”. Che qualche aggiustamento sia allo studio, però, non lo nascondono diversi esponenti di maggioranza: ma nessuna cancellazione, assicurano, solo una revisione per migliorarlo.

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Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

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Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

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Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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Politica

Addio a Giancarlo Gentilini, lo “Sceriffo” di Treviso simbolo della Lega Nord

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È morto a 95 anni Giancarlo Gentilini (foto Imagoeconomica in evidenza), storico sindaco e vicesindaco di Treviso, conosciuto come “lo Sceriffo” per la sua spilla simbolo di ordine, disciplina e rispetto delle leggi. Figura centrale della Lega Nord, è stato per vent’anni un riferimento assoluto per la città e per il movimento federalista e nordista. Gentilini si è spento ieri all’ospedale di Treviso, dopo un improvviso malore. Aveva appena trascorso le festività pasquali con familiari e amici.

Dal 1994 un’era politica fuori dagli schemi

Eletto per la prima volta nel 1994, in piena frattura con la Prima Repubblica, Gentilini ha rappresentato il primo grande esperimento amministrativo della Lega Nord in Veneto. La sua leadership ha ispirato generazioni di sindaci padani. Rimasto in carica fino al 2013, ha saputo imprimere un’impronta personale, carismatica e controversa al governo della città, definendosi “al servizio del mio popolo”.

Una vita di provocazioni e polemiche

Uomo fuori dagli schemi, Gentilini è stato amato e odiato. Amatissimo dal suo elettorato, detestato dalle opposizioni per uscite spesso offensive: frasi contro immigrati, rom, comunità omosessuale, disegni di teschi agli incroci pericolosi e panchine rimosse per evitare che vi si sedessero stranieri. La sua comunicazione era brutale, talvolta al limite del razzismo, ma efficace. Una figura che ha spesso messo in difficoltà anche la sua stessa Lega, incapace di contenerne la dirompenza.

L’ultimo capitolo di una vita sorprendente

Nel 2017 ha perso la moglie, e l’anno successivo, a 89 anni, si è risposato. Un uomo che non ha mai smesso di sorprendere, nel bene e nel male. Sempre fedele alla sua immagine, sempre diretto, spesso divisivo, ma instancabile e coerente con il proprio sentire.

Il cordoglio delle istituzioni

Tra i primi a ricordarlo, Luca Zaia, presidente del Veneto: «È stato un grande amministratore, ha saputo intercettare i sentimenti del popolo. Ha fatto la storia di Treviso e del Veneto». Lorenzo Fontana, presidente della Camera, ha parlato di «dedizione totale alla città». Il sindaco di Treviso, Mario Conte, ha espresso il dolore dell’intera comunità: «Il nostro Leone è andato avanti. Ha scritto la storia».

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