Un archivio pubblico delle sentenze civili, creato con milioni di euro e accessibile con Spid o Cie, ma del tutto inutile perché privo di nomi, date e riferimenti. Così il Ministero della Giustizia ha tentato di raggiungere uno degli obiettivi del Pnrr, ma ha finito per contraddirlo. E ora il Tar del Lazio annulla il decreto ministeriale che imponeva l’anonimizzazione generalizzata.
L’iniziativa del Ministero, lanciata a dicembre 2023, intendeva facilitare la diffusione dei precedenti giurisprudenziali per ridurre il contenzioso. Ma la decisione di oscurare ogni dato identificativo – inclusi i nomi di persone, società e le date – ha neutralizzato lo scopo stesso della banca dati. Un’anomalia, resa ancora più evidente dal fatto che ai magistrati è consentita la consultazione in chiaro, così come accade per le banche dati della Cassazione e della giustizia amministrativa.
A opporsi sono stati due avvocati, Flavio Mondini e Matteo Rescigno, con il supporto di docenti universitari e dell’Ordine degli Avvocati di Milano, assistiti dal legale Alessandro dal Molin, che hanno presentato ricorso al Tar del Lazio.
La sentenza: «Una scelta irragionevole e sproporzionata»
I giudici amministrativi non hanno avuto dubbi: «Non è ragionevole, proporzionata o necessaria» l’anonimizzazione totale. Tale scelta, si legge nella decisione, «rende sostanzialmente impossibile comprendere l’esatta portata delle sentenze», svuotando così di senso lo strumento.
Il bilanciamento tra privacy e trasparenza è già regolato dal decreto legislativo 196 del 2003, che vieta la diffusione dei dati dei minorenni e prevede l’oscuramento solo in casi specifici, come la tutela della dignità nei procedimenti delicati o su richiesta dell’interessato. E tale valutazione spetta ai giudici, non all’amministrazione.
Il Tar ha quindi stabilito che il Ministero non può «sostituirsi all’autorità giudiziaria nella valutazione circa la necessità di anonimizzazione», evidenziando come l’oscuramento generalizzato interferisca anche con decisioni riservate ai magistrati.
L’accordo con gli editori: una disparità intollerabile
A rendere ancora più controversa la condotta del Ministero, la concessione dell’accesso illimitato e non anonimizzato a un gruppo selezionato di editori privati. Grazie a un accordo siglato con l’Associazione Italiana Editori, alcune case editrici hanno potuto estrarre e pubblicare integralmente le sentenze, in totale controtendenza con il principio invocato per l’anonimizzazione generalizzata.
Una contraddizione macroscopica che ha pesato nella decisione dei giudici amministrativi, i quali hanno visto in questa scelta una disparità ingiustificata tra soggetti privati e la collettività.