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Cinema

Roberto Andò, Il bambino nascosto

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Le linee dritte delle buone intenzioni, dei buoni propositi, dei buoni sentimenti, rischiano di non durare a lungo sotto i colpi della città che trasformano tutto, a quanto pare, nei grumi di una violenza senza fondo e senza ragione. Se poi le linee dritte neppure ci sono, e le traiettorie sono nient’altro che le curvature di un uomo irrisolto, ambiguo nel suo disincanto di mezza età inoltrata, il magma urbano può prendere il sopravvento in qualsiasi momento e quel che non è accaduto in una vita, succede in un attimo.

L’attimo è quel che basta a Ciro, per intrufolarsi nella vita di Gabriele Santoro, il maestro di pianoforte intrappolato in una rassegnazione senza rimedio, attraverso una porta lasciata improvvidamente aper. Ciro è il bambino che vive al piano di sopra del “palazzo di merda, in un quartiere di merda”, nel mezzo di un conflitto tra l’affetto preoccupato della mamma e l’esempio sdrucciolevole del padre, un malvivente di mezza tacca. “Mi devi aiutare”, intima il bambino al musicista. Se lo trovano, gli fanno male, molto male, per motivi che il bambino non rivela al Maestro e che quest’ultimo scoprirà poco a poco e in maniera del tutto fortuita. Pur avendo intuito fin dall’inizio che c’entra la camorra. E infatti, si tratta di uno sgarro di camorra, che il piccolo Ciro, già lanciato in uno sconcertante modo fanciullesco nell’epica della violenza, potrà pagare solo col sangue. 

Il Maestro decide dunque di aiutare il bambino. Ma nel mentre lo nasconde –racconta il film- disvela le praterie segrete della sua vita, le passioni inconfessate, le disillusioni colte e decadenti. Fino all’epilogo provvisorio, in cui Gabriele e Ciro danno scacco alla ferocia dei persecutori, da un lato e, dall’altro, al conformismo borghese, che macina e digerisce tutto.  

Roberto Andò adatta per il cinema il suo romanzo omonimo, sceneggiato con Franco Marcoaldi. Silvio Orlando, il Maestro Santoro, vola ormai negli strati superiori dell’interpretazione. Si conferma come l’attore dei ruoli difficili, sfuggenti, multivoci. Bisognerà trovare il modo di dargli un Oscar. Il piccolo Ciro, Giuseppe Pirozzi, fa la sua parte in un andirivieni costante con la personalità di Gabriele. Ma non sfuggiranno certo le apparizioni brevi e percussive della “famiglia” che incarna le tradizioni borghesi attraverso Roberto Herlitzka, il padre, vecchio magistrato (“se dovessi scegliere, oggi, tra la legge e l’amore, sceglierei l’amore”) e un sempre più bravo Gianfelice Imparato, il fratello, anch’egli magistrato, carrierista impenitente prima che dispensatore di giustizia. 

Napoli è, qui, una città che vive di notte e al chiuso, senza il sole dell’oleografia, dove non si vede mai il Vesuvio e dove il mare è grigio e non azzurro. Un sorprendente risultato di Maurizio Calvesi, direttore della fotografia, ormai da tempo collaboratore del regista. Ma tutto il film, per vero, appare come una sorta di “epifania del luogo”, in ciò che esso è e non di ciò che esso ha. Una apparizione che si mostra attraverso i comportamenti sociali e che si salva, quando si salva, grazie a qualche combinazione di occasioni, ma non ha voglia di coltivare delle possibilità di riscatto. 

Per non dimenticare le sonorità, annotiamo i preziosi richiami alle barocche “Follie di Spagna” le quali accompagnano musicalmente l’idea che, in fondo, nulla è da spiegare perché non c’è niente da capire. Le cose si fanno, senza un progetto: si fanno e basta.   

Alberto Raf*

  • Alberto Raf è un cultore delle pratiche della scena

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Morto a 65 anni l’attore americano Val Kilmer

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È morto all’età di 65 anni l’attore americano Val Kilmer. Lo rende noto la famiglia, citata dal New York Times. Il decesso è avvenuto a Los Angeles a causa delle complicazioni di una polmonite, ha spiegato la figlia Mercedes Kilmer. All’attore era stato diagnosticato un cancro alla gola nel 2014, da cui era riuscito a guarire. Tra le sue tante interpretazioni si ricordano in particolare quella Jim Morrison in ‘The Doors’ del 1991 di Oliver Stone, quella di Iceman in ‘Top Gun’ del 1986 di Tony Scott e quella di Bruce Wayne in ‘Batman forever’ del 1995 di Joel Schumacher.

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Giovanni Bagnasco e “il mostro”: “Ho imparato a non essere vittima. La felicità è una responsabilità”

Nella serie L’arte della gioia è Ippolito, il “mostro” che conquista il cuore dello spettatore. Nella vita, Giovanni Bagnasco è un ragazzo di 25 anni con il volto segnato dalla sindrome di Treacher Collins e un’anima limpida che illumina ogni sua parola. In un’intervista al Corriere della Sera racconta la sua storia fatta di sfide, consapevolezza e rinascita.

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«Potrei scrivere un libro sugli sguardi. Da piccolo anche il non detto faceva male», racconta Giovanni Bagnasco. Il suo volto racconta una storia rara, segnata dalla sindrome di Treacher Collins, una malattia congenita che colpisce ossa e cartilagini del volto. Eppure, Giovanni ha imparato presto a distinguere tra due tipi di persone: «i cuori buoni e i cuori ciechi».

Cresciuto nella quiete di Chianciano Terme, tra campagna e spazi aperti, ha coltivato sogni artistici tra un lavoro da casellante e un corso di lingua dei segni mai concluso a causa del Covid. Fino all’improvviso incontro con il mondo del cinema, che lo ha accolto attraverso due provini superati: uno per Finalmente l’alba, l’altro con Valeria Golino per il ruolo di Ippolito.

“Il mostro” che racconta la forza interiore

«Il personaggio non è stupido, è solo stato isolato», gli dice Golino. E lui in quel ruolo riversa tutto: «la parte docile e quella vulcanica». Nessuna scuola di recitazione, ma la forza di una vita vissuta senza filtri. «Sul set, mentre giravo le scene più violente, pensavo ai momenti difficili vissuti», confessa.

E quando si parla d’aspetto, Giovanni è disarmante: «La parola ‘mostro’ non mi ferisce più, è solo una componente della mia vita». Da piccolo piangeva, si chiedeva “perché a me?”, ma oggi si è dato una risposta che lo guida: «Dovevo nascere così e basta. Fare la vittima non ti renderà felice».

L’amore, la musica, il futuro

Oggi è un attore emergente, ma anche un ragazzo che ha vissuto l’amore, che ha scritto testi rap, che ha lottato contro il dolore. «Ho ricevuto tanto e ho dato tanto», racconta. Sui social ci sta poco: solo per progetti artistici o per sostenere la onlus del suo chirurgo, la Smile House. «Da ragazzino, i social mi facevano male. Era una vita parallela».

La sua forza più grande è quella di saper vedere oltre: «Sembrerei più brutto se stessi sempre a disperarmi. Siamo tutti belli, se troviamo la nostra bellezza interiore».

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Associazioni del cinema in allarme, ‘siamo al collasso’

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Il mondo del cinema e dell’audiovisivo torna a far sentire la propria voce. Questa mattina l’allarme è arrivato da una ventina di associazioni del settore, tra cui Anac, 100 Autori e Air3, che hanno chiesto al governo di “fare presto” e di varare tempestivamente i decreti correttivi del tax credit e la documentazione richiesta dai giudici del Tar del Lazio sempre sulla relativa normativa. “Ormai da un anno il settore del cinema e dell’audiovisivo vive nell’incertezza del suo futuro. Questo è un lavoro da cui dipendono famiglie intere, eppure più del 70% delle maestranze, attori e autori sono senza occupazione, molti da più di un anno, quasi tutti senza prospettive di lavoro davanti a sé. Ogni giorno in più di rimando è un pezzo del settore che sparisce per sempre – si legge nell’appello -. Non possiamo permetterci di aspettare oltre: il settore ha bisogno di risposte concrete e tempestive per evitare il collasso”.

A rispondere è stata subito Lucia Borgonzoni, sottosegretaria alla Cultura, assicurando, durante la presentazione a Roma dell’Italian Global Series Festival, che sul tax credit “è tutto a posto, procederemo a breve. Era stata depositata al Tar una richiesta, l’udienza è stata spostata a maggio. Presto pubblicheremo l’ultimo correttivo”. Attaccata dai componenti del Pd della Commissione Cultura della Camera, che indicano il ministro Alessandro Giuli, l’ex ministro Gennaro Sangiuliano e la stessa Borgonzoni come responsabili del “disastro” di cinema e audiovisivo, la sottosegretaria ha affermato: “Allora se dovessimo guardare il problema che c’è stato nell’audiovisivo viene da un governo di prima, mi dispiace dire che è Franceschini, perché queste modifiche andavano fatte molto prima”, ha sottolineato, “io con Franceschini ho lavorato bene per tante cose, lui non ha voluto fare le modifiche che andavano fatte nonostante all’allarme lanciato anche dagli uffici a suo tempo, perché ovviamente è molto più semplice lasciare la palla al governo che viene dopo”.

“Comunque, le produzioni ci sono, i set aperti sono 37. Mi dispiace che si lanci un allarme da parte di Pd e 5 stelle che continuano a cavalcare questa cosa dando l’idea anche agli operatori internazionali che vengono a lavorare in Italia che qui ci siano dei problemi, che non ci sono soldi e che nessuno sta girando. Stanno facendo un danno al settore. Mi piacerebbe che parlassero con le associazioni davvero rappresentative del settore per chiedere se stanno girando oppure no. E la risposta credo sarebbe diversa”, ha concluso. Sul tema è intervenuta a smorzare i toni Chiara Sbarigia, presidente Associazione Produttori Audiovisivi, che, pur condividendo la preoccupazione sul tax credit, ha evidenziato che “i set sono aperti. Terrei più basso l’allarme e cercherei di sburocratizzare il tax credit: noi abbiamo seguito l’iter di riforma, abbiamo dato suggerimenti, ma credo che il problema riguardi il cinema con le produzioni più piccole, non l’audiovisivo”.

Il dibattito però si è infiammato, con la controreplica di Pd e M5s: “il cinema è malato ma il governo ha deciso di ucciderlo”, ha ribattuto Sandro Ruotolo, responsabile Cultura nella segreteria del Pd, mentre il cinquestelle Gaetano Amato è andato all’attacco di Borgonzoni affermando che “se ha coraggio si confronti con gli operatori del settore, parli con le vere associazioni, non solo con quelle vicine ai suoi amici. Noi siamo pronti a organizzare gli Stati Generali ‘pubblici’ del settore”. Anche tra i doppiatori italiani cresce la preoccupazione: a due settimane dalla protesta lanciata attraverso il video appello in cui 12 doppiatori hanno prestato il volto e la voce per dire ‘no’ ad un mondo in cui le espressioni artistiche saranno create da algoritmi, l’Associazione Nazionale Attori Doppiatori si è rivolta oggi a tutta l’industria audiovisiva, agli artisti, alle istituzioni e al pubblico per chiedere appoggio contro l’uso incontrollato dell’Intelligenza Artificiale. Intanto, ieri anche la regista e sceneggiatrice Liliana Cavani aveva sottolineato l’urgenza di difendere il cinema dal predominio della televisione.

“E’ inutile che il Centro Sperimentale continui a creare professionalità se poi il cinema va a finire in tv – aveva detto Cavani -. Il futuro obbligherà ancora di più la gente a vedere i film in casa e così andrebbe fatta una campagna seria contro tutto questo”. Diversa la posizione del regista e attore Carlo Verdone: “Le preoccupazioni di Liliana Cavani sono legittime, ma non è che la gente non va più al cinema. Tanti film vanno bene. Dipende dalla bontà del film, dipende tutto da lì. Se il film non attira e non c’è passaparola allora si fa fatica. Ci vogliono i film giusti”, ha detto, affermando di condividere e appoggiare invece la richiesta di aiuto dei doppiatori.

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