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Corona Virus

Risarcimento da 20 mila euro per danni morali a chi si è vaccinato con AstraZeneca

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Essersi vaccinati, essersi fidati, aver fatto la cosa giusta per contribuire a difendere anche gli altri da questo maledetto Covid19, dopo aver dovuto vincere i mille dubbi giustamente sorti da una campagna mediatica dove molto spesso, troppo spesso, personaggi in cerca di qualche attimo di notorietà hanno giocato sui nervi della gente, a chi la sparava più grossa. 

Forse questo è stato tra gli aspetti della pandemia peggio gestiti, anche perché ormai le fake news e la disinformazione populistica corrono a briglie sciolte sui social network, dove grazie al caos e all’anarchia del web, riescono ad oscurare il giornalismo professionale e credibile, quello che rifugge dai facili sensazionalismi e pone sempre al centro la corretta informazione, basata su fatti obiettivi e riscontrabili. 

Quindi, come spesso accade, chi tenta comunque di fare la cosa giusta, anche se comprensibilmente intimorito da un bombardamento di notizie nefaste, e pur avendo accettato di essere trattato un po’ da cavia, in questa campagna vaccinale che è a tutti gli effetti anche una immensa sperimentazione di portata planetaria, alla fine deve fare anche i conti con una disfunzione che è prodotta principalmente dall’avidità umana. Perché se è vero che la macchina organizzativa vaccinale è stata impeccabile nella fase della somministrazione, grazie allo straordinario impegno del personale sanitario, delle Forze Armate e della Protezione Civile, di fronte agli interessi economici delle multinazionali, molte speranze possono infrangersi. E’ indubbio che i colossi del campo farmaceutico e biomedico abbiano contribuito a salvare letteralmente il mondo da una pandemia che poteva avere effetti devastanti irreversibili, ma è pur vero che anche di fronte alla tragedia mondiale ancora in corso, non cedono alla possibilità di una diffusione gratuita dei vaccini in favore di tutti coloro che non possono permetterselo. Sono questioni delicate che occupano il dibattito quotidiano mondiale e, come sempre, la verità forse è nel mezzo ed è giusto contemperare gli interessi societari e privati con quelli sanitari e collettivi. Ma è altrettanto vero che il caso del colosso anglo svedese “AstraZeneca”, rappresenta davvero una delle peggiori pagine della turbolenta storia pandemica dei giorni nostri, dove alla fine non può pagare sempre il cittadino comune.

Difatti, non si sta parlando solo di effetti indesiderati e del rischio accettato all’atto del consenso informato, ma si sta parlando di un vaccino che fin dalle prime dosi si è dimostrato di dubbia efficacia nel rapporto “costi/benefici”, per cui anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è intervenuta più volte nel tira e molla  sul probabile e definitivo ritiro. Nel mese di Marzo trascorso anche la nostra A.I.F.A. ordinò il primo ritiro di un intero lotto, e dopo diversi casi di trombosi e decessi, sospetti o meno, a seguito del recente caso della morte di una giovane diciottenne, che lo aveva ricevuto nel Genovese durante un Open Day del 25 Maggio, il ritiro si è ripetuto. In queste ore poi, anche il Governatore della Campania Vincenzo De Luca ha comunicato l’intenzione di vietare la somministrazione del vaccino in parola negli under 60.

Ricordiamo ancora che contro “AstraZeneca” è intervenuta anche il Presidente della Commissione Europea Ursula von der Lier, la quale ha richiamato con forza l’azienda sulle contestate inadempienze contrattuali, giungendo fino al punto di minacciare risoluzioni e sanzioni.

Un disastro preannunciato dunque, che nelle ultime settimane ha toccato un picco di somma gravità.  Non possiamo oggi immaginare come si possano sentire tutti coloro che si sono sottoposti alla vaccinazione con questo prodotto, soprattutto l’angoscia insorta dopo la prima o seconda dose, allorquando hanno dovuto fare addirittura i conti  con la possibilità di poter essere vittime, con maggiore probabilità, di trombosi fino alla morte. 

Infine, come se non bastasse, registriamo finanche anche il caso di chi, presentatosi presso il centro preposto per ricevere la seconda dose del vaccino “AstraZeneca”, è stato rimandato a casa, con la sola promessa della somministrazione di una diversa dose, tuttavia senza comunque sapere di quale altra azienda produttrice. Mistero anche sulla data di rinvio. E tanto ciò è quanto accaduto anche all’amica e collega avv. Giuseppina (Pina) Di Nuzzo, anche lei membro attivo del nostro comitato Tutela Utenti Online e con la quale, a seguito dello spiacevole evento che l’ha colpita in prima persona, abbiamo deciso di intraprendere anche questa nuova battaglia legale, che potrà essere estesa e condivisa da tutti coloro che si sono vaccinati con il prodotto “AstraZeneca”, e per il qual motivo hanno subito una opprimente inquietudine, sopraggiunta nel momento in cui si doveva solo riassaporare un po’ di speranza nel futuro.

A parte tutti gli altri ed anche più gravi profili che saranno trattati nella loro delicatissima specificità, appare oggi doveroso chiedere un risarcimento anche del solo danno non patrimoniale, per il patema d’animo sopportato, la paura e lo stress subiti per una ingiusta ed assurda situazione, che quantifichiamo in ventimila euro a persona, salvo una diversa determinazione dei Giudici che saranno chiamati a decidere secondo equità. Con l’auspicio che tutte le somme oggetto di risarcimento, anche tramite il nostro Governo, saranno poi oggetto di puntuale rivalsa nei confronti del colosso farmaceutico, a fronte di tutte le eventuali responsabilità dirette che saranno accertate. Perché i cittadini virtuosi non possono sempre sopportare le conseguenze ed il peso di tutto. 

Per info legali: avv.giomastroianni@gmail.com

(Nella foto in evidenza gli avvocati Giovanni Mastroianni e Giuseppina Di Nuzzo)

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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