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Corona Virus

Shock in Cina, uccisi cani e gatti di chi è in quarantena

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Shiangrao, provincia di Jiangxi, sud est della Cina. Un piccolo corgie viene svegliato di colpo da forti rumori fuori dalla porta di casa. Esce dalla sua cuccia e si nasconde sotto al tavolo. Due uomini, che indossano tute e visiere anti-Covid, entrano in casa tenendo in mano un sacchetto giallo ed un piede di porco. “Il capo ha detto che dobbiamo sistemare la cosa direttamente qui, sul posto no?”, chiede uno. “Si'”, risponde l’altro, che prende il piede di porco e lo usa per far uscire il cane da sotto al tavolo. L’animale spaventato corre in un’altra stanza ed esce dall’inquadratura. Sono i suoi ultimi momenti di vita, ripresi da una telecamera di sicurezza, che la sua padrona ha condiviso su Weibo, il sito di microblogging cinese. Il video ha suscitato sgomento e indignazione ed e’ diventato il simbolo della linea durissima adottata da Pechino nel tentativo di raggiungere il fantomatico traguardo di “zero casi Covid” nel Paese da cui tutto e’ partito. La proprietaria del piccolo corgie era stata costretta alla quarantena dopo la scoperta di un focolaio di coronavirus nella sua citta’, nonostante lei fosse risultata negativa al test. A tutti gli inquilini era stato ordinato di lasciare la porta dell’appartamento aperta per permettere la disinfezione di ogni stanza. Fu, questo il nome della padrona del cane, era stata rassicurata dagli operatori che nessuno avrebbe preso ne’ ucciso il suo cane. E invece il corgie e’ stato barbaramente abbattuto con un colpo alla testa.

Le immagini scioccanti hanno scatenato un dibattito online sui diritti degli animali in Cina ma anche su quanto, in questo periodo d’emergenza, il governo di Pechino abbia ampliato i suoi poteri di controllo sull’individuo. Non e’ la prima volta dall’inizio della pandemia che le autorita’ cinesi uccidono animali domestici. A settembre tre gatti nella citta’ nord-orientale di Harbin sono stati uccisi dopo essere risultati positivi al Covid senza il consenso del loro proprietario, che era in quarantena in ospedale. Nell’ambito delle strette misure contro il coronavirus, Pechino ha deciso di accelerare il passo sui vaccini. Il Paese ha gia’ inoculato il siero anti-Covid ad oltre il 75% dei suoi 1,4 miliardi di abitanti, per lo piu’ adulti e anziani, e adesso mira a vaccinare tutti i bambini tra i 3 e gli 11 anni, pari a circa 160 milioni, entro la fine dell’anno. Oltre la meta’ – 84,39 milioni – ha gia’ ricevuto la prima dose, mentre in 49,44 milioni hanno completato l’intero ciclo. Intanto l’Europa e’ tornata ormai da settimane il centro della pandemia con il virus che viaggia veloce. Mentre in Austria e’ entrato in vigore il lockdown per i non vaccinati, in Olanda, l’unico Paese europeo finor ad aver reintrodotto chiusure per tutti, sono stati registrati oltre 19.000 nuovi casi giornalieri, un record di gran lunga superiore a quello registrato appena qualche giorno fa di 3.000. Il Belgio, con una riunione del Comitato tecnico-scientifico il 17 novembre, si prepara ad una stretta per contrastare l’aumento di contagi. Previsti il ripristino dell’obbligo della mascherina al chiuso dai 9 anni, il ritorno al lavoro da casa dove possibile, la chiusura per almeno 3 settimane delle discoteche e delle attivita’ sportive al chiuso. Anche la Francia si difende sia all’interno, ritorno della mascherina alle elementari, che all’esterno, con l’obbligo per i viaggiatori sopra i 12 anni non vaccinati e provenienti da Germania, Belgio, Irlanda, Olanda, Austria e Grecia di presentare il risultato di tampone negativo molecolare o antigenico realizzato meno di 24 ore prima della partenza. In Gran Bretagna, il primo Paese in Europa che e’ stato travolto dalla nuova ondata spinta dalla variante Delta, si punta tutto sulla terza dose di vaccino con il via libera al booster per tutti i quarantenni. Cresce infine la pressione sugli ospedali in Germania, dove si continuano a registrare record di nuovi casi, e nei prossimi giorni si attendono nuove restrizioni.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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