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Renzi attacca sul cuneo fiscale ma Conte lo stoppa: non servono i fenomeni

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Sul cuneo fiscale si combatte una doppia battaglia: economica e politica. La prima vede impegnato il ministero dell’Economia, che deve definirne i dettagli e trovare le risorse. La seconda e’ deflagrata nella maggioranza, con uno scontro a viso aperto fra Matteo Renzi e Giuseppe Conte. Il leader di Italia Viva ha mirato contro la misura piu’ cara al suo ex partito, il Pd: “Mettono solo 2 miliardi sul cuneo fiscale, mica possono dire che e’ la rivoluzione del proletariato”. E mentre gli alleati di governo gli rispondevano misurando le parole, il presidente del Consiglio ha mostrato una inusuale irritazione: “Quando parliamo di lavoratori bisogna avere rispetto per loro”, ha detto, specie se si fa dall’alto di “uno stipendio consistente. Non abbiamo bisogno di fenomeni”. La replica di Conte non e’ piaciuta a Italia Viva. “Nessuno di noi fa il fenomeno, caro presidente Conte – ha risposto Ettore Rosato – Quelli che facevano i fenomeni sono quelli con cui lei ha governato lo scorso anno, non siamo noi”. Per attaccare il cuneo fiscale, Renzi ha fatto pesare i ‘suoi’ 80 euro. Certo, lui “ha dato molto di piu’ – ha detto il premier – ma noi abbiamo un quadro di finanza molto delicato”. Il punto sta li’, nei soldi a disposizione: “Il nostro compito – ha spiegato il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri – e’ rimettere il Paese sulla strada della stabilita’ e della crescita, nell’ambito delle limitate risorse disponibili”. Il Renzi ‘fenomeno’ qualcuno lo ha gia’ sperimentato. Memore del famoso “Enrico stai sereno”, l’ex premier Letta ha dato “un consiglio non richiesto a Conte e a Zingaretti. Non facciano come me – ha detto – Facciano con Renzi un patto, nel momento in cui lui non lo rispettera’ si vada al voto. Se si va avanti come oggi il governo non arriva a mangiare il panettone”. Preso in mezzo fra consigli non richiesti – e forse nemmeno particolarmente graditi – e attacchi alle sue misure bandiera, il Pd ha mantenuto la linea dettata da Nicola Zingaretti e Dario Franceschini: limitare al massimo distinguo e polemiche. Se il vicesegretario Andrea Orlando ha chiesto che non “ricominci la trafila delle campagne elettorali parallele”, sul cuneo fiscale, il segretario dem ha ribadito che “abbassare le tasse sul lavoro e alzare gli stipendi e’ una delle priorita’”. Il ministro dei beni culturali ha difeso l’azione del governo: “Non e’ un pannicello caldo”. E ha risposto a Renzi, chiedendo piu’ “lavoro di squadra”. Dal fronte M5S, anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che ultimamente e’ apparso convergere con Renzi, stavolta si e’ schierato con il premier: “Mi fido di Giuseppe Conte. Secondo me dobbiamo abbassare i toni, non c’e’ bisogno di litigi”. Anche Leu sta con Conte: “Il cuneo fiscale e’ una buona cosa”, ha detto il ministro alla salute Roberto Speranza. Mentre il premier e Renzi si scontrano, il ministero dell’Economia e’ al lavoro sui numeri. Palazzo Chigi ricorda che il taglio al cuneo “conduce ad un beneficio medio di 40 euro mensili in busta paga per i lavoratori”. Una cifra che si raggiungerebbe se la nuova misura si applicasse alla stessa platea che beneficia del bonus Irpef voluto dal governo Renzi: i lavoratori con reddito fino a 26 mila euro. Ma si stanno ancora facendo le simulazioni. L’idea sarebbe quella di ampliare l’intervento ai redditi fino a 35 mila euro (e il Pd punterebbe a spingersi fino a 40 mila euro), cercando una soluzione per fare arrivare il beneficio anche agli incapienti, cioe’ a chi guadagna meno di 8 mila euro, rimanendo sotto la no tax area. Al momento, la nota di aggiornamento al Def prevede uno stanziamento da 2,7 miliardi per il 2020 (che consentirebbero un effetto di 40 euro al mese per meta’ dell’anno a circa 10 mila lavoratori), da portare a poco piu’ di 5 miliardi a regime. Fondi, ha ricordato Di Maio, da trovare soprattutto con la lotta all’evasione.

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Liliana Segre: «Israele e Palestina, intrappolati nell’odio. Ma la pace resta l’unica via possibile»

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Parole profonde, lucide, amare. Quelle della senatrice a vita Liliana Segre, che in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera si è espressa con fermezza sul conflitto in Medio Oriente, sull’antisemitismo, sulla crisi della democrazia in Europa e nel mondo. «Provo uno sconforto che rasenta la disperazione», ha detto commentando il riaccendersi della guerra tra Israele e Hamas. E ha lanciato un appello accorato: «Due popoli, due Stati resta l’unica via. Nonostante tutto».

«Due popoli in trappola»

Segre descrive il popolo israeliano e quello palestinese come due nazioni «intrappolate, incapaci di liberarsi da una condanna a odiarsi». Una spirale di violenza aggravata, secondo la senatrice, da una classe dirigente dominata dalle «componenti peggiori». Parole durissime su Hamas, definito un «movimento teocratico e sanguinario», e sul governo Netanyahu, che guida Israele con «una destra estremista, iper-nazionalista, con componenti fascistoidi e razziste».

«Il trauma del 7 ottobre – aggiunge – ha certamente imposto una reazione, ma la guerra a Gaza ha assunto connotati inaccettabili. Israele ha oltrepassato i limiti del diritto di difesa, provocando stragi e distruzioni immani».

Nessuna giustificazione per Hamas

Segre è chiara anche su un altro punto: Hamas non è il popolo palestinese. «Non si batte per la libertà del popolo palestinese, ma per distruggere Israele. E lo stesso vale per il regime iraniano, che li usa solo per combattere l’“entità sionista”». Anche Israele ha commesso gravi errori, ma la senatrice ricorda che il ritiro da Gaza nel 2005 apriva una strada verso la pace che è stata vanificata dalla presa del potere violenta di Hamas nel 2006.

«Il genocidio? No, ma crimini di guerra sì»

Nel corso dell’intervista, Segre torna su quanto già affermato in passato: a Gaza si sono visti crimini di guerra e contro l’umanità, da entrambe le parti. Tuttavia, non si può parlare di genocidio: «È un concetto preciso, giuridicamente e storicamente. Le atrocità commesse non bastano a definirlo tale».

La pace come unica via

Nonostante tutto, Segre continua a credere nella soluzione dei due Stati: «Ogni fiammata di violenza rende tutto più difficile, ma non ci sono alternative. Solo la volontà politica può aprire spiragli». E invita a guardare la storia, dove svolte improvvise e impensabili hanno spesso cambiato il corso degli eventi.

«Antisemitismo mai morto, ora è sdoganato»

Un passaggio forte è dedicato al ritorno dell’antisemitismo: «Non era morto, ma nascosto. Ora non ci si vergogna più. Si prende a pretesto la condotta del governo israeliano per giustificare l’odio contro tutto il popolo ebraico, anche contro la diaspora».

L’allarme globale: autoritarismi e il pericolo Trump

Liliana Segre allarga lo sguardo al mondo: «La rielezione di Trump destabilizzerebbe l’ordine globale». Poi punta il dito contro l’ascesa dell’estrema destra in Europa, le interferenze russe, l’influenza di magnati americani nei processi democratici. E una condanna durissima va alla scena dell’incontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky: «Un’umiliazione pubblica che mi ha disgustata. Gli Stati Uniti erano i liberatori dell’Europa dal nazifascismo. Vederli rinnegare quel ruolo è un dolore profondo».

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Comunali a Bolzano: Corrarati avanti con il 36,5%, Andriollo al 27,6% dopo 75 sezioni scrutinate

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Con lo scrutinio ormai quasi completato, Claudio Corrarati, candidato sindaco del centrodestra, si conferma in netto vantaggio alle elezioni comunali di Bolzano. Dopo lo spoglio di 75 sezioni su 80, l’ex presidente della Cna ha raggiunto il 36,5%, mentre il suo principale sfidante, l’assessore uscente Juri Andriollo del centrosinistra, è fermo al 27,6%.

Nel capoluogo altoatesino, dove il voto è storicamente influenzato dalla composizione linguistica e territoriale eterogenea, il dato resta comunque soggetto a variazioni nelle ultime sezioni. Tuttavia, il vantaggio consolidato di Corrarati fa già pensare con concretezza a un ballottaggio tra due settimane, per il quale sarà decisivo il posizionamento della Svp. La Südtiroler Volkspartei, che governa già con il centrodestra in Provincia, potrebbe sostenere proprio Corrarati, rendendo per lui più agevole la sfida finale.

Il candidato della Svp Stephan Konder è attualmente in terza posizione con il 18,46%, seguito dall’assessore regionale Angelo Gennaccaro (La Civica) con il 12,30%.

A Merano, dopo lo scrutinio parziale (3 sezioni su 28), è avanti il sindaco uscente Dario Dal Medico, sostenuto da liste civiche di centrodestra, con il 38,9%. Lo tallona la sua attuale vice della Svp, Katharina Zeller, al 23,6%, possibile sfidante al ballottaggio.

Situazione ancora in evoluzione a Trento, dove lo scrutinio procede a rilento. Nella notte, nessuna delle 98 sezioni risultava ancora scrutinata. Il sindaco uscente del centrosinistra Franco Ianeselli è considerato favorito, ma una riconferma al primo turno appare difficile.

Il vero dato politico di questa tornata elettorale è però il crollo dell’affluenza. A Bolzano ha votato solo il 52,16% degli aventi diritto, contro il 60,65% del 2020, quando si votò su due giorni. A Trento, l’affluenza è scesa dal 60,98% al 49,93%. A livello provinciale ha votato in Alto Adige il 60% (contro il 65,4% del 2019) e in Trentino il 54,53% (contro il 64,08%).

 

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Lega va avanti su Autonomia, legge delega al prossimo Cdm

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Con passo da maratoneta, la Lega non molla e va avanti sull’attuazione dell’Autonomia differenziata, sua battaglia storica. Il padrino della riforma, il ministro Roberto Calderoli, è pronto con la legge delega per la determinazione dei Lep, i Livelli essenziali di prestazione. La presenterà al Consiglio dei ministri la prossima settimana, al massimo quella successiva. Il responsabile degli Affari regionali e dell’Autonomia l’ha detto nel suo mini tour tra Trento e Bolzano, dove oggi si vota per le Comunali. In effetti, dopo i ritocchi fatti alla legge originaria e imposti dalla Corte Costituzionale che, nella sentenza di dicembre, ha dichiarato l’illegittimità di alcune parti, la delega è pronta per il passaggio a Palazzo Chigi e subito dopo in Parlamento.

Nel testo vengono individuati – distinti per funzioni e non più per materie, come indicato dalla Consulta – gli standard minimi di servizio pubblico che sono indispensabili a garantire, da Nord a Sud, i diritti civili e sociali che la Costituzione tutela. Si va dal lavoro al diritto all’istruzione, dall’ urbanistica alle reti di trasporto fino ad ambiente ed energia. Per Calderoli, l’obiettivo è chiudere la partita entro fine anno. Parallelamente procede l’altro fronte: quello delle negoziazioni sulle materie non Lep avviate con 4 regioni (Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria) che hanno chiesto forme differenziate di autonomia. Superate le riserve di alcuni ministeri (non guidati dalla Lega) su alcune funzioni come la Protezione civile, si prosegue e chissà che anche gli alleati più dubbiosi possano cedere. Specialmente Forza Italia, spinta dagli amministratori del Sud che temono disparità rispetto al più ricco Nord.

Apparentemente, si avvera l’auspicio di Matteo Salvini che, anche al congresso della Lega di aprile, ha associato l’Autonomia alla riforma del Premierato: “Vanno insieme, mano nella mano”. Un binomio che, secondo le opposizioni, tradisce uno scambio tra FdI e Lega. Di certo, il Presidenzialismo sta a cuore alla premier Giorgia Meloni che l’ha ribadito di recente all’AdnKronos (“Ci riusciremo”). E anche oggi i vertici del suo partito insistono sul fatto che la priorità sia la “madre di tutte le riforme” (nel copyright di Meloni), più della legge elettorale. A tirare in ballo, implicitamente, il sistema di voto sono state le parole della premier tentata da un secondo mandato.

Tuttavia, è innegabile che una riforma che potenzi i poteri del capo del governo debba definire anche il resto dell’architettura istituzionale del Paese, a partire proprio dalla legge elettorale. Il centrodestra ci sta ragionando, anche considerando che il premierato da 10 mesi è di fatto in standby alla Camera (al secondo dei 4 passaggi richiesti) e che è difficilissimo che l’iter si chiuda entro fine legislatura e si voti il referendum confermativo.

La bozza a cui si sta lavorando prevede di cancellare i collegi uninominali (anche nell’ottica di evitare il rischio di alleanze che tenterebbero il centrosinistra specie al Sud), puntare a una legge proporzionale con un premio di maggioranza del 15% per la coalizione che superi la soglia del 40%, indicare sulla scheda il candidato Premier della coalizione e fissare una soglia di sbarramento per i partiti più piccoli attorno al 3% e non oltre il 5%. Ma più fonti del centrodestra assicurano che non ci sono novità all’orizzonte, né confronti a breve.

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