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Sparatoria nella metro, è caccia all’uomo a Bruxelles

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Passamontagna, Kalashnikov e fuga nei tunnel della metro: un normale mercoledì mattina a Bruxelles si trasforma nel copione di un thriller. Per fortuna, quella che poteva essere una tragedia si conclude senza vittime, ma con i sospettati ancora in fuga. Tutto inizia alle 6 del mattino alla fermata della metro Clemenceau. Due individui incappucciati, armati di armi automatiche, escono dalla stazione della metro nel cuore di Anderlecht, a due passi dalla Gare du Midi, e aprono il fuoco in superficie sotto gli occhi sbalorditi dei passanti. Subito dopo, i due si precipitano sottoterra e scompaiono nei tunnel della metropolitana. Scattano immediatamente le ricerche e la polizia belga chiude due linee della metro per tutta la mattina, congestionando l’ora di punta e lasciando migliaia di brussellesi bloccati nelle fermate della metropolitana.

Gli increduli pendolari assistono alle immagini delle telecamere di sorveglianza, che mostrano i due uomini armati camminare sulle banchine della linea 2. Nonostante l’impiego di unità speciali della polizia federale e di cani anti-esplosivo, in serata i sospettati non sono stati ancora trovati, come confermato dalla Procura della Repubblica in un comunicato rilasciato nel tardo pomeriggio. Sempre secondo la Procura, non si sono registrati feriti e “non ci sono indizi di un movente terroristico”. La metropolitana di Bruxelles fu tra gli obiettivi degli attacchi terroristici simultanei del 22 marzo 2016, ma questa volta le ragioni della sparatoria sarebbero legate a “un episodio di violenza armata connesso al traffico di droga”. Battesimo di fuoco, letteralmente, per il neoministro degli Interni, il liberale Bernard Quintin, nominato lunedì scorso, costretto a lasciare l’Aula durante il suo primo dibattito parlamentare da ministro per recarsi sul luogo della sparatoria.

“Non c’è spazio per la violenza a Bruxelles e nelle nostre grandi città. Questa storia è durata abbastanza! Questo governo applicherà tolleranza zero a qualsiasi forma di criminalità”, ha dichiarato il neoministro su X facendo presagire che il governo potrebbe cogliere l’occasione per una svolta securitaria.

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Processo Maradona, la testimonianza shock di Villarejo: “Sedato senza esami. Ricovero in terapia intensiva trasformato in caos”

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Nel quattordicesimo giorno del processo per la morte di Diego Armando Maradona, ha deposto il dottor Fernando Villarejo, responsabile della terapia intensiva della Clinica Olivos, dove il campione fu operato per un ematoma subdurale il 2 novembre 2020, appena 23 giorni prima della sua morte.

Villarejo, 67 anni, con oltre 40 anni di esperienza, ha dichiarato davanti ai giudici del Tribunale Penale Orale n. 3 di San Isidro che Maradona fu operato senza alcun esame preoperatorio, esclusivamente per volontà del suo medico di fiducia, il neurochirurgo Leopoldo Luque, nonostante non vi fosse, secondo i medici della clinica, alcuna urgenza immediata.

Trattamento per astinenza e decisione di sedazione

Tre giorni dopo l’intervento, Villarejo partecipò a un incontro con la famiglia e i medici curanti. Fu allora che Luque e la psichiatra Agustina Cosachov confermarono che l’obiettivo era trattare i sintomi di astinenza da sostanze e alcol.

«Maradona era ingestibile, difficile da trattare dal punto di vista comportamentale», ha riferito Villarejo, aggiungendo che Luque e Cosachov ordinarono di sedare il paziente, consapevoli dei rischi: depressione respiratoria, complicazioni infettive, cutanee e nutrizionali. La sedazione iniziò il 5 novembre e durò poco più di 24 ore, finché lo stesso Villarejo decise di ridurla, vista l’assenza di un piano preciso.

Il caos in terapia intensiva: “Potevano entrare con hamburger o medicine”

Il medico ha denunciato un clima caotico nel reparto: «Troppe persone in terapia intensiva, potevano portare hamburger o qualsiasi altra cosa. È stato vergognoso, scandaloso». Ha poi ammesso: «Mi dichiaro colpevole, ero una pedina su una scacchiera con un re e una regina», riferendosi al peso dell’ambiente vicino a Maradona.

Ricovero domiciliare e responsabilità

Villarejo ha raccontato che il ricovero presso la clinica non era più sostenibile. Fu deciso il trasferimento a casa, dove secondo l’ultima pagina della cartella clinica, fu la famiglia a chiedere l’assistenza domiciliare, sostenuta da Luque e Cosachov.

In aula ha testimoniato anche Nelsa Pérez, dipendente della società Medidom incaricata dell’assistenza a casa Maradona. Pérez ha ammesso che, secondo lei, in Argentina non esistono ricoveri domiciliari, ma che il termine viene usato per semplificazione. La testimone ha nominato Mariano Perroni come coordinatore dell’équipe, composta dagli infermieri Dahiana Madrid e Ricardo Almirón.

Tensione in aula: accuse di falsa testimonianza

Le affermazioni di Pérez hanno generato momenti di alta tensione in aula. Gli avvocati Fernando Burlando e Julio Rivas hanno chiesto la detenzione della testimone per falsa testimonianza, ma i giudici hanno rigettato la richiesta.

Nel corso del controinterrogatorio, Pérez ha confermato che non fu ordinato alcun monitoraggio dei parametri vitali, ma che veniva comunque effettuato dall’infermiera per scrupolo, a causa di precedenti episodi di tachicardia.

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Esercito libanese: smantellato il 90% delle strutture di Hezbollah nel sud Libano

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L’esercito libanese ha smantellato “oltre il 90 per cento” dell’infrastruttura militare del gruppo filo-iraniano Hezbollah nel Libano meridionale, vicino al confine con Israele, ha dichiarato un funzionario all’Afp. “Abbiamo completato lo smantellamento di oltre il 90 percento delle infrastrutture di Hezbollah a sud del fiume Litani”, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, a condizione di mantenere l’anonimato. L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah libanese prevede lo smantellamento delle infrastrutture di Hezbollah.

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Guterres ‘inorridito’ dagli attacchi in Darfur

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  Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, “è inorridito dalla situazione sempre più catastrofica nel Darfur settentrionale, mentre continuano gli attacchi mortali alla sua capitale, Al-Fashir”. Lo ha detto il portavoce del Palazzo di Vetro, Farhan Haq. La città nel Sudan occidentale è sotto assedio da parte delle Forze di Supporto Rapido paramilitari, guidate dal generale Mohamed Hamdan Daglo, che da due anni combattono contro l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhan. Il portavoce ha riferito che Guterres ha anche espresso preoccupazione per le segnalazioni di “molestie, intimidazioni e detenzione arbitraria di sfollati ai posti di blocco”. In questa situazione, l’entità dei bisogni è enorme, ha sottolineato Haq, citando le segnalazioni di “massacri” avvenuti negli ultimi giorni a Omdurman, nello stato di Khartoum.

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