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Stretta in Gran Bretagna sugli assembramenti, a Parigi si teme il peggio

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Da ultimo della classe a capofila del distanziamento sociale, in attesa che la Francia concretizzi fra 8-10 giorni quei provvedimenti “difficili” (nuovi lockdown o altro) paventati oggi. Boris Johnson reagisce al rimbalzo di contagi da Covid – segnalato negli ultimi giorni nel Regno Unito come altrove in Europa e nel mondo – annunciando “misure decise” per “tenere il virus sotto controllo”, possibilmente senza fermare la spinta verso il ritorno al lavoro e a scuola dei sudditi di Sua Maesta’: vitale per l’economia e la societa’ mentre il cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, conferma dalla fine di ottobre lo stop ai sussidi miliardari di Stato versati finora a quasi 10 milioni di lavoratori costretti al congedo. Il tono stavolta e’ categorico, con minacce di ammende e persino di “arresti”, oltre agli appelli accorati. Da lunedi’ in Inghilterra verra’ ripristinato un limite stringente sugli “assembramenti”, con il divieto di qualsiasi raduno privato di gruppi superiori a 6 persone in casa come nei pub, nei ristoranti o nei caffe’, all’interno come all’aperto. Un rigore che ricorda (in parte) quello dei mesi duri della pandemia e impone per la prima volta alla nazione piu’ popolosa del Regno un giro di vite piu’ severo rispetto a Scozia, Galles o Ulster. “La regola del 6”, ribattezzata cosi’ dal premier Tory, non varra’ ovviamente per scuole, universita’ o uffici, come per matrimoni, funerali ed eventi sportivi che seguano le cautele anti-coronavirus previste dalle linee guida governative. Ma per il resto sara’ draconiana, con poteri rafforzati e reali alla polizia, la quale potra’ infliggere multe da 100 fino a 3200 sterline in caso di recidiva. E, trattandosi di “violazioni di legge”, addirittura procedere all’arresto di chi dovesse opporre resistenza. Non solo: incalzato dai giornalisti sulla legge post Brexit con cui il suo governo si prepara a rimettere in discussione le intese di divorzio dall’Ue anche a costo di “violare il diritto internazionale”, BoJo ha ignorato la contraddizione dell’improvviso richiamo alla legalita’ in tema di pandemia e ha tirato fuori un inedito atteggiamento ultimativo anche sull’uso obbligatorio della mascherina nei luoghi pubblici. Mentre in attesa di un vaccino che non e’ “ancora certo”, come l’intoppo alla sperimentazione di Oxford suggerisce, ha evocato l’arma dei “test di massa” per assicurare una normalita’ piena rinviata comunque di un anno o giu’ di li’. La svolta e’ d’altronde conseguenza di dati definiti “preoccupanti” sull’ondata di ritorno tardo estiva dei contagi: impennatisi a 2.500-3.000 giornalieri dopo essere scesi sotto quota 1.000 per tutto agosto, e con il timore del trend ancor piu’ allarmante di Francia o Spagna all’orizzonte. Da Parigi Jean-Francois Delfraissy, presidente del Consiglio scientifico che affianca i vertici politici nell’emergenza, ha fatto sapere oggi stesso che il governo francese “sara’ obbligato a prendere decisioni difficili entro 8 o 10 giorni al massimo”. E ha messo in guardia dal “rassicurarsi ingannevolmente” sulle ricadute attualmente limitate dell’infezione poiche’ non e’ affatto escluso lo spettro di “un aumento esponenziale in un secondo tempo”. Incubi condivisi oltremanica almeno in prospettiva da Johnson, che nel botta e risposta ai Comuni del Question Time del mercoledi’ con il leader laburista Keir Starmer ha rivendicato la scelta di stringere le maglie, ben al di la’ dei lockdown locali ripristinati in queste settimane in alcune singole aree. “Sfortunatamente alcuni non rispettano le indicazioni”, ha ammesso Boris dopo le strizzate d’occhio dei mesi passati al preteso buonsenso dei connazionali, se non al loro individualismo libertario; mettendo in relazione questi comportamenti – concentrati soprattutto fra i ventenni, secondo i dati ribaditi nella successiva conferenza stampa a Downing Street dai suoi consiglieri medico scientifici Chris Whitty e Patrick Vallance – con il nuovo “innalzamento dei casi”. Un quadro su cui “dobbiamo agire adesso”, ha concluso il primo ministro, per sperare ancora di “scongiurare un altro lockdown nazionale su larga scala” nel prossimo futuro.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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