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Economia

Superbonus: in media 192mila euro, ma va a pochi

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L’affare Superbonus vale 71,7 miliardi di sconti fiscali, per un importo medio delle detrazioni alla fine dei lavori che si attesta a 192.756 euro per ogni ‘asseverazione’. Ma il costo, alto per lo Stato, diventa un beneficio per pochi. Gli immobili interessati al superbonus sono finora 372mila e rappresentano solo il 3,1 per cento degli edifici residenziali italiani, che nel complesso sono 12,1 milioni. Uno spaccato degli effetti del Superbonus sul territorio italiani è contenuto nei numeri elaborati dalla Cgia di Mestre. Raccontano le contraddizioni della misura con un costo elevato impegnato per migliorare l’efficienza energetica di una quota ridottissima di edifici.

Ma i dati svelano anche altro. Percentualmente a ricorrere maggiormente a questo beneficio sono gli abitanti del Veneto (il 4,4% delle abitazioni sono interessate) ma se si guarda al valore monetario medio delle detrazioni a guidare la classifica sono Valle d’Aosta, Basilicata e Campania, con una spesa media tra i 247mila e i 267 mila euro. Le medie, ovviamente, risentono sempre dell’effetto ‘Trilussa’. Il valore di 192mila euro di detrazione media nazionale riguarda tutti gli immobili: per i condomini l’importo è più elevato e si attesta a 654mila euro per richiesta, per gli edifici unifamiliari vale 125mila euro e per le unità immobiliari indipendenti (quelle per intendersi in una villa bifamiliare) raggiungono i 107mila euro.

A scorrere i dati elaborati dalla Cgia ci si accorge che dalla corsa al Superbonus sono rimasti esclusi in molti. La media italiana è di 3,1% di edifici residenziali che hanno depositato l’asseverazione per ottenere lo sconto del 110%. Come dire il 97% degli immobili rimane escluso. Ma le differenze regionali sono davvero minime: nel Nord-Est ha fatto ricorso al Superbonus il 4% degli immobili, al Centro il 3,7%, nel Nord Ovest il 3,3% e nel Mezzogiorno solo il 2,2%. Fanalino di coda è la Sicilia nella quale solo l’1,7% delle unità immobiliari ha presentato l’asseverazione.

La classifica cambia di molto, però, se si guarda ai valori medi dello sconto. Dopo la Valle d’Aosta (268mila euro), il Sud conquista la vetta con Basilicata (254mila euro) e Campania (247mila euro). Seguono l’Abruzzo (235mila) e il Trentino Alto Adige (231mila). Vengono poi le grandi regioni che da sole valgono complessivamente quasi 20 miliardi di euro di richieste sui 71,6 totali: la Lombardia, con una media di 215mila euro ad asseverazione, il Lazio con 210mila euro. All’ultimo posto, in questo caso, è il Veneto: la detrazione media vale 151mila euro, ma poiché sono molti gli immobili che hanno avanzato la richiesta, la spesa complessivamente prevista per lo stato si attesta a 7 miliardi, al secondo posto dopo i 12,5 miliardi complessivi della Lombardia e poco prima del 6,5 miliardi totali del Lazio.

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L’industria in crisi, cala l’occupazione a settembre

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La crisi dell’industria non si ferma, con il fatturato che va ancora giù ad agosto. Segna invece una battuta d’arresto l’occupazione a settembre, dopo tre mesi di crescita. Il bilancio nei dodici rimane comunque positivo, anche se il calo mensile apre all’interrogativo se il mercato del lavoro italiano sia davanti ad una inversione di tendenza o solo ad un inciampo. Il quadro dell’Istat si muove così tra dati altalenanti. Ultimi quelli sull’inflazione che ad ottobre torna a salire, con l’accelerazione del carrello della spesa.

La debacle del fatturato dell’industria si riassume nel nuovo segno meno registrato ad agosto, contenuto ad un -0,1% rispetto al mese precedente ma che tocca il -4,6% rispetto ad un anno prima. In questo caso, è il 17esimo di fila. Una caduta in valore, oltre che in volumi, che riflette difficoltà nel mercato interno ed europeo, con la locomotiva della Germania ormai in frenata. Altro fronte, quello del lavoro. A settembre, dopo aver toccato livelli record, il numero degli occupati scende di 63mila unità (-0,3%), tornando sotto quota 24 milioni (a 23 milioni 983mila).

Diminuiscono sia i dipendenti permanenti che a termine, sia uomini che donne, mentre rimangono stabili gli autonomi. Ma nell’arco di un anno, gli occupati sono comunque 301mila in più (+1,3%). Si conferma la spinta all’insù che arriva innanzitutto dai dipendenti a tempo indeterminato (+331mila) e poi dagli autonomi (+81mila) e, all’opposto, il calo dei dipendenti a termine (-110mila). E nonostante il calo mensile, il terzo trimestre chiude con un incremento di 84mila occupati (+0,4%). Se il tasso di occupazione a settembre dunque scende al 62,1%, il tasso di disoccupazione risulta stabile al 6,1% – comunque ai minimi di maggio 2007 – ma sale quello giovanile al 18,3%. E crescono gli inattivi, ovvero coloro che non hanno un lavoro e non lo cercano (il tasso di inattività sale al 33,7%).

La riduzione degli occupati si inscrive in un quadro di “forte rallentamento dell’economia”, sottolinea l’Ufficio studi di Confcommercio. Con il rischio che se proseguisse nei prossimi mesi, avverte, “ne conseguirebbero gravi effetti sia sulla crescita del 2024 sia, soprattutto, su quella del 2025”. Al momento, comunque, il mercato del lavoro appare “ancora solido e vitale, nonostante questo inciampo”. Vede “nuovi segnali di criticità” Confesercenti sostenendo che questa battuta d’arresto “va monitorata con attenzione perché, pur mantenendo una crescita rispetto all’anno precedente, si collegherebbe alla frenata in atto dell’economia”.

Un quadro che vede ad ottobre un aumento dell’inflazione allo 0,9% su base annua (dal +0,7% del mese precedente). Una lieve ripresa, considerata quasi fisiologica, ma che pesa di più per alcuni settori, gli alimentari in testa. Tanto che il cosiddetto carrello della spesa torna a correre: i prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona accelerano al +2,2%. I consumatori rilanciano l’allarme. Per una famiglia con due figli questa risalita equivale ad un aggravio di spesa pari in media a +238 euro annui solo per l’acquisto di cibi e bevande, calcola il Codacons. Parla di “autunno caldo sul fronte dei prezzi”, l’Unione nazionale dei consumatori.

Di qui il richiamo ad intervenire per sostenere i consumi e a cascata l’attività delle imprese. “Un Paese che non consuma per effetto di prezzi alti e un basso potere d’acquisto, è un Paese che non cresce”, rimarca l’Adoc. Per Federdistribuzione è fondamentale che la legge di Bilancio venga incardinata “nella prospettiva di sostegno ai redditi delle famiglie e di facilitazione degli investimenti e delle opportunità di crescita delle imprese”.

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Panetta: Italia investa su innovazione e efficienza della pubblica amministrazione

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La Bce deva tagliare ancora i tassi e, nonostante i segnali di accelerazione della crescita europea, guardare alla “fiacchezza” dell’economia, o rischierà di dover agire successivamente con più forza contro un’inflazione troppo bassa. Il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta ribatte ai ‘falchi’ che chiedono cautela nel ridurre il costo del denaro. E non lesina uno sprone al governo: acceleri su investimenti e riforme del Pnrr, affronti il debito elevato e i “nodi irrisolti” dell’economia come la poca innovazione delle imprese o la pubblica amministrazione inefficiente. Un monito in tandem con quello della presidente della Bce Christine Lagarde, che su Le Monde avverte, “Lo stallo dell’Europa è una realtà”, occorre “rimboccarsi le maniche” cogliendo l’occasione per mettere in pratica il rapporto Draghi che “evidenzia uno stallo in termini di produttività, che arriva essenzialmente dal settore delle nuove tecnologie”.

L’occasione per Panetta è la Giornata mondiale del risparmio organizzata dall’Acri, che festeggia il centesimo compleanno in una veste internazionale, all’interno del Congresso dell’Istituto Mondiale delle Casse di Risparmio e delle Banche territoriali. E’ qui che Panetta, fresco degli incontri alle riunioni del Fmi a Washington, riporta la palla al centro nel dibattito fra le anime della Bce dopo che ieri Isabel Schnabel, del Comitato esecutivo, aveva invocato un “approccio graduale” di fronte a un “punto di svolta” della crescita dell’area euro. Dopo i tre tagli di giugno, settembre e ottobre fino a raggiungere il 3,25%, per il governatore italiano e membro del Consiglio Bce non è il caso di rallentare il ritmo.

“Le condizioni monetarie rimangono restrittive, e richiedono ulteriori riduzioni”, dice Panetta. Altrimenti “si correrebbe il rischio di spingere l’inflazione ben sotto l’obiettivo” del 2%, una situazione che “la politica monetaria faticherebbe a contrastare e che va evitata”. In gioco, alla Bce, c’è la decisione se tagliare di mezzo punto o di uno 0,25 al Consiglio direttivo del 12 dicembre. Poi c’è il dopo: se far arrivare il ‘tasso terminale’ a un livello neutrale (calcolato al 2,25% circa) e a che ritmo arrivarci. Dipenderà dall’inflazione, che dovrebbe tornare a salire per motivi statistici a fine anno, prima di assestarsi intorno al 2% nel corso del 2025. E dalla crescita, dove evidentemente il governatore italiano vede pochi motivi per essere ottimisti. La crescita dell’area euro è tornata ai massimi di due anni allo 0,4% nel terzo trimestre, la Germania è tornata a crescere dello 0,2%, la Francia dello 0,4 e la Spagna dello 0,8%. Ma l’Italia al contrario è tornata alla crescita zero, come non accadeva da fine 2020, nel trimestre estivo.

“L’economia europea rimane fiacca; pesano i tassi di interesse reali ancora elevati e il venir meno degli stimolo fiscali degli anni scorsi. L’economia italiana ne sta risentendo”. Sullo sfondo c’è la necessità di rilanciare le riforme. La Germania non sembra aver superato la sfida strutturale alla sua economia. L’Italia si è fermata col venir meno dei bonus edilizi anche se riceve ancora lo stimolo del Pnrr. In molti avvertono che la crescita frenerà ancora una volta esaurita la spinta degli aiuti Ue. Il governo – avverte Panetta – “ha una responsabilità importante per dare credibilità al progetto europeo, realizzando gli investimenti e le riforme previsti dal Pnrr, riducendo l’incidenza del debito pubblico sul prodotto e affrontando con decisione i nodi irrisolti”: ossia “scarsa capacità innovativa e pochi investimenti, un sistema produttivo frammentato e orientato verso comparti tradizionali, le carenze della pubblica amministrazione e delle infrastrutture, la bassa partecipazione al mercato del lavoro”.

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Intesa alza a 9 miliardi le stime dell’utile per il 2025

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Intesa Sanpaolo batte le attese e mette a segno i “migliori nove mesi di sempre” con un utile di 7,2 miliardi di euro. Un risultato che consente al gruppo bancario di alzare a 9 miliardi la stima del risultato netto per il 2025. “Siamo i primi nell’Eurozona per crescita dei ricavi e nel rapporto tra commissioni e attività assicurativa rispetto al totale dei ricavi”, afferma il consigliere delegato e ceo, Carlo Messina (nella foto Imagoeconomica in evidenza) . Intesa tira il calcio d’inizio delle trimestrali delle banche italiane e alza il velo su risultati ad “elevata redditività sostenibile e basso profilo di rischio”. Elementi che consentono al gruppo di svolgere un ruolo “unico in Italia a favore dell’economia reale e sociale”, e che creano ottimismo tra gli investitori, tanto da collocare Ca’ de Sass ai vertici europei per valore di Borsa.

Una posizione che “ci colloca nello stesso raggruppamento di Bnp Paribas e Santander, banche con una dimensione di bilancio ben superiore alla nostra”, aggiunge Messina. Andando a scorrere i numeri dei primi nove mesi emerge una performance in netta crescita. I proventi operativi netti segnano un aumento dell’ 8,5%, grazie ad una crescita dell’11,5% degli interessi netti, del +7,9% delle commissioni nette e del +2,8% delle attività assicurativa. Bene anche il terzo trimestre dove l’utile netto sale a 2,4 miliardi di euro, rispetto a 1,9 miliardi dello stesso periodo dell’anno scorso. Elementi che dimostrano come l’attuazione del piano d’impresa procede a “pieno ritmo”, e consentono di confermare l’obiettivo di utile netto per il l’anno in corso di oltre 8,5 miliardi, con interessi netti a oltre 15,5 miliardi. In Borsa (Ftse Mib -0,64%) il titolo ha chiuso con una lieve flessione dello 0,19% a 3,94 euro.

Intesa Sanpaolo conta di poter raggiungere risultati di “alto profilo” anche in un contesto di riduzione dei tassi d’interesse. E questo “grazie alla significativa diversificazione del nostro business model – sottolinea il ceo – e al risparmio che ci affidano famiglie e imprese” che ammonta a circa 1.400 miliardi. E sul fronte del wealth management la banca conta di poter avere entro il 2027 un totale di 20.000 persone in Italia dedicate alla crescita del settore. La creazione di un presidio unitario delle “attività del wealth management ne favorisce la crescita e la semplificazione operativa delle fabbriche prodotto”, afferma la banca. Questa serie di valutazioni, aggiunte ad una riduzione dei costi che arriverà anche grazie ad un consistente numero di uscite volontarie e nuovi assunzioni, sono alla base della revisione al rialzo dell’obiettivo di risultato netto per il 2025. Buone notizie arrivano per gli azionisti che potranno contare su una forte distribuzione del 70% dell’utile netto.

Dall’inizio dell’anno sono stati già accumulati dividenti per 5 miliardi, di cui circa 3 miliardi, pari a 17 centesimi di euro per azione, verranno verranno messi in pagamento il 20 novembre, come acconto sui risultati del 2024. Delle cedole già maturate nei primi nove mesi, il 40% è destinato alle “famiglie italiane e alle Fondazioni azioniste”, spiega la banca sottolineando inoltre che “le imposte per Intesa Sanpaolo sono pari a 4,6 miliardi di euro, in crescita di 700 milioni rispetto ai primi nove mesi del 2023”. E ci sarà poi spazio per significativi piani di riacquisti di azioni. Bisognerà attendere fino alla “fine dell’anno prima di proporre la quantità, ma sono convinto che si potranno considerare buyback significativi”, spiega Messina agli analisti finanziari. Sul fronte dell’esposizione verso la Russia, intanto, si riduce ulteriormente di oltre l’87%, pari a circa 3,2 miliardi, rispetto a fine giugno 2022 e scesa allo 0,1% dei crediti a clientela complessivi del gruppo.

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