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Cronache

Shoah, lettera dell’ambasciatore d’Israele agli ebrei di Napoli: opposizione allo Stato è antisemitismo

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Piazza Bovio, a Napoli, piena di studenti, alunni delle scuole elementari, delle medie, delle superiori: tutti presenti per ricordare le vittime della Shoah, per non dimenticare. In piazza oggi, in corrispondenza del civico 33, ultima residenza liberamente scelta dalle vittime napoletane della furia nazi-fascista, sono state installate, il 7 gennaio scorso, nove pietre di inciampo, dedicate ad Amedeo Procaccia, Iole Benedetti, Aldo Procaccia, Milena Modigliani, Paolo Procaccia, Loris Pacifici, Elda Procaccia, Luciana Pacifici, Sergio Oreste Molco. Tutti componenti della comunita’ ebraica di Napoli, costretti ad abbandonare le proprie case al momento della promulgazione delle leggi razziali per cercare rifugio altrove. Tutti arrestati e deportati ad Auschwitz, dove hanno trovato la morte. Una seconda manifestazione,dopo quella dello scorso 27 gennaio, organizzata dal Comune di Napoli, contro la quale la Comunita’ ebraica ha preso una dura presa di posizione, in polemica con l’assessore comunale alla Cultura, Eleonora deMajo, per le sue idee sullo Stato di Israele. “E’ una grande emozione essere qui e vedere questa piazza riempita da giovani – ha commentato Lydia Schiperer, presidente della Comunita’ ebraica di Napoli – Il futuro e’ dei giovani e hanno sulle loro spalle il peso di dover tramandare questo obbrobrio e il silenzio terribile intorno a cio’ che succedeva”. “C’e’ sempre bisogno di ricordare – ha sottolineato – e il ricordo non deve rimanere un’operazione sterile, e’ importante se lo si trasmette, se lo si fa apprendere ai giovani”.

Tra chi oggi commemora quegli anni terribili e le vittime dell’orrore, c’e’ Bruno Pastogi, nipote di Sergio Molco, il cui nome e’ su una delle Stolpersteine in piazza. “Vengo da Livorno – ha raccontato – mio zio, fratello di mia mamma, fu catturato a Viareggio,deportato nel campo di Bagno di Lucca e poi trasferito ad Auschwitz”. “E’ stato trucidato – ha aggiunto – a mio zio e’ toccata questa sorte perche’ faceva parte della famiglia Procaccia, mia zia Ivonne e’ sopravvissuta insieme con il figlio piccolo Renato”. Pastogi ha raccontato di essere stato bersaglio, nella sua citta’, di atti antisemiti: “Ho reagito, le forze politiche e la citta’ hanno reagito in maniera forte”. “Siamo in una situazione difficile a livello mondiale, questa cosa non ci fa stare sereni, ma nessuno ci fa paura – ha concluso – Non bisogna sottovalutare il problema, spesso si pensa che questi episodi siano frutto di qualche stupido o sconsiderato, invece dietro c’e’ un disegno politico ben piu’ forte”.

“Ancora oggi l’antisemitismo torna a serpeggiare pericolosamente nel cuore dell’Europa e nel resto del mondo, spesso mal camuffato sotto le nuove spoglie dell’antisemitismo. E’ importante mettere in chiaro che l’opposizione all’esistenza di uno Stato ebraico indipendente e’ anche antisemitismo”. E’ questo invece un passaggio della lettera di Dror Eidam, ambasciatore di Israele in Italia, inviata alla Comunita’ ebraica di Napoli, in occasione della cerimonia in ricordo delle vittime della Shoah e letta dalla presidente Lydia Schiperer. “L’odio di oggi verso gli ebrei o verso Israele e’ una avversione al ritorno del popolo ebraico alla storia e al ritorno degli ebrei a Sion – scrive – Questo e’ il significato profondo dell’antisionismo: opposizione al ritorno degli ebrei a Sion. E questo e’ antisemitismo” “E’ stato riaffermato chiaramente e ripetutamente dal presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano e dal Capo dello Stato Sergio Mattarella – afferma – ed e’ stato implicitamente ribadito dall’attuale Governo italiano con l’adozione ufficiale della definizione di antisemitismo dell’Ira”.

“Il popolo ebraico e’ un popolo che ricorda – conclude – la memoria e’ una questione essenziale per noi, una parte profonda del segreto della nostra esistenza, questo ricordo costante ha reso gli ebrei testimoni eterni dell’umanita’”. Non c’è scritto ma la lettera dell’ambasciatore Eidam è recapitato indirettamente anche all’assessore alla cultura del Comune di Napoli, la pasionaria Eleonora De Majo che spesso ha attaccato anche con epiteti brutali lo Stato di Israele per le sue politiche repressive nei confronti dei palestinesi.

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L’addio a Papa Francesco seguito da tutto il mondo, dalle tv ai social

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Francesco lo avrebbe voluto cosi: quello di Bergoglio è da considerarsi ad oggi il funerale di un pontefice con il più vasto accesso a livello mondiale. Non per le 250mila persone stimate in piazza San Pietro, ma per l’incalcolabile moltitudine di schermi accesi sulle esequie: quelli tv ma anche cellulari, tablet, pc e laptop. Con i social che da soli hanno sfiorato i 7 milioni di interazioni nelle ultime 12 ore. I network internazionali più noti – per la gran parte americani ma non solo, come Bbc, Sky e Al Jazeera – hanno tutti offerto sui propri siti web le dirette video della cerimonia in Vaticano e gli aggiornamenti fin dai primi arrivi sul sagrato della Basilica. E poi i quotidiani in ogni lingua, le radio, i canali youtube, a partire da quello della Santa Sede che ha trasmesso la cerimonia per intero. La rivoluzione tecnologica, che ha viaggiato veloce negli ultimi 20 anni – ovvero dal funerale di Giovanni Paolo II – ha portato così tutto il mondo lungo via della Conciliazione, tra le colonne di piazza San Pietro e al seguito dell’ultimo viaggio del pontefice che ha attraversato Roma fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore: dalle Filippine (il più popoloso paese cattolico al mondo), all’Africa, passando per l”Asia, gli Stati Uniti o l’America Latina che a papa Francesco aveva dato i natali. L’attesa era tale che fin dai giorni precedenti diverse testate, nelle loro edizioni online, offrivano indicazioni in dettaglio su come sintonizzarsi: le pagine web, gli orari, i canali social dedicati. Quest’ultima la maggiore novità da quando, nel 2005, il mondo salutò un papa in carica con la morte di Karol Wojtyła . E’ infatti, per esempio, rimbalzata prima sui social l’immagine – subito considerata storica – del faccia a faccia fra il presidente Usa Donald Trump e quello ucraino Volodymyr Zelensky nelle navate della Basilica prima delle esequie. E dalle prime analisi risulta essere al top dell’interesse globale, sfiorando alle 15 (ora italiana) quasi 3 milioni di interazioni, esattamente 2 milioni 915 mila e 481 così divise: su X 547.789, su Instagram 1.689.547 e su Facebook 678.145, secondo l’analisi della società Arcadia sulle conversazioni social e sul web. Tra le 25 emoji più utilizzate online per commentare i funerali ci sono le mani congiunte in preghiera e le bandiere dello Stato Pontificio, dell’Argentina e degli Stati Uniti. E, ovviamente, quasi la metà (47%) sono gli utenti dai 25 ai 34 anni ad aver partecipato maggiormente alle conversazioni digitali.

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Il rosso e il nero, a San Pietro geografia del potere

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Il rosso porpora dei cardinali e il nero degli abiti in lutto, il bianco delle rose e il marmo bianco del colonnato. Tra cerimoniale e protocollo sul sagrato di San Pietro si è dispiegata la geografia del potere spirituale e temporale racchiusa nella regia sapiente del rito. Le spettacolari immagini dall’alto, realizzate grazie anche all’inedito utilizzo di droni, hanno trasformato piazza San Pietro in una gigantesca scacchiera dell’equilibrio mondiale: da un lato il rosso degli abiti cardinalizi, dall’altro il nero degli abiti dei capi di Stato e consorti sapientemente distribuiti in base a ruolo e peso internazionale. A seguire, in una sorta di sfumatura cromatica, il bianco dei concelebranti e i variopinti completi delle decine di migliaia di fedeli. In prima fila la delegazione italiana e quella argentina alle quali si sono affiancate, con un piccolo strappo al cerimoniale che voleva una disposizione in ordine alfabetico francese, quelle dei principali governi europei e mondiali, dalla Francia agli Stati Uniti, passando per la Spagna e l’Ucraina. L’unico outfit blu, invece del tradizionale nero, è stato quello del presidente americano, Donald Trump che, in prima fila, si trovava tra Filippo di Spagna ed Emmanuel Macron. Zelensky per un giorno ha dismesso maglietta e pantaloni tecnici in verde militare per vestire di nero. Poi le first ladies di ieri e di oggi e nobili col capo coperto da un velo nero, da Melania Trump a Jill Biden, da Silvia di Svezia a Letizia di Spagna. Victoria Starmer ha preferito però un cappello con veletta. Capo coperto anche per la figlia del presidente Mattarella, Laura. Giorgia Meloni, Ursula Von der Leyen e Brigitte Macron non hanno rinunciato allo stile rigoroso ma senza veletta. L’austerità della celebrazione a piazza San Pietro ha lasciato poi spazio alle rose bianche con cui i poveri e i migranti hanno accolto il feretro di Francesco a Santa Maria Maggiore, proprio come lui avrebbe voluto. Gli zuccotti rossi dei cardinali si confondevano con le giacche beige dei fedeli o le magliette dell’Argentina, ai jeans strappati e gli smanicati rossi. Ad accompagnare il feretro verso la cappella dove poi Bergoglio è stato tumulato prima i domenicani, con il loro tradizionale – ed umile – abito nero e bianco, e poi quattro bambini. Nelle loro mani due cesti di rose bianche offerte dai poveri davanti all’altare della Basilica tanto cara a Francesco. Lo stesso altare sul quale, dopo le dimissioni dal Gemelli, il Pontefice decise di far deporre a sorpresa i fiori gialli della signora Carmela. Che, anche oggi, immancabile, ha deciso di prender parte alle esequie, tra i Grandi della Terra e gli “ultimi del mondo”.

(Foto in evidenza di Imagoeconomica)

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Elezioni comunali con 23 liste a Bisegna: il trucco della vacanza retribuita dietro una farsa elettorale

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Incredibile ma vero: 23 liste si sono presentate per le elezioni amministrative di Bisegna, minuscolo comune abruzzese in provincia dell’Aquila, con appena 212 abitanti. Un numero spropositato che nasconde una realtà scandalosa: 21 liste su 23 sono composte da agenti della polizia penitenziaria che si sono candidati non per partecipare davvero al processo democratico, ma per usufruire di un mese di aspettativa retribuita, garantita dalla legge, con la scusa della campagna elettorale.

Il vero scopo: un mese di ferie pagate

Delle 23 liste, solo due rappresentano candidati locali che hanno a cuore il futuro del paese. Le altre sono state messe in piedi esclusivamente per consentire ai candidati di prendere ferie retribuite: un abuso normativo che trasforma le elezioni, fondamento della democrazia, in una comoda vacanza a spese dei contribuenti. Una beffa clamorosa, soprattutto se si pensa che alle ultime elezioni hanno votato solo 150 persone.

Un meccanismo che tradisce la fiducia nelle istituzioni

Questa vicenda getta un’ombra pesante sulla credibilità del sistema elettorale locale. Organizzare liste fittizie per ottenere privilegi economici senza alcuna intenzione di governare o migliorare la vita di una comunità tradisce lo spirito delle elezioni, nate per consentire ai cittadini di scegliere chi li rappresenterà davvero.

Un caso che chiede risposte immediate

La situazione di Bisegna impone una riflessione urgente: è inaccettabile che le regole, pensate per garantire la partecipazione democratica, vengano piegate a interessi personali. Serve un intervento normativo che blocchi questi abusi e ristabilisca il rispetto per un diritto fondamentale come quello del voto.

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