Si riaccende la guerra civile in Siria con sanguinosi scontri, senza precedenti negli ultimi tre mesi, tra forze governative sunnite e uomini armati alawiti nella regione costiera, per decenni rimasta la roccaforte dei clan alleati della famiglia Assad, al potere per più di mezzo secolo fino alla caduta del regime lo scorso dicembre. La cronaca racconta di almeno 13 uccisi tra le forze governative sunnite in un agguato teso da non meglio precisati uomini armati alawiti nella regione di Latakia, principale porto della Siria e nei cui paraggi sorge la base aerea russa di Hmeimim. L’agguato è stato compiuto contro pattuglie della direzione della Sicurezza generale.
Questa è la sigla governativa che di fatto, da tre mesi circa, raggruppa i miliziani sunniti della disciolta coalizione jihadista di Hay’at Tahrir ash Sham (Hts), giunta al potere lo scorso 8 dicembre sotto la guida del suo leader Jolani, ex leader qaidista, dopo un’offensiva lampo, sostenuta dalla Turchia, contro l’allora potere di Assad, per decenni appoggiato da Iran e Russia. Proprio l’Iran e la Russia sono chiamati in causa da alcuni media siriani e libanesi come “mandanti” dell’agguato compiuto oggi da “miliziani alawiti” nel distretto di Jabla, a sud di Latakia. E un sedicente “Consiglio militare per la liberazione della Siria” ha diffuso il suo primo comunicato annunciando la volontà di combattere “l’attuale regime estremista e terrorista”. Immagini diffuse sui social e in seguito verificate in maniera indipendente hanno mostrato alcuni cadaveri senza vita a terra e in un bagno di sangue, con evidenti tracce di colpi di arma da fuoco al capo.
La giornata era già cominciata all’insegna della violenza con rastrellamenti casa per casa, perquisizioni, sorvoli di elicotteri e spari di colpi di artiglieria da parte delle forze governative contro una serie di “roccaforti di fedeli al deposto regime” nell’entroterra di Jabla. Secondo resoconti locali, in queste zone la popolazione, in larga parte alawita ma non necessariamente solidale col passato regime di Assad, si è rifiutata di consegnare un uomo ricercato dalle forze di sicurezza governativi. La tensione nella regione costiera e nella vicina città-perno di Homs era da settimane esplosiva. Ed era montata in maniera insostenibile nei giorni scorsi. La disastrosa situazione economica, aggravata dalla decisione del nuovo governo di sciogliere l’esercito ex governativo: mandando a casa senza stipendi centinaia di migliaia di soldati, parte dei quali provenienti dalle regioni costiere.
Questa misura – associata ad altre controverse decisioni degli uomini di Jolani, come quella di licenziare migliaia di impiegati governativi alawiti dalle istituzioni pubbliche – aveva esacerbato un clima già molto teso a seguito delle ripetute e uccisioni mirate, arresti e rapimenti avvenuti nella costa contro esponenti alawiti considerati collusi col precedente regime. In serata, dopo la diffusione delle notizie di sangue, alcuni leader religiosi alawiti hanno invocato “manifestazioni di massa” anti-governative nelle regioni di Tartus e Latakia. Dalla vicina Idlib, roccaforte di Hts, sono intanto arrivati rinforzi militari, mentre dalle moschee della stessa Idlib, altri leader religiosi, sunniti, hanno mandato avvertimenti alla “mobilitazione generale” a sostegno del governo di Sharaa.