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Politica

Di Maio vuole “rimpatri veloci in 13 Paesi”. E pensa alle intese tra Stati

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Ridurre all’osso i tempi di rimpatrio, “da due anni a quattro mesi” secondo Luigi Di Maio, per molti dei migranti irregolari che arrivano in Italia senza avere i requisiti per lo status di rifugiato: un risultato da raggiungere allargando a 13 Stati la lista dei Paesi ritenuti sicuri dove rimandarli e snellendo l’iter burocratico per gestire le domande d’asilo. E’ l’obiettivo fissato con l’annunciato decreto interministeriale presentato alla Farnesina dal ministro degli Esteri e capo del M5s insieme al collega della Giustizia, Alfonso Bonafede. “Un primo step”, ha spiegato Di Maio, al quale per vedere i risultati concreti dovranno ora seguire le intese bilaterali da stringere ex novo o da implementare con i vari Paesi. Al momento l’Italia ha accordi solo con Marocco, Tunisia, Nigeria e Egitto. In ogni caso si tratta di “un grande passo avanti e una grande svolta”, ha esultato il premier Giuseppe Conte. Per cercare di convincere i Paesi d’origine a riaccogliere piu’ rapidamente e con numeri piu’ consistenti i propri emigrati, per le prossime settimane Di Maio ha gia’ annunciato una serie di viaggi in alcuni degli Stati elencati nel decreto, dai quali proviene un terzo dei circa 7.000 arrivi del 2019. Nella lista figurano Algeria, Marocco, Tunisia, Albania, Bosnia, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Senegal, Serbia e Ucraina, “Paesi che abbiamo individuato dopo il lavoro dei nostri ministeri”, ha spiegato Di Maio interpellato sulle assenze della Libia e dell’Egitto. Nei suoi colloqui con gli Stati il governo pensa di usare soprattutto la leva della cooperazione allo sviluppo e degli investimenti in loco e per questo Di Maio vorrebbe vedere potenziato gia’ nella prossima manovra il fondo rimpatri, che – ha detto – “puo’ arrivare fino a 50 milioni di euro” ma che al momento dispone di appena 2-4 milioni. Il decreto presentato alla Farnesina non prevedera’ nuove spese: d’altronde non si tratta di un atto normativo ma di una misura amministrativa, firmata dai ministeri di Esteri, Interno e Giustizia. Per questo non avra’ bisogno nemmeno del passaggio in Consiglio dei ministri per essere varata. A presentarla, accanto a Di Maio c’era Bonafede. La misura, ha sottolineato, “permettera’ di dimezzare la procedura” della protezione internazionale. Assente invece la titolare del Viminale, Luciana Lamorgese, a Milano per partecipare al Comitato nazionale per la Sicurezza pubblica. Dal capoluogo lombardo ha sottolineato che se “il decreto puo’ essere utile a diminuire i tempi medi” per i rimpatri, tuttavia sull’immigrazione “nessuno ha la bacchetta magica”. Un impegno, quello milanese, che peraltro ha dato a Lamorgese l’occasione per evitare un appuntamento caratterizzato inevitabilmente da un certo tasso di polemica politica. Di Maio, pur senza citarlo, non ha fatto mancare le bordate nei confronti dell’ex ministro dell’ Interno e leader della Lega Matteo Salvini che della lotta all’immigrazione clandestina aveva fatto il suo cavallo di battaglia. “Negli ultimi 14 mesi e’ stato tutto fermo sui rimpatri”, ha attaccato nuovamente il capo pentastellato, sottolineando anche che il decreto “non urla ma fa i fatti” e che “noi lavoriamo con serieta’ per il nostro Paese, al contrario di chi lo considerava un palcoscenico per la sua campagna elettorale permanente”. Parole che non sono rimaste senza risposta dal fronte leghista: “Intanto sono triplicati gli sbarchi e questo governo ha calato le braghe e riaperto i porti”, ha attaccato Salvini mentre il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli ha sottolineato che “il nuovo decreto interministeriale ricorda molto il decreto che aboliva la poverta’. La vera soluzione resta non fare arrivare i migranti”.

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Economia

Ponte sullo Stretto, i dubbi del Ministero dell’Ambiente

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Il ministro Matteo Salvini lancia la Conferenza dei servizi sul Ponte sullo Stretto, per avviare entro l’estate i cantieri della sua opera-bandiera. Ma il primo sgambetto gli arriva proprio da un altro ministero, quello dell’Ambiente, guidato da Gilberto Pichetto di Forza Italia. Alla prima riunione della Conferenza dei servizi, che riunisce tutti i soggetti interessati per sveltire le procedure (imprese, Ministeri, enti locali), il Mase ha chiesto alla Società Stretto di Messina S.p.a. ben 239 integrazioni di documenti. Per il ministero, la documentazione presentata dalla concessionaria è superficiale, insufficiente e non aggiornata, e va approfondita su tutti i fronti.

I tecnici della Commissione Via-Vas, quelli che devono fare la valutazione di impatto ambientale dell’opera, in 42 pagine di relazione hanno chiesto nuove informazioni praticamente su ogni aspetto del progetto. Le richieste di integrazione di documenti riguardano la compatibilità coi vincoli ambientali, la valutazione dei costi e benefici, la descrizione di tutti gli interventi previsti, il sistema di cantierizzazione, la gestione delle terre e rocce di scavo. Il Mase chiede dati più approfonditi e aggiornati sul rischio di maremoti, sull’inquinamento dell’aria, sull’impatto del Ponte sull’ambiente marino e di terra e sull’agricoltura, sulle acque, sui rischi di subsidenza e dissesto, sulla flora e sulla fauna, sul rumore e i campi magnetici, sulle aree protette di rilevanza europea Natura 2000. Le associazioni ambientaliste come Wwf e Legambiente e i comitati locali anti-Ponte parlano di “passo falso” e di “farsa”, e ribadiscono “il progetto non sta in piedi”.

Ma sono soprattutto le opposizioni a cavalcare la vicenda. Per Marco Simiani del Pd, “il ministero dell’Ambiente sconfessa clamorosamente Matteo Salvini, bloccando di fatto il progetto”. Proprio il leader della Lega era assente alla Conferenza dei servizi, che si è tenuta al suo ministero delle Infrastrutture. “Dal ministero dell’Ambiente arriva un macigno sul progetto del Ponte sullo Stretto”, commenta il leader Cinquestelle Giuseppe Conte, che parla di “un progetto vecchio, risalente al 2011/2012, pieno di falle sul piano ingegneristico, ambientale, trasportistico e finanziario”. Angelo Bonelli di Avs rincara la dose: “La commissione tecnica Via del Ministero dell’Ambiente ha demolito il progetto definitivo sul ponte. Ma esiste un progetto definitivo? O quello che avete presentato è quello di 15 anni fa, che era stato bocciato nel 2012 dal ministero dell’Ambiente?”. Mentre il Codacons chiede l’intervento della Corte dei Conti, l’amministratore delegato della Stretto di Messina, Pietro Ciucci, non si mostra preoccupato per le osservazioni del Mase: “Sono richieste congrue, data l’entità dell’opera. In 30 giorni daremo tutti i chiarimenti richiesti”.

Il ministro Gilberto Pichetto si trova all’improvviso in una posizione scomodissima, con gli uffici del suo ministero che bastonano un progetto che è il cavallo di battaglia di un suo collega. “Con queste istanze abbiamo dato via alla procedura di valutazione di impatto ambientale”, commenta asettico. La richiesta di integrazioni “è atto tipico della prima parte di ogni procedimento di valutazione di impatto ambientale”. Per il Ponte “si è tenuto conto, come di consueto, anche di elementi tratti dai contributi di Ispra e di soggetti non pubblici aventi diritto, per legge, ad esprimersi”. “Le richieste della Commissione Via-Vas del Mase non rappresentato assolutamente una bocciatura del Ponte sullo Stretto, ma sono legittime integrazioni proporzionate ad un progetto enorme – ha commentato Matilde Siracusano, sottosegretario di FI ai Rapporti con il Parlamento – Ho sentito il ministro Pichetto e anche Pietro Ciucci, e non ci sono criticità”.

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In Evidenza

Canfora a giudizio per diffamazione aggravata: Meloni gli chiede 20mila euro

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Andrà a processo a Bari, con l’accusa di diffamazione aggravata nei confronti della premier Giorgia Meloni, che ha chiesto un risarcimento di 20mila euro, lo storico e filologo Luciano Canfora, 82 anni, professore emerito dell’università di Bari, intellettuale di sinistra e opinionista. La decisione è stata presa oggi pomeriggio dalla giudice Antonietta Guerra, che nel rinviarlo a giudizio ha ritenuto necessaria un’integrazione probatoria sulle parole pronunciate dal filologo in sede di dibattimento.

Il processo inizierà il 7 ottobre. Al suo arrivo in Tribunale, camminando appoggiato ad un bastone, Canfora è stato accolto dagli applausi di alcuni manifestanti. La vicenda risale all’11 aprile 2022 quando Meloni era leader di Fratelli d’Italia e parlamentare all’opposizione del governo Draghi.

Nel corso di un incontro con gli studenti del liceo scientifico ‘Enrico Fermi’ di Bari dedicato alla guerra in Ucraina, Canfora la definì “neonazista nell’anima”, “una poveretta”, “trattata come una mentecatta pericolosissima”. Partì subito la querela e la Procura di Bari, dopo aver chiesto la citazione diretta in giudizio del professore, oggi ne ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio.

La premier si è costituita parte civile chiedendo, tramite l’avvocato Luca Libra, anche un risarcimento danni da 20mila euro. Secondo il legale, infatti, con le sue parole Canfora avrebbe “leso l’onore, il decoro e la reputazione” di Meloni, “aggredendo la sua immagine, come persona e personaggio politico, con volgarità gratuita e inaudita”.

“La domanda risarcitoria – scrive ancora il legale – è motivata, anzitutto, dal pregiudizio psicofisico sofferto e, soprattutto, dalla lesione alla reputazione, all’onore e all’immagine” di Meloni. Di parere opposto il difensore dello storico, Michele Laforgia che aveva chiesto il proscioglimento del suo assistito “perché il fatto non sussiste, o perché non costituisce reato, o perché comunque non punibile per esercizio del diritto di critica politica”.

“La premier sarà sicuramente chiamata a deporre in aula”, ha annunciato inoltre, spiegando che, “sapevamo che, se avessimo dovuto approfondire il tema del ‘neonazismo nell’animo’ nel merito sarebbe stato necessario sentire la persona offesa dal reato”, “e forse acquisire” in dibattimento “una massa importante di documenti biografici, bibliografici, autobiografici”. “Resto convinto – ha aggiunto Laforgia – che un processo per un giudizio politico per diffamazione non si possa fare e non si debba fare, e che sia molto inopportuno farlo quando dall’altra parte ci sia un potere dello Stato”.

Canfora, professore di filologia greca e latina nell’università di Bari dal 1975, ha insegnato anche papirologia, letteratura latina, storia greca e romana. Autore di saggi di storia antica e contemporanea, per anni è stato iscritto al Partito comunista italiano e ha poi aderito a Rifondazione comunista.

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Politica

Usigrai, via Ranucci e Sciarelli? I vertici non difendono la Rai

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“Indiscrezioni di stampa danno per imminente l’addio alla Rai anche di altri due volti importanti dell’azienda, Sigfrido Ranucci e Federica Sciarelli. Due professionisti che per Usigrai sarebbero una perdita ancor più dolorosa perché si tratta di giornalisti interni da sempre impegnati nella ricerca della verità attraverso inchieste che hanno fatto la storia dell’azienda”. A sottolinearlo, in una nota, è l’esecutivo dell’Usigrai.

“Peraltro, è notizia di questi giorni – aggiunge il sindacato – la decisione della Rai di cancellare le repliche di Report dal palinsesto estivo. Si rinuncia a un prodotto di qualità a costo zero pur di rimuovere Ranucci dal servizio pubblico. Ci chiediamo se il mandato di questo vertice – che il governo si appresta a riconfermare, almeno in parte – sia quello di distruggere la Rai. Si fanno investimenti fallimentari, si chiedono sacrifici ai dipendenti, si taglia il budget delle redazioni con ripercussioni inevitabili sulla qualità del prodotto e al contempo si perdono pezzi importanti dell’identità Rai, con gravi danni per gli ascolti e il bilancio. Una situazione inaccettabile sia per il tradimento della missione della Rai servizio pubblico, sia dal punto di vista sindacale per la progressiva riduzione del perimetro occupazionale che le scelte del vertice comportano”.

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