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Cronache

Si ferisce con motosega mentre pota olivi e muore per emorragia

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È deceduto un uomo di 59 anni che questo pomeriggio si era ferito a un braccio con i denti di una motosega mentre stava potando un olivo in un terreno a Gambassi Terme (Firenze), nell’Empolese. L’uomo era stato trasportato d’urgenza in ospedale a Firenze con l’elisoccorso ma la grave emorragia subita nell’incidente ne ha causato la morte e non è stato possibile salvarlo. L’allarme è scattato in un oliveto lungo la via Volterrana nel primo pomeriggio. Il taglio aveva causato una importante emorragia e l’uomo è stato soccorso in codice rosso con l’elicottero Pegaso del 118. Sul posto sono intervenuti anche la Medicina del lavoro dell’Asl Toscana Centro e i carabinieri.

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Cronache

I ragazzi di Francesco, per lui la piazza più giovane

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Le facce pulite, segnate dalle poche ore di sonno, lo zaino in spalla, usato spesso come sgabello, jeans d’ordinanza, entusiasti, partecipi e soprattutto con le idee chiare. Sono i ragazzi di Francesco, quelli che avevano programmato il viaggio a Roma per incontrare il Papa in occasione del Giubileo degli Adolescenti e si sono ritrovati in piazza a piangerlo. Erano in tanti in piazza San Pietro ed ancora di più in via della Conciliazione, che quasi per intero hanno pacificamente ‘occupato’. Chiedono con forza la pace, sognano un mondo dove nessuno venga escluso, dove la terra e l’aria vengano rispettate, coltivano la speranza di un futuro migliore e anche quella che dopo Francesco ci sia un Papa che segua le sue orme e non abbandoni la strada da lui tracciata. Sono arrivati da tanti Paesi – Argentina, Brasile, Usa, Germania, Francia, Albania, Romania, Polonia Perù, Sud Africa, Timor Est solo per citarne alcuni – e da ogni angolo dell’Italia, da nord a sud isole comprese.

La maggior parte di loro in gruppi organizzati (Comunione Liberazione, parrocchie, scout, associazioni), altri, gli italiani e i romani, accompagnati dai genitori. Hanno preso posto all’alba, qualche gruppo ha preferito non dormire e rimanere per tutta la notte in zona. Nell’attesa dell’avvio della cerimonia funebre hanno giocato a carte, tirato fuori dalla carta argentata sfilatini a doppio strato, altri si sono sdraiati sul marciapiede di via della Conciliazione per riposare. Ma quando è iniziata la celebrazione della messa, anche se in tanti erano lontanissimi dal feretro e costretti ad assieparsi vicino ai maxischermi, hanno seguito il rito con attenzione, c’è chi ha recitato il Padre Nostro con le mani rivolte al cielo e chi si è inginocchiato a terra durante la comunione. Ma tutto con grande semplicità senza ostentazione e in silenzio. Con la stessa semplicità con un cui un volontario degli Alpini per tre ore, con gentilezza e un sorriso, ha ripetuto a chi camminava: ‘Attenzione c’è un gradino’. Nelle prime file in piazza San Pietro c’erano i giovani più vicini al Pontefice quelli di Scholas, il progetto educativo fondato da Papa Francesco nel 2001. “Adios padre, maestro y poeta”, addio Padre, maestro e poeta hanno scritto su un grande striscione. Ma sono decine le testimonianze di fede, ammirazione e rispetto di questi ragazzi.

Per Antonino, 16 anni, arrivato da Marsala “Papa Francesco è stato una guida per raggiungere la pace”. Secondo Giorgio 20 anni, scout di Pescara: “La grande cosa che ha fatto Papa Francesco è affrontato problematiche che non venivano sfiorate dalla Chiesa, di averla rinnovata, resa ‘mainstream’ e più vicina a noi giovani. Se pensiamo alle benedizioni per le coppie divorziate e per le coppie gay”. Gli fa eco Nicol, romana di 20 anni: “La storia si cambia a pezzettini e lui l’ha cambiata. E’ stato molto coraggioso sulla Palestina”. In piazza anche ragazzi che hanno scelto “di essere parte di un momento storico” e non per fede. Ma sembravano essere una minoranza insieme a famiglie con i figli piccoli, adulti e anziani. In piazza San Pietro c’era la signora Carmela, fu lei a portare un mazzo di fiori gialli al Gemelli e ad essere saluta dal Papa dal balconcino del Policlinico. Per Gianni, anche lui ventenne, Papa Francesco “è stato unico: ha capito che la Chiesa aveva bisogno di riconnettersi con i fedeli”. Si è ravvicinato alla fede Nacho, uno studente di Buenos Aires, proprio grazie a Papa Francesco. Alla fine tutti hanno tributato un lunghissimo applauso a quella bara lasciava che lasciava la piazza. Sono riapparsi i cartelli con “Grazie Francesco”, chi lo ha gridato e chi lo ha salutato con la mano. Così, semplicemente, come si fa con un amico.

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Cronache

“Ponti e non muri”, omelia ricorda il Papa della pace

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Gli applausi dei 250 mila che assistono alla messa delle esequie di papa Francesco in Piazza San Pietro punteggiano più volte l’omelia del cardinale Giovanni Battista Re. Ma scrosciano con ancora più forza e insistenza quando il decano del Sacro Collegio, in uno dei passi significativi, ricorda davanti ai grandi della terra l’impegno del Pontefice per la pace: “Di fronte all’infuriare delle tante guerre di questi anni, con orrori disumani e con innumerevoli morti e distruzioni, Papa Francesco ha incessantemente elevato la sua voce implorando la pace e invitando alla ragionevolezza, all’onesta trattativa per trovare le soluzioni possibili, perché la guerra – diceva – è solo morte di persone, distruzioni di case, ospedali e scuole”.

“La guerra lascia sempre, è una sua espressione, il mondo peggiore di come era precedentemente: essa è per tutti sempre una dolorosa e tragica sconfitta”, prosegue Re aggiungendo: “‘Costruire ponti e non muri’ è un’esortazione che egli ha più volte ripetuto e il servizio di fede come successore dell’apostolo Pietro è stato sempre congiunto al servizio dell’uomo in tutte le sue dimensioni”. Il novantunenne porporato bresciano, che nel sovraintendere da cardinale decano a questa sede vacante sta confermando la sua tempra di ferro, rievoca nell’omelia i tanti aspetti e contenuti del pontificato di Francesco. “Il plebiscito di manifestazioni di affetto e di partecipazione che abbiamo visto in questi giorni dopo il suo passaggio da questa terra all’eternità, ci dice quanto l’intenso pontificato di Papa Francesco abbia toccato le menti ed i cuori”. E “nonostante la sua finale fragilità e sofferenza, ha scelto di percorrere questa via di donazione fino all’ultimo giorno della sua vita terrena”.

Secondo Re, quando l’ex cardinale di Buenos Aires fu eletto Papa, “la decisione di prendere il nome Francesco apparve subito come la scelta di un programma e di uno stile su cui egli voleva impostare il suo Pontificato, cercando di ispirarsi allo spirito di San Francesco d’Assisi”. E “diede subito l’impronta della sua forte personalità nel governo della Chiesa”, “con spiccata attenzione alle persone in difficoltà, spendendosi senza misura, in particolare per gli ultimi della terra, gli emarginati”. Per il cardinale decano, Francesco “ha realmente condiviso le ansie, le sofferenze e le speranze del nostro tempo della globalizzazione, e si è donato nel confortare e incoraggiare con un messaggio capace di raggiungere il cuore delle persone in modo diretto e immediato”.

La “guida del suo pontificato” è stato “il primato dell’evangelizzazione”. E “filo conduttore della sua missione è stata anche la convinzione che la Chiesa è una casa per tutti; una casa dalle porte sempre aperte”: quella Chiesa “ospedale da campo” “capace di chinarsi su ogni uomo, al di là di ogni credo o condizione, curandone le ferite”. Ecco quindi “i suoi gesti e le sue esortazioni in favore dei rifugiati e dei profughi”, come pure “l’insistenza nell’operare a favore dei poveri”. Tra i momenti-chiave dei 47 viaggi apostolici, il cardinale Re ricorda le tappe a Lampedusa, a Lesbo, la messa al confine tra Messico e Stati Uniti, l’ultimo viaggio in Asia e Oceania, verso “la periferia più periferica del mondo”. “Il tema della fraternità ha attraversato tutto il suo pontificato con toni vibranti”, ricorda ancora Re citando l’enciclica Fratelli tutti e il documento sulla “Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune” firmato nel 2019 ad Abu Dhabi col grande imam di Al-Azhar, “richiamando la comune paternità di Dio”.

La conclusione è poi di quelle che strappano la commozione: “Papa Francesco soleva concludere i suoi discorsi ed i suoi incontri personali dicendo: ‘Non dimenticatevi di pregare per me’. Ora, caro Papa Francesco, chiediamo a te di pregare per noi e ti chiediamo che dal cielo tu benedica la Chiesa, benedica Roma, benedica il mondo intero”: proprio “come domenica scorsa hai fatto dal balcone di questa Basilica in un ultimo abbraccio con tutto il popolo di Dio, ma idealmente anche con l’umanità che cerca la verità con cuore sincero e tiene alta la fiaccola della speranza”. E sono ancora applausi della folla, emozionati e sinceri.

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Cronache

La moglie del macchinista Parlato dall’altare: sul Faito non è stata fatalità

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“Mi rivolgo ai suoi colleghi, partendo dall’ultimo al primo, a chi doveva proteggere i dipendenti e i viaggiatori, di assumersi ognuno le proprie responsabilità, con coscienza e onestà. Non solo in quella circostanza, ma soprattutto per il prima. Quello che è successo non può essere la conseguenza di quel momento. Non possiamo accettare la fatalità”.

La moglie di Carmine Parlato, Elisa, ha rivolto un duro atto di accusa salendo sull’altare in occasione del funerale del marito, l’operatore della funivia del Monte Faito precipitata lo scorso 17 aprile, morto assieme a tre turisti, mentre un quarto è ancora ricoverato in ospedale in gravi condizioni. Il rito religioso si è svolto nella Concattedrale di Castellammare di Stabia, affollata fino all’esterno, con la presenza di istituzioni e cittadini e tantissimi dipendenti dell’Ente Autonomo Volturno (Eav), la società che gestisce il servizio di trasporto ora sotto sequestro nell’ambito dell’inchiesta aperta dalla Procura di Torre Annunziata.

Durante l’omelia, l’arcivescovo Francesco Alfano aveva esortato, ricordando le parole di Papa Francesco, a “non farsi rubare la speranza”. Ma al termine della celebrazione è stata la moglie dell’operatore a prendersi la scena. Prima leggendo l’ultimo affettuoso messaggio del marito, rivoltole come augurio solo un mese fa per il 25esimo anniversario del loro matrimonio. E poi, al termine di un lungo applauso commosso da parte dei presenti, lanciando quel j’accuse, pronunciato con lentezza e con la voce ferma di chi pretende giustizia. “A noi tocca sopravvivere a questo dolore immane, oggi, domani e per tutti i giorni della nostra vita – ha detto la signora Elisa – La morte di Carmine e della altre vittime, e un sincero e doveroso pensiero va anche a loro che in quel momento erano la sua famiglia, merita risposte”. Il silenzio è calato nella cattedrale.

“Queste vite spezzate, chi stava portando il pane a casa e chi in un momento piacevole, lontano dal proprio Paese visitando un vanto della nostra città, non devono rappresentare un clamoroso fatto di cronaca, che dopo qualche tempo finirà nel dimenticatoio, bensì sia un punto di svolta tra passato e futuro”. Un grido di dolore, ha aggiunto alzando il tono di voce, “che non ci ridarà Carmine. Ma deve essere un primo passo verso la giustizia…affinché chi, con negligenza e leggerezza ha messo a repentaglio al vita di esseri umani, ne risponda”. Dunque, ha proseguito, è finito “il momento dei plausi” ed è arrivato “il momento delle risposte e della verità” da dare “ai nostri cari”.

Un messaggio rivolto non solo a investigatori e inquirenti ma anche a chi “si reputa amico e collega sincero” affinché lo dimostri “con i fatti oltre alle parole”. Questa, ha concluso rivolgendosi direttamente al marito, “è una promessa che ti faccio e che manterrò fino alla fine dei miei giorni”. “Noi dobbiamo affidarci con fiducia agli organi inquirenti che stanno agendo in maniera encomiabile e rapida. E noi tutti attendiamo la verità – ha commentato il prefetto di Napoli, Michele di Bari alla fine della cerimonia – questo è però il momento “di essere accanto alla famiglia”, di dare la solidarietà “alla moglie e al figlio” della vittima. (

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