Un convegno sull’Europa, o meglio, sugli Stati Uniti d’Europa. Organizzatore principale, la Fondazione Caponnetto. L’appuntamento si terrà sabato prossimo, 29 marzo, a partire dalle 15 nella Sala Capitolare della Basilica di Santo Spirito a Firenze.
Abbiamo raggiunto il presidente della Fondazione, Salvatore Calleri, per chiedergli il senso e lo scopo di questo convegno, che arriva in un momento molto difficile della storia europea. Un momento storico che vede, forse per la prima volta da secoli, il rischio di un forte ridimensionamento del ruolo politico del Vecchio Continente nella storia. Salvatore Calleri è anche ideatore del sito www.statiunitieuropa.com, che organizza l’evento e padre fondatore del movimento europeo federalista Tulipani Rossi.
“Ho sempre pensato che il federalismo europeo fosse fondamentale per le nostre società. L’Europa Federale rappresenta un sogno, è davvero a mio parere “l’utopia necessaria”, perché negli ultimi ottant’anni il nostro continente ha vissuto sostanzialmente, con alcune eccezioni temporanee, un periodo di pace. E quando il modello confederale imperfetto, come quello dell’attuale Unione Europea, inizia a andare in crisi, come succede generalmente a tutti i modelli confederali dopo certo periodo, la conseguenza è il venir meno dell’autorevolezza dell’Unione Europea con il rischio reale di un ritorno dei venti di guerra. Un’ipotesi che un’ Europa Federale scongiurerebbe, riducendo il rischio di una nuova guerra mondiale.
Ma qual è la differenza fra struttura federalista e stato confederale?
Si tratta di due opposti. La confederazione è un’alleanza di Stati, un atto di diritto internazionale che lascia alle nazioni prerogative sovrane e che può modificarsi solo con lo strumento dell’unanimità, non potendo prevalere un interesse nazionalistico sull’altro. Lo Stato Federale, invece, si costituisce con la Costituzione federale, un atto nazionale che riconosce i poteri sovrani alla sola federazione, con gli interessi nazionali che sono sottordinati all’interesse superiore della Federazione. Una distinzione di base, storica, che se per molti non è più applicabile alla realtà odierna, mantiene a mio avviso la sua validità di fondo per comprendere le dinamiche inevitabilmente complesse del momento. Il sistema federale attualmente esiste in Canada, in Svizzera, in Germania, e, teoricamente, negli Stati Uniti. Dico teoricamente perché secondo il mio parere, potrebbe andare in crisi con l’attuale presidenza.
Si può passare da modello confederale a federale?
Spesso capita che si cominci con un modello confederale per poi passare a quello federale, sulla base ad esempio di una prima esigenza di collaborazione e di alleanza che poi si trasforma in qualcosa di più. Spesso, però, questa trasformazione avviene sotto la spinta di una guerra o a seguito di una guerra. Negli Stati Uniti la famosa guerra di Secessione non fu esclusivamente una guerra per liberare dalla schiavitù le persone di colore: la causa principale fu la differenza fra modello federale e confederale. Vinsero i Federali, ma al prezzo di 600mila morti. Persino la pacifica Svizzera ha avuto una Guerra civile a metà ‘800. È rimasto il nome Confederale nel titolo di Repubblica, ma la Costituzione è in toto federale.
Ciò che si augura per l’Europa è quindi di imboccare con chiarezza la strada federale?
È l’unico percorso che vedo per rendere l’Europa autorevole. Perché i modelli federali che hanno una strategia comune e uno spirito comune aumentano la loro forza, ritrovando l’autorevolezza da un punto di vista geopolitico, quella che manca ormai totalmente all’Unione Europea. Tra l’altro, non solo bisognerebbe essere chiari nella scelta del modello federale, ma ritengo anche che non tutti i 27 Paesi appartenenti alla UE siano pronti per questo scatto, perciò si potrebbe pensare a un primo nucleo, magari formato da una decina di Paesi fra cui quelli che hanno fondato la Ceca nel 1951.
Compresa l’Italia quindi?
L’Italia dovrebbe essere uno dei Paesi Fondatori.
Ma sembra invece che la posizione dell’attuale premier sia proprio il contrario, dal momento che si è espressa favorevolmente per un modello che sembra ricalcare in pieno le linee fondanti del confederalismo.
Non amo entrare in polemica. Mi piace la dialettica. Sono una persona pragmatica e ritengo la posizione della premier legittima, confederale, che comprendo ma non condivido. Del resto la sua posizione è da sempre inserita nei programmi elettorali.
Una posizione che in questo momento sbarra la strada a qualsiasi ipotesi di federalismo.
Ovviamente. Infatti l’Italia potrà tornare su questo quando – e se – l’altro fronte vincerà le prossime elezioni. E anche in questa prospettiva, bisognerà che tra i federalisti si crei unità e compattezza. Tornando sulla posizione espressa dalla premier, contraria al federalismo, non bisogna però fare l’errore di considerare il federalismo un modello a cui aderisce esclusivamente la Sinistra.
Per esempio il federalismo che a me piace di più, benché mi piaccia molto pure il federalismo di Ventotene, espressione del socialismo libertario in cui mi riconosco, è quello di Churchill: un conservatore grazie al quale non hanno vinto i nazifascisti. Invito i conservatori europei a prenderlo come esempio anche sul federalismo.
Tornando al momento storico, che ne pensa del piano ReArm (che sta cambiando nome..) lanciato da Von Der Leyen?
Parto con il dire che non mi piace il termine. E’ necessario evitare i termini bellicisti. Vogliamo una difesa autorevole e un esercito unico? Dobbiamo utilizzare un altro tipo di linguaggio. Detto questo, lo trovo un piano privo di autorevolezza, come dimostra il fatto che si è già quasi impantanato. Stabilire 800 miliardi di spesa che esistono solo sulla carta, dividendoli fra 27 paesi con una parte che non influirà sul debito e una parte che invece lo farà, mi spaventa. E’ importante un esercito forte che sia ben armato, ma non possiamo permetterci il taglio al welfare, per una ragione socialmente forte: se la democrazia non produce benessere, arrivano i totalitarismi. Tirando le fila: stato federale, debito unico, esercito federale che permetterebbe la riduzione della spesa, l’utilizzo delle migliori risorse pur dentro lo scenario atlantico, semplificando la catena di comando della Nato, rendendola più agile.
“Abbiamo uno scontro mondiale fra gli autoritarismi – anche economici- e le democrazie, che si devono evolvere. E’ uno scontro che va al di là del concetto destra-sinistra ma che vede, da un lato, un ultraliberismo diventato fine a se stesso, che conduce paradossalmente all’innalzamento dei dazi e fagocita persino il liberismo da cui è nato e che oggi rischia di soccombere sotto l’estremismo, e dall’altro chi vuol porre fine alle disuguaglianze economiche salvaguardando le libertà sociali e civili. La salvaguardia o meno della democrazia si gioca su come finirà questo scontro e nella scelta di posporre agli interessi privati e nazionalistici, quelli pubblici ricomposti in un sistema federale che accolga le diversità delle patrie nell’unità dello Stato dando spazio pure alle forme storiche autonomiste”.