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L’Ue avverte la Georgia: cambi rotta o non entra

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La Georgia cambi rotta o l’adesione all’Ue sarà impossibile. All’indomani delle contestatissime elezioni nel Paese caucasico ma, soprattutto, della virata autoritaria che il governo di Tbilisi ha imboccato dalla scorsa primavera, Bruxelles si ritrova costretta a lanciare un doloroso ultimatum. Nel pacchetto annuale sul dossier allargamento la Commissione Ue ha messo nero su bianco che “la linea di condotta intrapresa dal governo mette a repentaglio il percorso della Georgia verso l’Unione, arrestando di fatto il processo di adesione”.

Il problema è che il partito che ha governato finora, Sogno Georgiano, è destinato a continuare a farlo con il pieno sostegno di Mosca. Il dossier Georgia resterà centrale nei prossimi giorni e sarà tra quelli più caldi della riunione della Comunità Politica europea, che si terrà il 7 novembre a Budapest alla vigilia del summit informale dei 27. Quel giovedì i leader europei si riuniranno a cena per parlare proprio del caso Georgia, oltre che dell’elefante nella stanza del vertice, le elezioni negli Usa. I due temi, seppur non in prima battuta, sono collegati. Perché una vittoria di Donald Trump darebbe inusitato vigore al principale alleato in Europa del governo filo-russo di Tbilisi: Viktor Orban, che è anche presidente di turno dell’Ue.

Non a caso le elezioni in Georgia hanno portato all’apice le tensioni tra Bruxelles e diversi Paesi membri e il governo ungherese. Budapest è arrivata a convocare l’ambasciatore svedese dopo che – questa l’accusa del ministro degli Esteri magiaro Peter Szijjarto – il primo ministro Ulf Kristersson ha affermato che Orban potrebbe agire nell’interesse di Mosca. “Parole che vanno oltre i limiti”, ha avvertito il governo ungherese. La questione georgiana è destinata a non spegnersi anche perché, nella Repubblica caucasica, è tutt’altro che finita. La Procura generale ha annunciato di avere aperto un’inchiesta su possibili frodi nelle elezioni di sabato scorso, andando così incontro alle opposizioni. Almeno apparentemente, perché l’iniziativa dei pm, per i migliaia che hanno protestato contro i presunti brogli, potrebbe trasformarsi in un boomerang. Poche ore dopo, infatti, la presidente della Repubblica Salomé Zourabichvili, punto di riferimento dei partiti europeisti, ha annunciato di aver rifiutato la convocazione della Procura.

“L’ufficio del procuratore sembra aspettarsi che io fornisca delle prove. In qualsiasi indagine standard, è compito dell’organo investigativo raccogliere le prove, non il contrario. Non ho mai visto un’autorità investigativa chiedere a un presidente prove relative alle elezioni”, ha spiegato in una conferenza stampa. E la presidente non ha nascosto la crescente tensione che sta vivendo il Paese. “Quello a cui stiamo assistendo è un tentativo di alimentare la tensione e la paura tra la frustrazione per i voti rubati. C’è una pressione psicologica diretta sia a voi che a me. Ma io non ho paura”, ha avvertito Zourabichvili. Sulla legittimazione o meno del voto l’Ue sta mantenendo una certa prudenza. “Dobbiamo rimanere calmi e tecnici, ma anche tenere conto dell’impeto che si è creato ed evitare dichiarazioni incendiarie”, ha spiegato l’Alto Rappresentante Ue Josep Borrell. Decisivi, per il futuro delle relazioni tra Ue e Georgia, saranno gli esiti del riconteggio dei voti e il rapporto degli osservatori internazionali dell’Osce.

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Raid di Israele, distrutti principali siti militari siriani anche vicino Damasco

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Forti esplosioni sono state udite a Damasco, riporta un giornalista dell’agenzia di stampa Afp. Le esplosioni a Damasco sono state udite poco dopo che la ong Osservatorio siriano per i diritti umani aveva riferito di circa 250 raid israeliani in Siria dalla caduta del presidente Bashar al-Assad, domenica. Secondo la ong, da domenica Israele ha preso di mira le principali installazioni militari siriane in tutto il Paese con l’obiettivo di distruggerle. Israele “ha distrutto i principali siti militari in Siria” lanciando circa 250 attacchi dalla caduta del presidente Bashar al-Assad: lo riporta la ong Osservatorio siriano per i diritti umani. Secondo la ong – che ha sede nel Regno Unito e si avvale di una vasta rete di fonti in tutta la Siria – Israele ha bombardato aeroporti, radar, depositi di armi e munizioni e centri di ricerca militare, e ha danneggiato le navi della Marina siriana attaccando un’unità di difesa aerea vicino al grande porto di Latakia, nel nord-ovest del Paese.

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Putin non vede Assad e tratta per salvare le basi

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La bandiera del deposto regime è stata sostituita da quella degli ex oppositori anche sull’ambasciata siriana a Mosca, e la sede diplomatica ha detto di essere ora in attesa di “istruzioni” da parte del nuovo governo. Non ci poteva essere segnale più chiaro di come il vento sia cambiato ma anche dell’incertezza che regna sul futuro, mentre il Cremlino cammina sul filo del rasoio cercando di non voltare completamente le spalle all’ex presidente ma anche di salvare il salvabile, a partire dalle sue basi sul Mediterraneo. E’ stato Vladimir Putin a prendere personalmente la decisione di concedere asilo “per motivi umanitari” ad Assad e alla sua famiglia, ha detto il portavoce Dmitry Peskov.

Una decisione fatta filtrare nella serata di domenica da “una fonte” all’agenzia Tass. Nessun annuncio ufficiale, insomma, e nessun incontro previsto, almeno pubblico, tra Putin e il suo ex protetto. “Non c’è alcun colloquio del genere nell’agenda ufficiale del presidente”, ha sottolineato Peskov, rifiutando anche di precisare quando sia stato l’ultimo incontro tra i due, anche se i media siriani avevano parlato di una visita segreta di Assad a Mosca alla fine di novembre. Il copione rispecchia la necessità della leadership russa di cercare di creare o mantenere contatti con i nuovi padroni a Damasco, con l’obiettivo primario di salvare la base navale di Tartus – l’unica di Mosca sul Mediterraneo – e quella aerea di Hmeimim, nella vicina Latakia. “E’ troppo presto per parlarne, in ogni caso questo sarà argomento di discussione con coloro che saranno al potere in Siria”, ha osservato il portavoce.

Ma per capire chi saranno costoro anche Mosca dovrà aspettare la formazione del governo, soppesare il ruolo e l’importanza delle varie figure e le influenze esercitate da potenze regionali e mondiali. Per questo, ha affermato Peskov, mentre la Siria si avvia ad attraversare “un periodo molto difficile a causa dell’instabilità”, è “molto importante mantenere il dialogo con tutti i Paesi della regione”. Compresa la Turchia, il principale sostenitore dei ribelli e jihadisti che hanno rovesciato Assad. La Russia cerca dunque di riprendersi dallo shock per lo smacco subito. “Quello che è successo probabilmente ha sorpreso il mondo intero, e noi non facciamo eccezione”, ha ammesso Peskov.

Mentre il segretario generale della Nato, Mark Rutte, non ha resistito alla tentazione di punzecchiare Mosca, insieme con Teheran, accusandole di essersi dimostrate “partner inaffidabili” di Assad. I media e i blogger militari russi si sono mostrati quasi altrettanto impietosi nell’analisi di quanto successo, e dei costi che Mosca potrebbe essere chiamata a pagare. Emblematico il titolo dell’autorevole giornale del mondo imprenditoriale Kommersant: ‘La Russia ha perso il principale alleato in Medio Oriente’. Mentre il canale Telegram Rybar, che vanta legami con il ministero della Difesa, mette in guardia dalle conseguenze di una possibile perdita delle due basi. Sia quella di Tartus sia quella di Hmeimim “hanno svolto un ruolo logistico importante per le operazioni della Russia in Libia e nel Sahel”, sottolinea il blog. Un rimedio efficace potrebbe essere l’apertura di una nuova base a Port Sudan, sul Mar Rosso. “Ma la guerra civile in Sudan non è ancora finita, il che complica i negoziati in corso”, valuta Rybar. Mentre un porto sulla costa libica della Cirenaica, di cui si parla da tempo, sarebbe troppo lontano per garantire i rifornimenti regolari con aerei da trasporto a pieno carico.

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Tv, Jolani sceglie premier di Hts per governo transitorio

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Sarà Muhammad Bashir, e non l’esiliato ex premier siriano Riad Hijab o l’attuale primo ministro Muhammad Jalali, il capo del governo di transizione a Damasco. Lo riferisce la tv al Jazira nella capitale siriana secondo cui Muhammad Bashir è il premier del “governo di salvezza”, che da anni amministra nel nord-ovest siriano le aree sotto controllo di Hayat Tahrir ash Sham (Hts), guidata da Abu Muhammad Jolani (Ahmad Sharaa). La scelta di Muhammad Bashir sarebbe stata imposta, afferma la tv, dallo stesso Jolani.

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