Collegati con noi

Corona Virus

Software italiano per la identificazione rapida delle varianti Covid, intervista al professor Graziano Pesole

Pubblicato

del

Scienza, ricerca e tecnologia unite nella lotta al Covid: nasce un nuovo software per l’analisi genomica del SARS-CoV-2. Lo studio è stato condotto dall’Istituto di biomembrane, bioenergetica e biotecnologie molecolari del Cnr di Bari, in collaborazione con l’Università degli Studi di Bari e l’Università Statale di Milano, e ha permesso di realizzare un applicativo per facilitare l’analisi del genoma del coronavirus. La piattaforma, accessibile senza alcun tipo di vincolo o restrizione, rappresenta un utile strumento per comprendere i possibili effetti funzionali delle varianti del genoma del virus, con potenziali implicazioni anche per lo sviluppo di terapie e vaccini. Il metodo è stato pubblicato sulla rivista scientifica Bioinformatics. Il team di ricercatori ha recentemente sviluppato un nuovo strumento software per facilitare l’analisi del genoma del coronavirus SARS-CoV2, l’agente patogeno che causa il Covid-19. Durante la pandemia, in particolare, sono state analizzate e rese disponibili più di 400mila sequenze genomiche appartenenti a differenti ceppi del patogeno, isolati in diverse regioni del mondo. L’analisi di questa mole di dati ha richiesto lo sviluppo di nuovi strumenti e metodi informatici dedicati. Per contribuire a rispondere a queste esigenze, gli autori dello studio hanno sviluppato il “CorGAT” (Coronavirus Genome Analysis Tool), uno strumento dotato di un’interfaccia web che ne facilita l’utilizzo e accessibile a tutta la comunità scientifica.

In questo periodo di pandemia da covid-19, molte sono le domande che si pone il grande pubblico dei non addetti ai lavori dopo aver sentito parlare di varianti genetiche del virus.
Cerchiamo di fare con chiarezza il punto della situazione, assieme al Professor Graziano Pesole, Ordinario di Biologia Molecolare dell’Università di Bari e ricercatore associato dell’IBIOM-CNR.

Graziano Pesole. Ordinario di Biologia Molecolare dell’Università di Bari e ricercatore associato dell’IBIOM-CNR

Professore, cosa sono le varianti genetiche del virus?
Le varianti genetiche sono i cambiamenti nella sequenza del patrimonio genetico del virus, che nel caso del SARS-Cov-2 è un filamento di RNA ci circa 30mila nucleotidi. In generale, le varianti creano la diversità genetica che offre alle specie maggiore capacità di adattamento e di sopravvivenza. In questo modo sorgono ceppi virali la cui infettività e/o patogenicità sono diversi. Questo vale per tutti gli organismi, ma soprattutto per i virus che hanno un elevato tasso di variabilità.

Quante varianti del genoma virale sono attualmente note? E perché alcune varianti sono più pericolose o importanti di altre?
Ad oggi, conosciamo circa quarantamila varianti di SARS-Cov-2, ma solo un ristretto numero (meno di 10) vengono considerate pericolose e degne di essere sorvegliate sulla base delle alterazioni funzionali che possono provocare (es. maggiore capacità di infezione), misurata anche attraverso l’incidenza dei casi sulla popolazione dei contagiati effettivi e potenziali e sulla loro diffusione geografica nel tempo.

Che strategia è possibile adottare per ridurre le mutazioni del virus?
In questo momento, è fondamentale la prevenzione: ridurre il numero di persone infette significa ridurre le potenzialità del virus di moltiplicarsi, evolversi e generare mutazioni ancor più pericolose.

E’ sufficiente osservare una nuova variante per dire che il virus sta mutando? Come troviamo le varianti più pericolose?
Le varianti tendono a rendere il virus più adatto all’ambiente in cui prolifica, diventando rapidamente sempre più frequenti. Questo è il primo campanello di allarme, anche se non basta: l’aumento di frequenza può essere causato anche da situazioni contingenti e va monitorato nel tempo per essere compreso al meglio. Inoltre bisogna anche valutare i possibili effetti funzionali delle varianti: occorre un lavoro di sorveglianza costante e sistematico.

Al momento attuale, possiamo dire che la nostra conoscenza delle varianti virali è completa e accurata? Quali sono le implicazioni?
Purtroppo, anche se conosciamo un grande numero di varianti, il modo in cui i virus da sequenziare vengono campionati non è uniforme a livello mondiale: per questo, al momento attuale conosciamo bene solo le varianti di alcuni specifici Paesi. Ad esempio, abbiamo una conoscenza estesa dei tipi di virus che circolano in UK, Danimarca e Australia, con oltre 50 genomi sequenziati ogni 1000 casi. Per la maggior parte degli altri Paesi a livello mondiale, invece, la conoscenza è molto frammentaria: in Italia, USA, Francia e Germania, ad esempio, viene sequenziato meno di 1 genoma ogni 1000 casi. Questo significa che non possiamo conoscere tutte le varianti potenzialmente pericolose.

Come possiamo migliorare rendere più potente la nostra capacità di sorvegliare le varianti e trovare quelle per noi più rilevanti?
La risposta è nel metodo “Open science”, ovvero fare scienza in modo collaborativo, così che tutti i ricercatori possano contribuire con dati ed esiti delle ricerche, note di laboratorio e altri processi consentendo il riutilizzo, la ridistribuzione e la riproduzione della ricerca e dei suoi dati e metodi sottesi. Al momento attuale, ad esempio, per il nostro Paese non ci è dato sapere se e dove sono disponibili altre sequenze genomiche oltre a quelle conosciute; poniamo il caso della Lombardia, che condivide circa 500 genomi virali in banche dati dedicate. Ma questi dati risalgono alla prima ondata (marzo 2020) e non ci danno un quadro preciso ed aggiornato di cosa accade ora.

Qual è il valore di estendere questo approccio di sorveglianza delle varianti proprio ora? Non sono sufficienti i vaccini?
Proprio ora che ci sono i vaccini è a maggior ragione importante monitorare gli sviluppi del virus: infatti se emergesse una variante in grado di evadere la risposta immunitaria e/o rendere i vaccini meno efficaci, solo in questo modo saremmo in grado di rintracciarla e arginarne la diffusione, potendo nel periodo più lungo sviluppare nuovi vaccini più aggiornati.

Advertisement

Corona Virus

AstraZeneca ammette: vaccino contro Covid-19 può causare trombosi

Pubblicato

del

L’azienda biofarmaceutica internazionale AstraZeneca ha ammesso per la prima volta che uno degli effetti collaterali del suo vaccino contro il Covid-19 può essere la sindrome da trombosi con trombocitopenia (TTS). Lo ha scritto il Telegraph, citando documenti di tribunale. È stata presentata un’azione legale collettiva contro l’azienda perché il vaccino, sviluppato insieme all’Università di Oxford, ha causato danni gravi o fatali a diversi pazienti, si legge nel comunicato.

“Il vaccino può causare, in casi molto rari, una sindrome da trombosi con trombocitopenia (Tts). Le cause sono sconosciute”, si legge in un estratto di un documento fornito dall’azienda a un tribunale lo scorso febbraio. Secondo i media, sono state presentate 51 richieste di risarcimento all’Alta Corte di Londra, in cui le vittime e le loro famiglie chiedono danni per circa 125 milioni di dollari. La sindrome da trombosi con trombocitopenia causa coaguli di sangue e un basso numero di piastrine, ha spiegato il quotidiano.

La prima richiesta, spiega l’articolo, è stata presentata l’anno scorso da Jamie Scott, che, dopo la somministrazione del vaccino nell’aprile 2021, ha sviluppato un coagulo di sangue e un’emorragia cerebrale, che avrebbe causato danni permanenti al cervello. Viene citato anche il caso della famiglia di Francesca Tuscano, una donna italiana morta nell’aprile 2021 dopo essere stata vaccinata contro il coronavirus. La famiglia della 32enne si è rivolta a un medico legale e a un ematologo, che hanno stabilito che “la morte della paziente può essere attribuita agli effetti collaterali della somministrazione del vaccino Covid-19”. La donna è deceduta per trombosi vascolare cerebrale il giorno successivo alla somministrazione del farmaco di AstraZeneca.

Continua a leggere

Corona Virus

Covid, ancora calo dei casi e dei decessi

Pubblicato

del

Continua il calo dei nuovi casi di Covid in Italia e sono in netta diminuzione i decessi. Nella settimana compresa tra il 18 e il 24 aprile 2024 – secondo il bollettino del ministero della Salute – si registrano 528 nuovi casi positivi con una variazione di -1,9% rispetto alla settimana precedente (538); 7 i deceduti con una variazione di -22,2% rispetto ai 9 della settimana precedente. Sono stati 100.622 i tamponi effettuati con una variazione di -6,4% rispetto alla settimana precedente (107.539) mentre il tasso di positività è invariato e si ferma allo 0,5%. Il tasso di occupazione in area medica al 24 aprile è pari allo 0,9% (570 ricoverati), rispetto all’1,1% (700 ricoverati) del 17 aprile. Il tasso di occupazione in terapia intensiva al 24 aprile è pari allo 0,2% (19 ricoverati), rispetto allo 0,3% (22 ricoverati) del 17 aprile.

Continua a leggere

Corona Virus

Influenza e Covid, attesa crescita con ritorno a scuola

Pubblicato

del

La riapertura delle scuole dopo le festività natalizie potrebbe dare un’ulteriore spinta alle infezioni respiratorie: influenza, soprattutto, ma anche Covid-19 e virus respiratorio sinciziale. È il timore espresso da più parti e confermato anche dalla Società Italiana di Pediatria. “Con il rientro dei bambini a scuola ci aspettiamo un aumento dei casi di influenza anche se – c’è da dire – durante il periodo delle vacanze non si è osservato un calo dei contagi, probabilmente per le occasioni di vita sociale durante le festività.

Inoltre, siamo nel momento del clou del virus respiratorio sinciziale”, dice Rino Agostiniani, consigliere nazionale della Società Italiana di Pediatria, che sottolinea che “è importante che i bambini che hanno sintomi influenzali rimangano a casa”. “Ho scritto al ministro della Salute con l’obiettivo di accedere un faro su una malattia che provoca, soprattutto tra i neonati, gravi patologie, anche mortali: la bronchiolite.

La Commissione europea ha autorizzato il vaccino Nirsevimab che ha già passato severissime e rigidissime misure di controllo da parte di Ema. Questo farmaco potrebbe essere uno strumento fondamentale per la lotta alla bronchiolite ed è arrivato il momento che venga adottato anche nel nostro Paese, quanto prima”, ha intanto fatto sapere Orfeo Mazzella, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Commissione Affari Sociali al Senato, citando il caso di una neonata di tre mese morta a fine anno probabilmente proprio a causa di questo virus.

Intanto nelle ultime due settimane, in Italia, l’influenza e le sindromi simil-influenzali hanno fatto registrare numeri da record: due milioni di persone messe a letto solo nelle ultime due settimane dell’anno, con tassi elevati soprattutto nei bambini più piccoli “che sono quelli nel corso degli ultimi anni non hanno sviluppato un patrimonio immunitario per difendersi dall’infezione”, spiega Agostiniani. Covid-19, al contrario, nell’ultima rilevazione del ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità ha mostrato un lieve rallentamento.

Tuttavia, nel mondo sembra che i contagi abbiano ripreso a salire: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nelle ultime 4 settimane ci sono stati 850mila casi di Covid nel mondo, con un aumento del 52% rispetto al mese precedente. I numeri reali, tuttavia, potrebbero essere molto più alti.

“Sappiamo che in tutto il mondo le segnalazioni sono diminuite, i centri di sorveglianza sono diminuiti, i centri di vaccinazione sono stati smantellati o chiusi. Questo fornisce un quadro incompleto della situazione e purtroppo dobbiamo aspettarci più casi di quelli che abbiamo dichiarato ufficialmente”, ha detto Christian Lindmeier dell’Oms.

Che la situazione stia peggiorando si intuisce anche dai ricoveri: tra il 13 novembre e il 10 dicembre, nei Paesi che segnalano sistematicamente i dati all’Oms e che sono ormai meno di 60, sono stati registrati più di 118 mila nuovi ricoveri per Covid e più di 1.600 nuovi ricoveri in terapia intensiva, con un aumento rispettivamente del 23% e del 51%.

La ripresa dei contagi potrebbe essere legata alla nuova JN.1 del virus Sars-CoV-2. I dati che arrivano dagli Stati Uniti sembrano confermarlo. Secondo le ultime stime dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) nell’ultima settimana JN.1 è arrivata al 61,6% di prevalenza. JN.1, che ormai è dominante anche in Italia, discende dalla variante BA.2.86 (Pirola) ed è stata isolata proprio negli Stati Uniti lo scorso settembre. Per i Cdc “al momento non vi è alcuna indicazione di un aumento della gravità da JN.1”. Tuttavia, è possibile che “questa variante possa determinare un aumento delle infezioni”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto