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Economia

Spunta spending per enti e imprese con aiuti statali

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Spunta tra le pieghe della manovra approvata alla Camera una spending review per gli enti, società e organismi che ricevono contributi pubblici “di entità significativa”. La misura è contenuta all’interno di uno degli articoli più combattuti della legge di Bilancio: quella sui revisori dei conti per quanti – appunto – ricevono aiuti statali. Revisori del Mef in una prima versione contestatissima da Forza Italia, che aveva fatto parlare addirittura di “Stasi” ad Antonio Tajani. Niente ‘controllori’ del Tesoro, alla fine, ma comunque una stretta sui controlli per quanti ricevono somme cospicue. Ma nella scrittura finale dell’emendamento per questi soggetti ci sarà anche una stretta sugli acquisti di beni e servizi.

La norma prevede, infatti, che non potranno spendere per queste voci “un importo superiore al valore medio sostenuto per le medesime finalità negli esercizi 2021, 2022 e 2023”. Più soft la spending review per le fondazioni lirico-sinfoniche e i teatri di tradizione, che hanno evidentemente visto una flessione negli anni della pandemia. Per loro la media di riferimento sarà quella degli “esercizi finanziari 2022 e 2023”.

La misura, che è legata comunque, a un decreto ministeriale per l’attuazione, potrebbe cambiare ma rischia di impattare non solo, ad esempio su grandi teatri e fondazioni ma anche su imprese che abbiano fruito di aiuti come possono essere quelli legati a Transizione 5.0. Insomma una norma destinata a far discutere. Così come non sembra fermarsi la tensione su altri temi caldi come quello dello stop alle multe ai no vax. La misura, voluta dalla Lega, è entrata nel decreto Milleproroghe, il provvedimento, ancora non bollinato, che approderà in Parlamento, con tutta probabilità al Senato, all’inizio del prossimo anno. Durante la discussione degli odg alla manovra Forza Italia si è smarcata sulla questione con diversi parlamentari che hanno sostenuto una proposta del Pd per procedere con le multe.

“Quelle multe sono giuste e comminate a norma di legge”, sottolinea l’azzurro Giuseppe Mangialavori, presidente della commissione Bilancio di Montecitorio. La Lega, dal canto suo non sembra voler mollare la presa sulla questione. “Scripta manent”, sottolinea Alberto Bagnai ricordando il programma elettorale del centrodestra. “Rispetto le sensibilità di tutti i colleghi – osserva – e siamo in Parlamento per confrontarci sulle diverse opinioni. Mi limito a ricordare che il programma condiviso dal centrodestra a settembre 2022 insisteva sul fatto che il contrasto alla pandemia dovesse avvenire ‘senza compressione delle libertà individuali'”. Insomma, la partita sul decreto al Senato potrebbe essere complicata.

Oltretutto dal fatto che i numeri per la maggioranza sono meno ‘pesanti’ rispetto alla Camera nelle commissioni e che una defezione di Forza Italia può far andare sotto il governo come accaduto sul canone Rai. Altro tema di polemica, con qualche malumore nella maggioranza, ma prevalentemente tra centrodestra e centrosinistra è quello dei micro-interventi a pioggia voluti dal centrodestra in una sorta di riedizione della cosiddetta ‘legge mancia’. Dai teatri parrocchiali alle associazioni di calcio a otto, dalle fontane alla piantumazione dei parchi. Ma anche associazioni di gelatai artigianali o piccoli festival musicali. Sono tante le mini-misure.

“Mentre bocciano il salario minimo – va all’attacco il Dem Marco Sarracino – approvano mance per comuni che neanche esistono”. L’operazione viene comunque rivendicata dal centrodestra anche come un modo per aiutare i territori. E’ l’esempio dei fondi che dovrebbero andare alla realizzazione del Poliambulatorio di prossimità ‘Padre Pino Puglisi’, il sacerdote palermitano ucciso dalla mafia. Un intervento del quale “sono davvero orgoglioso”, dice il vicepresidente della Camera Giorgio Mulé.

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Economia

Obbligo polizze anche per immobili abusivi in sanatoria

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Anche gli immobili su cui è in corso una sanatoria o un condono dovranno essere assicurati contro le catastrofi. Per gli immobili in affitto, invece, l’indennizzo che spetta al proprietario andrà usato per ripristinare il bene danneggiato o distrutto. Sono alcune delle principali modifiche del decreto polizze catastrofali che, incassato il primo via libera in commissione, sarà da domani in Aula alla Camera. Nulla di fatto invece per l’ipotesi di rendere i costi delle polizze deducibili: la richiesta bipartisan non è passata, ma il governo non esclude di valutarla in manovra. Con una seduta lampo di circa un’ora, la commissione Ambiente di Montecitorio ha iniziato e concluso l’esame degli emendamenti, votando il mandato al relatore Gianpiero Zinzi (Lega).

Le modifiche approvate (due emendamenti del relatore e quattro riformulati) al decreto, che proroga l’obbligo di assicurarsi al primo ottobre 2025 per le medie imprese e al primo gennaio 2026 per le piccole e micro imprese, mirano soprattutto a chiarire alcuni dubbi sollevati dalle imprese. Uno riguarda la questione degli immobili con abusi edilizi, che la norma esclude dall’obbligo di assicurazione: la modifica stabilisce che vadano assicurati “esclusivamente” gli immobili costruiti o ampliati con “un valido titolo edilizio”, ma anche quelli “oggetto di sanatoria o per i quali sia in corso un procedimento di sanatoria o condono”. Per gli immobili non a norma, che risultano quindi non assicurabili, viene quindi specificato che non avranno diritto ad indennizzi e contributi pubblici. Per gli immobili di proprietà di terzi, che vanno assicurati dall’imprenditore, si stabilisce che l’indennizzo spettante al proprietario vada utilizzato “per il ripristino dei beni danneggiati”.

In caso di inadempimento il proprietario ha comunque diritto a “una somma”, per compensare il mancato profitto nel periodo di inattività dell’impresa, “nei limiti del 40% dell’indennizzo percepito”. Un emendamento del relatore chiarisce poi che il valore dei beni da assicurare venga determinato considerando “il valore di ricostruzione a nuovo dell’immobile” o “il costo di rimpiazzo dei beni mobili” o il costo “di ripristino delle condizioni del terreno interessato dall’evento calamitoso”. Vengono inoltre esclusi dallo scoperto o franchigia fino al 15% del danno le grandi imprese che “stipulano un programma assicurativo globale valido per tutto il gruppo”. E’ infine previsto il coinvolgimento del Garante per la sorveglianza dei prezzi che, insieme all’Ivass, svolgerà “la funzione di controllo e verifica”, per evitare speculazioni sui premi assicurativi.

Nulla di fatto invece per la richiesta avanzata sia dalla maggioranza che dall’opposizione di prevedere una deducibilità dei costi. Un tema che non può essere trattato in un provvedimento di proroga, spiega il sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che però non chiude: il tempo c’è, “magari troverà spazio nella prossima legge di bilancio”.

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Corte Conti Ue dura su Pnrr: scollegato dai risultati

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Duro bilancio della Corte dei conti europea sul dispositivo per la Ripresa e la resilienza, soprattutto per lanciare un avvertimento sul prossimo Bilancio Ue e l’ipotesi di legare di nuovo fondi europei a riforme o risultati. “Sebbene il Pnrr abbia svolto un ruolo cruciale nella ripresa post-pandemica dell’Ue, abbiamo riscontrato diverse debolezze in termini di performance, responsabilità e trasparenza”, ha spiegato Ivana Maletić, membro della Corte. “I finanziamenti di futuri strumenti basati sulla performance dovranno essere meglio collegati ai risultati e disciplinati da regole chiare – ha aggiunto il coautore Jorg Kristijan Petrovič -: altrimenti, questo sistema non andrebbe utilizzato”.

Secondo gli auditor europei, in particolare, il Recovery “non è realmente uno strumento che eroga finanziamenti sulla base della performance”, perché “pone maggior enfasi sui progressi”. Anche se i pagamenti sono legati a traguardi e obiettivi, si riferiscono più spesso a output (come edifici ristrutturati o chilometri di ferrovie) che a risultati concreti, rendendo difficile valutare l’efficacia delle misure. La Commissione però non ci sta: pur dicendosi “lieta” che sia stato riconosciuto l’impatto positivo del Pnrr, afferma che “non sembra basato su alcun riscontro” il giudizio che il Recovery non è basato sulla performance.

Lo è “chiaramente”, rivendica. “Incentivando gli Stati membri ad affrontare le loro sfide strutturali, ha accelerato l’attuazione di riforme vitali in aree come occupazione, istruzione e ambiente imprenditoriale”, ha anche segnalato il vicepresidente esecutivo Raffaele Fitto (Nella foto Imagoeconomica in evidenza). L’analisi degli auditor europei è comunque impietosa, anche se riprende giudizi già espressi dalla Corte dei Conti a Lussemburgo in più occasioni: “Le informazioni sui risultati sono modeste”, afferma, e “l’efficienza della spesa e il rapporto costi-benefici non possono essere misurati”. La Commissione “non raccoglie dati sui costi effettivi”, accusa. E di conseguenza, “non è chiaro quello che i cittadini ottengono in concreto grazie a questi fondi”.

La Corte lamenta anche che “non esiste un quadro completo su chi siano i destinatari finali dei fondi”. L’erogazione agli Stati membri non garantisce che il denaro abbia raggiunto l’economia reale. In alcuni casi, i fondi sono rimasti presso istituzioni intermedie, come la Banca europea per gli investimenti. Nonostante alcuni miglioramenti recenti, “i sistemi di controllo del Recovery non sono ancora abbastanza robusti”. Sono affidati ai singoli Stati, ma ci sono debolezze e la Commissione “non può imporre rettifiche finanziarie” per singole violazioni, salvo casi gravi, e “alcuni Paesi hanno ricevuto consistenti finanziamenti ancor prima di avere completato i progetti”. E ancora, “solo la metà circa delle misure ha prodotto risultati concreti”. E “l’assenza di indicatori adeguati limita in modo significativo la possibilità di valutare l’impatto delle riforme”. Ci sono metodologie su traguardi e obiettivi diverse per ogni Stato con un “rischio di disparità di trattamento”.

A fine 2024 erano state presentate 128 delle 151 richieste di pagamento previste (85%), ma con forti disparità tra Paesi. Mentre il 42% dei fondi è stato erogato, solo il 28% dei traguardi e obiettivi è stato raggiunto: “una quota significativa dei finanziamenti è stata versata senza che le misure corrispondenti fossero state completate”. Insomma, l’invito è quello di evitare di ripetere in futuro un modello che “non garantisce informazioni sui risultati, sui costi effettivi e sui beneficiari finali”. Per strumenti così è necessario che “i finanziamenti siano chiaramente collegati ai risultati” e che vi siano “regole chiare e comuni per tutti gli Stati membri”. “Una semplice copia e incolla non è un’opzione”.

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Economia

Bce accelera l’euro digitale, PostePay tra i 70 partner

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La Bce scalda i motori sull’euro digitale, con un ‘innovation hub’ che riunirà startup, aziende fintech, mondo dell’accademia, fornitori di servizi di pagamento: obiettivo, far stare al passo il progetto di valuta digitale con l’innovazione ora che dall’amministrazione Trump arriva un’offensiva che fa perno, invece, sulle stablecoin come mezzo di pagamento per puntellare il dollaro. La Banca centrale europea la chiama “piattaforma per l’innovazione”, con gruppi di lavoro che si riuniscono regolarmente, fatta di quasi 70 partner impegnati in sperimentazione, innovazioni, simulazioni e test di quello che – previa decisione finale di Francoforte a fine anno una volta avuto il via libera dell’Europarlamento – sarà l'”ecosistema” dell’euro digitale. Un segnale alle obiezioni del settore bancario e dei payment service providers, dove alcuni all’euro digitale preferirebbero un ecosistema europeo privato superando l’attuale frammentazione.

Il principio è che la Bce fornirà l’infrastruttura, con un euro digitale di base gratuito per l’inclusione finanziaria, ma i privati potranno arricchire con servizi aggiuntivi. Ma anche un’apertura all’innovazione che parla implicitamente alla politica: “l’ampiezza e creatività delle proposte sottolineano il potenziale dell’euro digitale come catalizzatore d’innovazione finanziaria in Europa”, commenta Piero Cipollone che nel board Bce cura il progetto dell’euro digitale. Sullo sfondo ci sono i timori crescenti – anche di stabilità finanziaria – di Francoforte per l’alleanza dell’amministrazione Trump col mondo crypto, in particolare le stablecoin, per puntellare il dollaro e non nasconde la propria avversità alle valute digitali di banche centrali come il progetto europeo.

I partner di questo ‘innovation hub’, divisi fra “pionieri” e “visionari”, vanno dai big dell’high tech e della consulenza come Infineon, Sap, Accenture e Kpmg, al Politecnico di Milano, Sda Bocconi e Fintech Lab Baffi Centre fino al settore bancario con per l’Italia l’Abi Lab. Dai fornitori di pagamenti elettronici come la spagnola Bizum o PostePay, col potenziale di dare accesso all’euro digitale agli anziani poco digitalizzati con la rete capillare di Poste, alle startup dell’Ia come l’italiana TechAi Lab. Fino a Coti, un ecosistema per le transazioni finanziarie con soluzioni per la privacy basato sulla tecnologia blockchain, opzione cui la Bce guarda con interesse.

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