Il fascicolo per “spionaggio politico o militare”, aggravato dalla finalità di terrorismo con “grave danno” all’Italia. L’analisi delle frequenze, che avrebbe evidenziato che quel velivolo era di produzione russa. E l’ipotesi che la presunta operazione illecita, se venisse confermata, potrebbe essere stata portata avanti da una “mano italiana” e filorussa. Sono tre elementi delle indagini in corso, coordinate dal procuratore di Milano Marcello Viola, dall’aggiunto del pool antiterrorismo Eugenio Fusco e dal pm Alessandro Gobbis e condotte dal Ros dei carabinieri, sul caso del drone che sarebbe passato sopra la sede del centro di ricerca comune della Commissione europea a Ispra (Varese) sul lago Maggiore.
“Non abbiamo osservato alcuna violazione da parte di droni della no-fly zone sopra il sito Ispra della Commissione, né siamo a conoscenza di alcuna specifica minaccia alla sicurezza correlata”, ha dichiarato il portavoce della Commissione, Thomas Regnier, con parole che suonano come una smentita. Dopo un vertice tra inquirenti e investigatori, si è saputo che con gli accertamenti si cercherà di arrivare a una risposta nel più breve tempo possibile, perché allo stato non ci sono certezze, ma solo analisi tecniche da effettuare e già delegate. La Procura chiederà all’Enav e all’Aeronautica militare i tracciati della zona alla ricerca di riscontri sulla presenza del drone. Per ora agli atti c’è la denuncia della sicurezza del centro di ricerca, basata sui dati delle frequenze rilevate da un captatore.
Il captatore, e l’annesso software, avrebbero registrato frequenze basse compatibili con un drone russo, ma che in linea teorica potrebbero essere riconducibili anche ad altro apparecchio di diversa produzione, se sconosciuto a quel software. Al momento, ci sono solo quelle tracce e si cerca la conferma della presenza del drone nei tracciati chesti soprattutto all’Aeronautica, che copre i sorvoli a più bassa quota, come quelli dei velivoli senza pilota. Il captatore è stato sequestrato e verrà analizzato. Alcune persone, come i responsabili della sicurezza, sono stati già sentiti ed è stato chiesto conto pure di quella denuncia arrivata nei giorni scorsi solo dopo il quinto allarme. Sono stati registrati dal software sei sorvoli nell’arco di cinque giorni, due in un giorno solo. I droni prodotti in Russia potevano essere acquistati in Italia solo prima dell’embargo scattato con l’invasione dell’Ucraina e non sono mai stati in commercio, però, quelli ‘dual use’, ossia per scopi civili e militari. Si tratterebbe, comunque, di apparecchi telecomandati da una distanza al massimo di qualche decina di chilometri.
La segnalazione, riservatissima, è arrivata in Procura il 28 marzo, dopo che il centro di ricerca aveva denunciato gli episodi ai carabinieri di Varese. “È in corso una guerra ibrida. Pericolosa quanto sotterranea, costante e asfissiante quanto quotidiana”, ha fatto presente su X il ministro della Difesa Guido Crosetto.
E in mattinata l’inchiesta milanese è stata iscritta a carico di ignoti per spionaggio, reato punito da 15 anni fino all’ergastolo, con l’aggravante della finalità di terrorismo per condotte che “possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto”. O per “destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali”. Gli investigatori si domandano perché, nel caso si tratti di davvero di presunta attività di spionaggio, si sia lasciata una sorta di ‘targa’ russa, utilizzando proprio quel drone e non uno di produzione europea. Una delle ipotesi sul tavolo è che l’obiettivo potesse essere proprio quello di mostrarsi per lanciare un segnale sulla capacità di violare con facilità uno spazio aereo interdetto. Allo stesso tempo, si valuta la possibilità che alcuni italiani filo-russi, come già emerso in un’altra indagine sempre coordinata dal pm Gobbis, possano essersi messi a disposizione per muoversi come “spioni”. In quel caso, che ha riguardato due imprenditori che rischiano il processo, il contatto avvenne via Telegram.