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Show di Tamberi, oro mondiale nell’alto: ho battuto supereroi, dedico la vittoria a mio padre con cui non parlo più

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“Mi sento come un umano che batte i supereroi”. Eppure Gianmarco Tamberi è uno degli atleti più grandi di tutti i tempi nel salto in alto. Il marchigiano entra definitivamente nella leggenda dello sport italiano, conquistando l’oro ai campionati del mondo in corso a Budapest. Quello iridato era l’unico titolo che gli mancava dopo le vittorie alle Olimpiadi, al Mondiale indoor e a due Europei. Il capitano della nazionale azzurra di atletica salta 2,36 al primo tentativo e così si impone sullo statunitense JuVaughn Harrison che ci riesce soltanto alla seconda prova. Dietro di loro, con 2,33, il qatarino Mutaz Barshim: l’amico di Tamberi che con l’italiano aveva condiviso l’oro olimpico a Tokyo.

“E’ pazzesco, tutti i sacrifici sono ripagati. In queste manifestazioni so di poter dare il meglio, perché ci sono tanti sacrifici”, ha detto il nuovo campione del mondo che ha poi un pensiero per suo padre che lo allenava fino allo scorso anno e dal quale si è separato rumorosamente. “Mi sono caricato di tante responsabilità – ha detto – non è stato facile separarmi da mio padre. Ho vinto una nuova sfida, è stato un percorso che mi dà energia. Dedico la medaglia a mio padre, con cui non parlo da un po’”.

La gara a Budapest è stata combattuta, piena di colpi di scena. Proprio l’italiano aveva iniziato male con un errore in apertura fino ai salti decisivi quando la competizione si è fatta più ristretta e ha finalmente tirato fuori carattere e salti eccezionali. Dopo la vittoria lo show in pista. Il campione italiano si è tolto gli scarpini e si è tuffato nella vasca del percorso dei tremila siepi insieme con il vincitore della gara, il marocchino Soufiane el Bakkali.

Il tuffo ha suggellato i festeggiamenti in pista di Tamberi, che ha coinvolto il suo grande amico Barshim, campione olimpico con lui a Tokyo e oggi terzo. L’azzurro è salito sulle spalle del qatariota abbracciandolo e facendosi portare un po’ a spasso tra l’entusiasmo del pubblico. Per l’Italia si tratta della terza medaglia, la prima d’oro, ai mondiali di Budapest. Ma nella serata di ‘Gimbo’- dove l’altro azzurro in gara nell’alto, Simone Fassinotti, ha chiuso 12/o – arriva anche l’impresa di Ayomide Folorunso che ha realizzato il record italiano nei 400 ostacoli donne con il tempo di 53”89 e ha conquistato l’accesso alla finale iridata. Grande l’emozione per la 26enne di origini nigeriane: “Avevo questa sensazione positiva – ha spiegato -. E’ da ieri che mi ritornava in testa una canzone nigeriana che si intitola “Emmanuel. Dio è con te”.

Questa mattina mi sono svegliata con tanta serenità. Sapevo che avrei fatto bene”. Nulla da fare, invece, per Rebecca Sartori. Ha mancato l’accesso alla finale dei 400 metri Davide Re, quarto nella sua semifinale. Ottimo l’undicesimo posto di Ludovica Cavalli nella finale nei 1500 con la genovese che ha fatto registrare il suo personale e che domani potrebbe gareggiare anche nei 5000. Nella finale del lancio del disco femminile, ha chiuso dodicesima Daisy Osakue, primatista italiana che ha ripetuto l’esito delle Olimpiadi di Tokyo. Negli 800 metri uomini, due azzurri si sono qualificati per le semifinali, Simone Barontini e Catalin Tecuceanu; mentre il ventenne Francesco Pernici ha mancato di poco l’obiettivo.

Tecuceanu ha interpretato al meglio la sua batteria, piazzandosi terzo con un tempo non lontano dal suo personale. Barontini ha tenuto un ritmo alto nella prima parte di gara e nel finale non ha ceduto, conquistando il secondo posto. Pernici ha fatto anche gara di testa dopo il primo giro ma nel finale è stato superato da tre atleti e il suo tempo non era tale da sperare nel ripescaggio.

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Meret vuole restare al Napoli: il portiere pensa solo allo scudetto, rinnovo vicino

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Alex Meret ha una priorità: lo scudetto. Il portiere azzurro, protagonista silenzioso e decisivo della stagione del Napoli, ha chiesto al suo agente Federico Pastorello di mettere in stand-by ogni discorso sul contratto fino al termine della gara contro il Cagliari. Un atto di dedizione totale che fotografa bene lo stile di un ragazzo che ha sempre preferito i fatti alle parole.

Un futuro azzurro mai messo in discussione

Nonostante le sirene di mercato e una trattativa per il rinnovo che dura da dieci mesi, Meret non ha mai pensato di andar via. Né di farlo a parametro zero, anche se i presupposti tecnici ed economici per farlo ci sarebbero. Il Napoli vuole tenerlo, il direttore sportivo Giovanni Manna ha ritoccato più volte l’offerta, c’è l’intesa su tutto: durata (fino al 2027 con opzione per un altro anno), ingaggio (3 milioni annui). Resta solo un dettaglio da limare: un piccolo bonus alla firma, che De Laurentiis per ora ha bloccato.

Un pilastro della squadra di Conte

Antonio Conte vuole la sua conferma. Meret è il numero uno del Napoli e lo resterà, anche se con il ritorno in Champions League ci sarà più turnover tra i pali. Per questo Caprile e Scuffet sono pronti, ma resteranno nell’ombra. In alternativa si valuta anche il nome di Milinkovic-Savic del Torino, ma solo in caso di rottura clamorosa che oggi appare improbabile.

Record, rigori parati e fedeltà

Meret ha già collezionato 15 clean sheet in campionato: uno solo in meno rispetto al suo record personale (16 nella stagione dello scudetto). In più, si è rivelato anche pararigori: ha ipnotizzato Calhanoglu, Thauvin e Gimenez, con solo Bonny capace di superarlo dal dischetto. I numeri parlano per lui. E il suo attaccamento al club è evidente: vive a Lucrino, non ha mai nascosto il desiderio di rimanere.

Una maratona contrattuale vicina all’arrivo

Pastorello e Manna si sono visti più volte, penna in mano, pronti a firmare. Poi rinvii, rallentamenti, dettagli. Una trattativa che ricorda l’estate pre-scudetto, quando Meret sembrava destinato a lasciare il Napoli per fare spazio a Navas, ma alla fine rimase e divenne protagonista assoluto.

Oggi, come allora, la volontà di restare c’è, forte e chiara. E salvo sorprese, sarà ancora il portiere del Napoli.

 

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Conte tiene i nervi saldi: niente feste, concentrazione massima, fiato sospeso per Lobotka

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Il Napoli di Antonio Conte è a un passo dal sogno, ma il tecnico salentino non vuole sentire parlare di scudetto. L’atmosfera nel quartier generale azzurro è stranamente silenziosa. Nessuna festa anticipata, nessuna bandiera al vento: solo lavoro, concentrazione e la solita routine. Conte, che vive nel cuore di Napoli per percepire l’umore della città, si tiene lontano da proclami e illusioni.

L’attesa per Lobotka e il piano Gilmour

Quando dalla clinica arriva la notizia che Lobotka ha solo una distorsione, il tecnico tira un sospiro di sollievo. C’è speranza che possa essere disponibile già per il match contro il Genoa. Nel frattempo, parte il “piano Gilmour”, con lo scozzese pronto a prendersi le chiavi del centrocampo da unico play.

La prudenza come stile di vita

Conte sa cosa vuol dire perdere tutto all’ultimo istante. Ricorda bene quella pioggia di Perugia nel 2000 e da allora le cicatrici delle sconfitte pesano più delle vittorie. Per questo evita ogni parola fuori posto. Niente slogan, niente euforia: solo attenzione ai dettagli. Non è scaramanzia, ma un realismo feroce.

Verso il Genoa senza mai nominare lo scudetto

In campo si lavora sul 4-4-2, con Olivera ancora centrale e la conferma di Raspadori. I 52mila del Maradona sono pronti: biglietti introvabili, clima elettrico, ma Conte è l’ultimo a uscire dal centro tecnico e anche stavolta, con i tifosi accalcati alle transenne, non pronuncia mai la parola scudetto.

Una stagione da sogno, ma vietato distrarsi

«Ricordiamo da dove siamo partiti», ha detto il tecnico, facendo riferimento alla vittoria ai rigori in Coppa Italia contro il Modena. Il cammino è stato lungo e faticoso. I premi? Se ne parlerà a fine stagione. Ora la squadra ha un solo obiettivo: battere il Genoa e vedere cosa fa l’Inter contro il Torino. Il resto, per ora, è solo rumore.

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Inzaghi nella storia: orgoglioso di una super Inter

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Simone Inzaghi scrive un’altra pagina della storia interista: la vittoria contro il Barcellona vale infatti la seconda finale di Champions League da allenatore nerazzurro, come solo Helenio Herrera nella storia del club. Un risultato storico, che il tecnico sottolinea con orgoglio: “Innanzitutto voglio fare i complimenti al Barcellona, abbiamo incontrato una squadra veramente forte. Ci è voluta una super Inter – le sue parole intervistato da Sky Sport -. Poi un plauso a questi ragazzi, hanno messo in campo due prestazioni mostruose altrimenti non si poteva raggiungere la finale. Sono orgoglioso, sono contento di essere il loro allenatore. È giusto che i ragazzi se lo godano davanti a questi tifosi”. Una prestazione da grande squadra, soprattutto nei supplementari, quando l’Inter ha trovato ancora le forze per tornare avanti.

“Ho detto che i cambi ci avrebbero aiutato, di crederci e di limitare una squadra non semplice da limitare. Lautaro, Dumfries, Frattesi non ha fatto la rifinitura, col cuore abbiamo superato l’ostacolo. Abbiamo cercato di giocarcela con le nostre armi e qualità. Dopo il 3-3 dell’andata avevamo chiaro cosa fare in campo, la squadra non è mai stata presuntuosa, la finale è meritata”, ha concluso. Una gara in cui decisivo è stato anche Yann Sommer, premiato come MVP della sfida. “Sono molto felice, la squadra ha fatto una roba incredibile. La parata su Yamal è stata speciale, lui è fortissimo e sono felice che non sia entrata. Questa roba che abbiamo fatto, con Acerbi che va a fare la punta…oggi tante squadre si sarebbero arrese dopo il 3-2. Noi abbiamo creduto fino alla fine, è tutto incredibile”.

E ancora di più lo è per Davide Frattesi, già decisivo nell’andata dei quarti contro il Bayern Monaco. “Vedevo tutto nero, sono stato fortunato a finire la partita. Mi sono stirato all’addome e abbiamo fatto un lavoro incredibile per esserci stasera. È incredibile essere in finale di Champions, non so che dire”.

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