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Esteri

Trump shock, Gaza sarà la nuova Riviera in Medio Oriente

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Gli Stati Uniti “prenderanno il controllo a lungo termini di Gaza e la trasformeranno nella Riviera del Medio Oriente”. Donald Trump non è nuovo ad uscite shock ma questa volta potrebbe aver lanciato la proposta più azzardata del suo secondo mandato, spazzando via in un colpo solo decenni di politica americana nell’area e le sue stesse promesse di disimpegno da qualsiasi teatro di guerra. Allo stesso tempo suscitando lo sdegno dei leader di quasi tutto il mondo fatta eccezione dell’amico Benjamin Netanyahu che, a fianco al presidente americano, ha dichiarato che il suo piano “cambierà la storia”. Erano giorni che il commander-chief parlava di un ricollocamento di massa dei palestinesi in altri Paesi.

“Gaza è un inferno, nessuno ci vuole vivere. I palestinesi adorerebbero andarsene”, aveva detto nello Studio Ovale prima dell’incontro con Netanyahu. Ma mentre prima Trump sembrava ipotizzare un ritorno degli sfollati dopo la ricostruzione “in un posto bello, con case bellissime e dove possono essere felici e non essere colpiti, uccisi o accoltellate a morte”, in conferenza stampa con il premier israeliano è sembrato suggerire che i palestinesi se ne vadano per sempre per lasciare il posto “alle persone del mondo” che faranno a gara per accaparrarsi una proprietà nella nuova Striscia. La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha parzialmente corretto il tiro, così come ha fatto il segretario di Stato Marco Rubio, sostenendo che le parole del tycoon dovevano intendersi come un ricollocamento “temporaneo”. Sta di fatto che nessun presidente americano aveva mai pensato di risolvere il conflitto israelo-palestinese prendendo il controllo di Gaza e sfrattandone la popolazione per un periodo o per sempre. Inoltre, non è chiaro se questo piano prevede il dispiegamento di truppe militari in territorio palestinese.

L’idea per ora resta vaga anche nelle parole del presidente che a domanda diretta si è limitato a rispondere “faremo ciò che è necessario”, senza escludere comunque l’eventuale invio di “boots on the ground”. La Casa Bianca ha chiarito che il presidente “non si è ancora impegnato nell’invio di solidati”, dove la parola chiave è “ancora”. Il progetto, poi, di trasferire gli 1,7 milioni di civili che vivono a Gaza potrebbe violare la Convenzione di Ginevra sui diritti umani che gli Stati Uniti hanno sottoscritto. Perché se una parte di palestinesi probabilmente sceglierebbe di lasciare la loro terra ricostruire la propria vita altrove – dall’ottobre 2023 lo hanno già fatto in 150.000 – migliaia di altri non possono farlo o per mancanza di mezzi finanziari o per attaccamento. E dove andrebbero? Egitto e Giordania continuano dire di non voler accogliere palestinesi nei loro territori, soprattutto alla luce del progetto di espulsione forzata di Trump, mentre il presidente americano si è detto convinto che alla fine accetteranno.

“Credo che lo faranno anche altri Paesi”. Tra una settimana alla Casa Bianca arriverà il re di Giordania che ha già respinto “qualsiasi tentativo di annettere terre e sfollare i palestinesi a Gaza e in Cisgiordania”. E nonostante le critiche piovute da tutto il globo – dall’Europa al Medio Oriente, Hamas in testa – il tycoon ha espresso fiducia che “il suo piano piace a tutti”. Per Netanyahu il “progetto di Trump per Gaza potrebbe cambiare la storia”, mentre l’ambasciatore israeliano all’Onu, Danny Danon, ha frenato avvertendo che serve il consenso dei palestinesi. Israele ha anche annunciato che seguirà la decisione degli Stati Uniti e si ritirerà dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu per “discriminazione” nei suoi confronti.

Quanto ai costi del piano del presidente americano, la Casa Bianca ha chiarito che non saranno gli Stati Uniti a finanziare la ricostruzione che, secondo gli esperti, potrebbe ricadere su vari partner, soprattutto nel Golfo. Trump, che ha annunciato una visita in Israele, Gaza, Arabia Saudita e in Medio Oriente, potrebbe aver in mente per la regione una strategia simile a quella adottata per i dazi: fare la voce grossa per convincere le parti a negoziare. Ma per il momento la tensione resta alta. Sul progetto per togliersi dal caos mediorientale pesa, inoltre, l’ombra dell’Iran contro il quale il presidente americano ha varato una direttiva durissima proprio mentre emergono nuovi dettagli sull’accelerazione del programma di Teheran per dotarsi della bomba atomica. “E’ molto dura”, ha detto al momento della firma il commander-in-chief dichiarando di aver perfino lasciato l’ordine di “annientare” il regime iraniano nel caso dovesse assassinarlo. Infine, c’è il nodo della normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita. Bibi ha assicurato che si farà: “La pace tra Israele e Arabia Saudita non solo è fattibile, ma ci sarà”. Riad, tuttavia, ha gelato le aspettative: “Non ci sarà nessuna normalizzazione senza la creazione di uno Stato palestinese”. Un obiettivo che ora sembra più lontano che mai.

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Cina contro l’accordo sui porti di Panama, cita patriottismo

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I media statali cinesi hanno rinnovato e intensificato le critiche a CK Hutchison, la conglomerata basata a Hong Kong di proprietà del magnate ultranovantenne Li Ka-shing, sostenendo che l’accordo di vendita delle attività portuali del Canale di Panama al consorzio guidato dal colosso americano BlackRock è antipatriottico. Ta Kung Pao, quotidiano in lingua cinese controllato dall’Ufficio di collegamento del governo centrale, l’autorità che rappresenta Pechino nell’ex colonia britannica, ha pubblicato un altro articolo nel fine settimana dal titolo ‘I grandi imprenditori sono tutti eminenti patrioti’.

Toni simili rispetto a quello di giovedì, ma con due differenze: la citazione del patriottismo e la pubblicazione integrale dell’articolo sui siti web dell’Hong Kong and Macao Work Office del Partito comunista cinese, dell’Hong Kong and Macao Affairs Office del governo centrale e anche dell’Ufficio di collegamento, indicando quindi opinioni che riflettono quelle di Pechino.

L’accordo in questione prevede che CK Hutchison accetti in linea di principio di trasferire al consorzio il 90% nella Panama Ports Company, insieme al suo 80% effettivo e di controllo in 43 porti comprendenti 199 attracchi in 23 Paesi con un valore complessivo dell’operazione di 22,8 miliardi di dollari. L’articolo ha invitato gli imprenditori cinesi a resistere alla tempesta così come la Cina sta “affrontando l’egemonia e il bullismo americano” e le aziende di “stare saldamente unite alla madrepatria”.

Coloro che soccombono a comportamenti egemonici e prepotenti per fare un “affare” una tantum, passeranno alla storia come “infamia storica”. L’articolo ha messo in discussione la natura dell’accordo come “commerciale” e ha parlato di patriottismo con allusioni a imprenditori cinesi del passato, da Chang Chien che aprì un cotonificio privato alla fine del XIX secolo a Ren Zhengfei, il fondatore di Huawei, che “salvò la sovranità tecnologica dell’industria delle telecomunicazioni cinese”. Pertanto, “le vere qualità degli eroi si rivelano chiaramente in tempi di mare agitato”.

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Nyt, Usa via da organismo indagini crimi di guerra Russia

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L’amministrazione Trump ha deciso di ritirarsi dall’organismo internazionale istituito nel 2023 dall’Unione europea per indagare sui leader responsabili dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, tra cui il presidente russo Vladimir Putin: lo scrive il New York Times (Nyt), che cita persone a conoscenza della situazione. La decisione è l’ultima indicazione dell’allontanamento dell’amministrazione Trump dall’impegno del presidente Biden di ritenere Putin personalmente responsabile dei crimini commessi contro gli ucraini, commenta il giornale.

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Ucraina: il dramma dei bambini deportati in Russia e la difficile operazione di recupero

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Oltre 20.000 bambini ucraini sarebbero stati deportati in Russia e sottoposti a programmi di rieducazione forzata, secondo le stime più basse. Un numero che, secondo le dichiarazioni ufficiali di Maria Lvova-Belova, Commissaria per l’infanzia nominata da Vladimir Putin, potrebbe addirittura arrivare a 720.000.

Quelli riportati indietro finora sono meno di 600. Un numero drammaticamente esiguo rispetto alla portata della tragedia. Lvova-Belova, anziché ammettere il crimine, rivendica con orgoglio di averli “salvati” dalla guerra, adottandone persino alcuni. È anche per questo motivo che la Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato di arresto nei suoi confronti e in quello di Putin, riconoscendo la deportazione dei minori come crimine di guerra.

IL “LAVAGGIO DEL CERVELLO” E LA RIEDUCAZIONE FORZATA

Molti di questi bambini vengono trasferiti nei campi di rieducazione russi, dove vengono indottrinati con la propaganda di Mosca. Sono costretti a dimenticare la loro famiglia e la loro identità ucraina, imparando a considerare la Russia come “madrepatria” e gli ucraini come nemici. In alcuni casi, vengono addirittura trasformati in “mini-soldati”, addestrati con lo scopo di combattere contro il loro stesso popolo.

Non è raro trovare immagini di bambini ucraini che sventolano bandiere russe negli stadi di Mosca, indottrinati a credere di essere diventati parte di un nuovo mondo. Alcuni, quando vengono contattati dalle loro famiglie, rifiutano persino di tornare in Ucraina, segno della profonda manipolazione psicologica subita.

IL PROGRAMMA DI “DE-OCCUPAZIONE COGNITIVA”

Per coloro che sono riusciti a tornare, in Ucraina è stato attivato un programma di “de-occupazione cognitiva”, ideato da Oksana Lebedova, fondatrice dell’organizzazione Gen Ukrainian. L’obiettivo è aiutare i bambini a disintossicarsi mentalmente dalla propaganda a cui sono stati sottoposti.

Al Sunday Times, che ha dedicato diversi reportage alla vicenda, Lebedova ha raccontato che questi bambini “hanno negli occhi qualcosa di diverso, come fossero adulti con occhi molto vecchi”. Sono eccessivamente educati e disciplinati, al punto da avere paura anche solo di arrivare in ritardo di un minuto.

La diffidenza nei confronti degli adulti è altissima: hanno visto insegnanti e vicini di casa diventare collaborazionisti, il che li ha resi incapaci di fidarsi di chiunque.

LE DIFFICOLTÀ DEL RIMPATRIO

Recuperare i bambini rimasti in Russia è un’impresa quasi impossibile. Mykola Kuleba, capo dell’organizzazione Save Ukraine, ha spiegato che il governo ucraino sta cercando di farlo attraverso la mediazione del Qatar e degli Emirati Arabi, ma il processo è estremamente lento.

“Putin blocca i rientri perché capisce che ogni bambino rapito è un testimone dei crimini di guerra della Russia”, ha dichiarato Kuleba.

Molti di loro, prima di tornare in Ucraina, vengono trasferiti in Georgia o Bielorussia, dove vengono spostati da un campo all’altro, rendendo ancora più difficile il loro recupero.

IL DRAMMA DEGLI ORFANI NASCOSTI

Tra le storie più toccanti c’è quella di Vova Petukhov e del fratellino Sasha, di 16 e 13 anni. Due anni fa si trovavano in un istituto per minori svantaggiati a Mykolaiv, nel sud dell’Ucraina. Dopo che molti bambini furono recuperati dalle famiglie, 15 orfani furono costretti a nascondersi nel seminterrato per tre mesi, senza luce né acqua, insieme alla direttrice e a parte dello staff.

Quando i soldati russi li scoprirono, diedero loro 30 minuti per raccogliere tutto, li trasferirono a Kherson occupata e girarono un video di propaganda, per mostrare al mondo che li stavano evacuando in sicurezza. In realtà, vennero portati in un centro di riabilitazione per minori a Stepanivka, poi in un sanatorio sul Mar Nero ad Anapa.

Un 15enne di Kherson ha raccontato che un soldato russo lo ha preso a calci, dicendogli:

“Fabbricherai i proiettili con cui uccideremo gli ucraini”.

IL LUNGO PERCORSO DI GUARIGIONE

Ora, alcuni di questi bambini stanno cercando di tornare alla normalità. In un campo speciale vicino a Lutsk, nel nord-ovest dell’Ucraina, cinquanta di loro tra i 7 e i 17 anni hanno trascorso undici giorni insieme, partecipando a sedute di psicoterapia individuale e di gruppo, facendo sport e guardando film come Harry Potter.

Ma le ferite della guerra e della deportazione sono profonde e difficili da guarire. Dietro le immagini di bambini in fila per lo zucchero filato, si nascondono traumi incancellabili, segnati dal terrore della separazione e dalla perdita della loro identità.

Nel frattempo, il mondo resta a guardare, mentre la Russia continua a trattenere migliaia di bambini rapiti, negando a intere famiglie la possibilità di riabbracciare i propri figli.

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