Le sei pale portanti del maxi elicottero dei vigili del fuoco sollevano una tonnellata e mezza di rottami, che in pochi secondi spariscono all’orizzonte. Cinque mesi e mezzo dopo il crollo della funivia che ha causato la morte di quattordici persone, e il ferimento del piccolo Eitan, sul Mottarone quel che restava della cabina n.3 non c’e’ piu’. Rimosso dalla montagna tra i laghi Maggiore e Orta per metterlo al riparo dalle intemperie e consentire a periti e consulenti di capire cosa e’ accaduto lo scorso 23 maggio. “Un momento simbolicamente molto doloroso e difficile”, sottolinea il procuratore di Verbania Olimpia Bossi, titolare dell’indagine che entra dunque nel vivo. “Siamo gia’ in una fase avanzata dell’incidente probatorio, in relazione alla difficolta’ dell’indagine e dei luoghi sono tempi davvero rapidi”, aggiunge il magistrato senza sbilanciarsi sulla possibilita’ che l’udienza di inizio dicembre venga rinviata per consentire tutti gli accertamenti del caso. Le operazioni sono scattate al termine di un lavoro di alcune settimane durante le quali la cabina, dopo la messa in sicurezza della zona, e’ stata sezionata e impacchettata. Piu’ pesante la parte superiore, quella con dentro la testa fusa, il cilindro metallico in cui si innesta il cavo trainante spezzato, ancora conficcata in un tronco. E poi il sistema frenante e il carrello con le ruote. “C’e’ stato un attimo di esitazione, perche’ il carico da sollevare era troppo leggero per l’elicottero. Poi tutto e’ filato liscio”, spiega il comandante dei vigili del fuoco, Roberto Marchioni. Un secondo velivolo preleva il tetto e il pavimento, mentre la prima parte inizia via terra il suo ultimo viaggio, dal campo sportivo di Gignese al Tecnoparco di Verbania-Fondotoce, reso piu’ complicato del previsto dalle dimensioni dei resti. “Per noi e’ un cerchio che si chiude. Adesso la magistratura fara’ il suo corso e il Mottarone, come giusto, guardera’ al futuro”, sottolinea il sindaco di Stresa, Marcella Severino, avvolta nella giacca a vento per proteggersi dal freddo pungente anche quando il sole e’ ormai alto e sulle pendici della montagna resta soltanto qualche cavo d’acciaio, oltre al materiale utilizzato per le operazioni, portato poi a valle con un terzo volo. “Speriamo di estrarre al piu’ presto la testa fusa e cominciare a capire dove si e’ rotta la fune”, e’ l’auspicio dell’avvocato Marcello Perillo, legale del caposervizio della funivia Gabriele Tadini, l’unico ad essere agli arresti domiciliari. Con lui sono indagate a piede libero altre undici persone, tra cui Luigi Nerini ed Enrico Perocchio, gestore e direttore di esercizio dell’impianto, che proprio oggi hanno impugnato la decisione con cui nei giorni scorsi il Tribunale del riesame di Torino ha disposto per entrambi gli arresti domiciliari. Indagate anche due societa’, Ferrovie del Mottarone che aveva in gestione la Stresa-Mottarone, e la Leitner di Vipiteno, che aveva in carico la manutenzione. E in Trentino la fune che reggeva la cabina precipitata dovra’ tornare per essere analizzata dal Laboratorio tecnologico impianti a fune (Latif) della Provincia di Trento, punto di riferimento nazionale ed europeo per quanto riguarda gli impianti a fune e l’unico laboratorio in Italia specializzato in tutte le tipologie di prova applicate sugli elementi funiviari. Il gip di Verbania ha infatti stabilito di far analizzare gli spezzoni di fune e la testa fusa a Ravina, dove ha sede, dal personale tecnico dell’azienda, inserito anche nei gruppi di lavoro per la stesura di norme in materia di sicurezza sul trasporto a fune e sulle procedure di prova e controllo, sia nazionali, sia europee.